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Recensione “L’Arminuta”, Donatella di Pietrantonio

Recensione “L’Arminuta”, Donatella di Pietrantonio

L’ARMINUTAL'arminuta

di Donatella di Pietrantonio

Editore: Einaudi

Pagine: 176

 

 

 

TRAMA. Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con “L’Arminuta” fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

 

RECENSIONE.

– Io voglio vivere a casa mia, con voi. Se ho sbagliato qualcosa dimmelo, e non lo farò più. Non lasciarmi qui.
– Mi dispiace, ma non ti possiamo più tenere, te l’abbiamo già spiegato. Adesso per favore smettila con i capricci ed esci, – ha concluso fissando niente davanti a sé.

Libro vincitore del Premio Campiello 2017 e prequel di Borgo Sud (libro finalista del Premio strega 2021), L’Arminuta svela una storia che ha davvero dell’incredibile.
Narrato in prima persona, l’Arminuta (ovvero la ritornata) racconta la storia di una bambina di tredici anni che viene restituita ai genitori biologici.
Come un acquisto che non ha soddisfatto le nostre aspettative,  l’Arminuta (perché solo con questo nome noi la conosceremo) verrà “travasata” in un ambiente e in uno stile di vita radicalmente diverso dal quale era abituata e restituita a delle persone che con lei condividono solo un grado di parentela.

Non l’ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più salato fuori. Se dovevo rivolgermi a lei con urgenza, cercavo di catturarne l’attenzione in modi diversi. A volte, se tenevo il bambino in braccio, gli pizzicavo le gambe per farlo piangere. Allora lei si girava nella nostra direzione e le parlavo.

Ambientato in un paesino abruzzese nell’estate del 1975, il libro della Pietrantonio è scritto in una maniera semplice, senza troppi tecnicismi o dettagli (ricordiamoci che è una bambina di 13 anni che racconta la sua vita), ma trasuda di disperazione, vergogna, tristezza, rabbia e abbandono.
L’Arminuta è un testo che invita a porsi diverse domande; quesiti ai quali tutti noi, prima o poi, dobbiamo rispondere.
La prima domanda che mi sono posta leggendo questo testo riguarda la responsabilità genitoriale e l’etica dell’affido: Il genitore è colui che ti mette al mondo o colui che ti cresce?  
Per molti, la domanda potrebbe non avere senso (perché hanno una persona che “impersona” entrambe le cose) ma in realtà leggendo questo libro la domanda è lecita e mi viene da chiedere: se questa figlia che hai “restuito” fosse stata geneticamente tua, sangue del tuo sangue, che cosa avresti fatto? Se la consideravi come tua figlia, perché alla prima “difficoltà” te ne sbarazzi?
La pedagogia in questo senso, dagli anni ’70 a oggi ha fatto dei passi da gigante e grazie a L’Arminuta possiamo renderci conto quanto sia stato necessario questo cambiamento.

Concludeva anticipando che sarebbe venuta a trovarmi in estate, durante le ferie. Nel frattempo i soldi mi sarebbero stati utili per piccole spese personali. Anche lei si preoccupava solo di quelli, come se lì dov’ero non mi mancasse altro.

La seconda domanda che mi sono posta leggendo questo libro è: si nasce madri o si diventa?  Il tema in cui ci addentriamo è piuttosto attuale.
Il testo della Pietrantonio scardina una convinzione molto radicata nella società (soprattutto in quella italiana): le donne non hanno un istinto materno innato ed è possibile (e legittimo) che alcune non vogliano sviluppare tale sentimento.
L’Arminuta in tal senso è il risultato di una società patriarcale, nella quale una donna DEVE essere madre per essere completa; non rendendoci conto però che, come diceva una mia professoressa tanti anni fa, I figli nascono solo se sognati. E anche i genitori, aggiungerei.

 

Buona Lettura a tutti!
Rachele.

 

PS. Se hai letto il libro o sei curioso, ti anticipo che il 21 ottobre, in tutte le sale italiane uscirà il film “L’Arminuta”  diretto da Giuseppe Bonito e realizzato con il sostegno di Lazio Cinema International – Regione Lazio e Mic, distribuito in Italia da Lucky Red.
Non perdertelo!

 

 

CONTATTI:   

 

Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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