Il Cinema dei Margini.
Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine, è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’ apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.
L’uomo delle stelle
Nella Sicilia dei primi anni ’50, Joe Morelli (Sergio Castellitto) è uno spacciatore di sogni.
Si racconta amico delle stelle di Cinecittà e scopritore di nuovi talenti.
Batte i paesi col suo furgone carico di tendone, macchina da presa e pellicola scaduta, promettendo, a chi supererà un accurato provino a pagamento, la chiave d’accesso per il mondo dorato del cinema.
L’uomo delle stelle è una storia di malia, illusioni e bugie.
La Sicilia del dopoguerra si presenta come una nuvola di bocche in cerca di ricchezze. Un fiume di mani in cerca di lavoro.
Un popolo intero che ha bisogno di sperare.
La macchina da presa rappresenta il Sogno.
Davanti l’obiettivo la gente si esprime in modo eccentrico, insolito.
Forse è davvero se stessa.
NAZIONE: Italia
ANNO: 1995
REGIA: Giuseppe Tornatore
GENERE: Drammatico
DURATA: 110 min
CAST: S. Castellitto; T. Lodato; F. Scaldati; L. Trieste; C. Rondinella
SCENEGGIATURA: G. Tornatore; F. Rinaudo
MUSICHE: E. Morricone
FOTOGRAFIA: D. Spinotti
MONTAGGIO: M. Quaglia
Omaggiato con il gran Premio della giuria al Festival del Cinema di Venezia del ’95, L’uomo delle stelle è un film che ci fa dono della più varia umanità.
Pur soffrendo lo squilibrio tra un inizio travolgente ed un epilogo dal fiato corto, il film dà forma nell’insieme ad uno straordinario quadro generale di popolo, quello siciliano, dimenticato o mortificato dalla storia.
L’esemplare regia di Tornatore, coadiuvata dalla fotografia di Dante Spinotti, sa perfettamente restituire il colore naturale della Sicilia bruciata dal sole: tra sabbia e tufo; borghi sul mare e arroccati sui monti; povertà e briganti.
Con un espediente neorealistico il regista formula durante il film, mediante le tante piccole ed eccezionali storie di aspiranti attori che si raccontano davanti la macchina da presa di Morelli, una dichiarazione poetica, storica e realistica di uno spaccato della nostra società passata.
Joe Morelli, l’imbroglione uomo delle stelle romano, vinto di verghiana memoria, si muove in un mondo che pare avere una sola regola: derubare per non essere derubato.
Egli commette la colpa più grave, però, nel momento stesso in cui realizza il senso della truffa che sta operando: il patrimonio umano che ogni sera strappa via impresso sulla celluloide della pellicola scaduta che adopera per provinare.
Frammenti d’eternità, quelli che sta sabotando.
“La gente è disposta a dire più verità davanti ad una macchina fotografica piuttosto che davanti un paio di manette, ma se la macchina fotografica è vuota…”.
La truffa di Joe permette, valicando le sue stesse intenzioni, di far affiorare le verità più private delle persone.
Le speranze; le nostalgie; i non detti.
È dentro la tenda isolante in cui dietro l’obiettivo Morelli inquadra le sfumature della gente che risiede l’intima meraviglia del film.
L’uomo delle stelle attiva una macchina capace di cogliere la poesia in ogni volto che fissa.
Di innalzare con la potenza del sogno dalle miserie della realtà.
Capace di scorgere il baluginio di una speranza a cui possiamo ancora aggrapparci.
La potenza terapeutica della fantasia che unica giunge in soccorso dei più deboli.
Joe Morelli inquadra il potenziale umano e lascia che questo si esprima dinanzi ai suoi occhi.
Dalle parole sofferte del parrucchiere omosessuale che sogna l’evasione, al carabiniere che recita i versi della Divina Commedia in siciliano, al pastore che dialoga con le stelle:
“La cosa bella di essere pastore è che con le stelle ci ragiono.
I paesani non li italiano mai alle stelle, invece il pastore, in campagna, di notte, è diverso.
Io dalle volte guardo le stelle e ci parlo. Ma vero c’è il mondo? Non ci credo che c’è il mondo, sono farfanterie”.
L’uomo delle stelle è senza dubbio alcuno un atto d’amore.
Un amore nei confronti della Sicilia e del cinema stesso che sa condurre i nostri sguardi dalla desolazione alla poesia dell’umanità ed emozionarci.