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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

EP.18: Abbiamo tutti bisogno di uova

EP.18: Abbiamo tutti bisogno di uova

Io amo San Valentino.
Il quattordici di Febbraio suscita in me lo stesso sentimento febbrile che anima quegli individui che, una volta deposti scheletri e zucche, scanso equivoci comincino con l’attaccare alla finestra qualche timida luminaria.
La prima volta che mi hanno regalato una rosa avevo quindici anni e facevo il liceo, tenni una mini-sfilata nel tragitto dalla mia classe alle porte dell’atrio tenendo con premura la rosa fra l’avambraccio e l’incavo del gomito, con la nonchalance di un’attrice al suo primo Oscar, sottratto alla Streep.
Un mio amico dei tempi aspettava l’autobus sotto la pensilina, spalancò gli occhi nel sorriso malvagio che solo i maschi durante la prima adolescenza sono in grado di riprodurre e disse le seguenti parole: “Francesca, anche tu?
Disse proprio così, usò l’espressione cesarea “tu quoque ecc ecc..:” ?

Anche tu dall’altra parte del fiume, sulla sponda dei desiderabili, di quelle per cui un giorno un ragazzetto con un po’ di barba e filtro e cartine nella tasca destra dei jeans calanti scopre l’esistenza dei fiorai ed estrae dal portafogli cinque euro di suo padre, chiede una rosa e aspetta con imbarazzo che un fioraio più che avvezzo a quell’imbarazzo ne termini in quindici comodi minuti l’incartamento.
Sorrisi di rimando, ma non mi pronunciai.
Di fatto, quella rosa, quell’unica prima rosa, in realtà me l’aveva regalata una mia amica.
Ci vollero ancora un paio d’anni perché quel ragazzetto scoprisse l’esistenza del fioraio, e chissà per chi ci entra adesso, con una decade d’esperienza di minuti interminabili d’incartamento in più.

San Valentino è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline

Quest’anno, nessuno entrerà per me da un fioraio, e lo dico senza alcuna recriminazione, con curiosità.
Quello che mi si prospetta è a tutti gli effetti un blue valentine, triste e silenzioso come il (tremendo) film omonimo, del quale non intendo parlare e di fatto non parleremo.
Parleremo però di un altrettanto blue valentine tratto dall’incipit sorprendente di un altro film, The Eternal Sunshine Of The Spotless Mind (Michael Gondry, 2004) altresì conosciuto con l’orrido nome di Se mi lasci i cancello.

 ‹‹    Pensieri sparsi per il giorno di San Valentino 2004: oggi è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline di auguri per far sentire di merda le persone. Non sono andato a lavoro oggi, ho preso un treno per Montauk, non so perché, non sono un tipo impulsivo, forse mi sono solo svegliato un po’ depresso. ››

E’ il quattordici di Febbraio, Joel dovrebbe andare a lavoro ma all’ultimo minuto sulla banchina avverte un richiamo, forse è un ricordo, forse è l’istinto, appeso alla cornetta di un telefono pubblico comunica a chi di dovere di non sentirsi bene, che non si presenterà in ufficio quel giorno. Prenderà un treno semivuoto, di quelli in buone condizioni perché non sottoposti all’usura dei pendolari, che si spingono fino alla periferia più capillare.  Il suo va a Montauk, una località balneare coerentemente deserta e gelida in questo pesante giorno di metà Febbraio. Sul treno semideserto si è ritrovata anche Clementine con i suoi capelli di diverso colore e la sua felpa arancione, la solita sconosciuta di cui Joel si innamora quasi per dovere di ricambiare uno sguardo, un gesto.
Forse è l’ennesima sconosciuta che non conoscerà mai, perché gli manca il coraggio di farsi avanti.
O forse la prima conosciuta di cui avrà il coraggio di innamorarsi di nuovo.

Un giorno, forse mai.

Appeso ad un’altra cornetta di un altro telefono pubblico di un’altra banchina del treno (ma questa volta il setting è londinese) c’è anche un altro uomo, si chiama Dexter.
Il film di cui stiamo parlando è One Day (Lone Sherfig, 2011), ispirato al romanzo omonimo (di David Nicholls, 2009) che, sebbene lo si trovi etichettato nella sezione rosa della biblioteca comunale, non per questo dovreste sottovalutarlo.
Non è il giorno di San Valentino, è un giorno qualsiasi in cui Dex sperimenta la stessa irrequietezza che porta Joel a naufragare inconsciamente verso un porto sicuro che in questo caso è Emma (una giovanissima e sensualissima Anne Hataway), flirt di una notte, amica di una vita.

 

 ‹‹    Avevo bisogno di parlare con qualcuno… non con qualcuno, con te ››

Non c’è un’altra opzione per Dexter, le cose si concretizzano solo attraverso il filo della cornetta che lo tiene legato ad Emma in diversi momenti della loro vita che e del loro rapporto mendace che li porta spesso a vivere separati, salvo poi ri incontrarsi in maniera incongruente.
Il loro è un rapporto fra interlocutori privilegiati (lei stessa in uno sfogo di rabbia chiederà a Dexter, “what’s the point of you”, a cosa servi tu, se non posso più parlarti con sincerità) e fra adulti senza coraggio che delegano l’ammissione reciproca dei loro sentimenti ad un futuro ipotetico.

Se lui non ti richiama

Se quella di Dexter e Emma è una vicenda romantica che sfiora i toni della tragedia, alter-ego commediografi di questi sono certamente Alex e Gigi, co-protagonisti del brillante e quantomai onesto La verità è che non gli piaci abbastanza (Ken Kwapis, 2009).
Il titolo di per sé costituisce un incipit portentoso, è un punto di partenza, sabat mater: la verità è che non gli piaci abbastanza. E’ un invito (rivolto soprattutto alla controparte femminile) ad accettare le cose come stanno nella loro avvilente prosaicità, a smetterla di sprecare tempo nel decrittare inesistenti messaggi cifrati in gesti più che eloquenti.
A farsi carico e portavoce di una parte di umanità da secoli di patriarcato e dolce stilnovo ridotta a ricercare l’attenzione di un uomo per accorgersi di esistere è Gigi, una ragazza ingenua ma di spirito.  Ad illustrarle invece quanto affermato poco più sopra è Alex, uomo di mille donne e di nessuna, inspiegabilmente votato a quella che sembra essere la causa disperata della povera Gigi, che vive le sue serate al telefono, in attesa che uno come lui la richiami.

 ‹‹    La regola è questa: se un uomo non ti chiama non vuole chiamarti. […] fidati di me se ti dico che se un uomo ti tratta come se non gliene fregasse un cazzo di te, non gliene frega un cazzo di te, senza eccezione ››

(Qui mi sento di aprire una piccola parentesi: La verità è che non gli piaci abbastanza è un film dei primi duemila, dunque dell’era pre-social nella quale l’unica condanna da scontare era quella dell’attesa di uno squillo. Niente in confronto al supplizio dell’era della spunta blu, nella quale le tappe cruciali si moltiplicano; dall’attesa di un follow-back, a quella della visualizzazione di un messaggio, dall’ambiguità di un “ahahah” da decifrare alla lapidarietà di un cuore apposto come unica risposta ad una casella di testo in direct.
Lasciate perdere: se non vi risponde entro cinque minuti la verità è che non gli piacete abbastanza)

Tornando a Gigi ed Alex, va da sé che Gigi finisce per innamorarsi anche di Alex, incontrando il solito ostacolo della vita adulta, ovvero la stessa mancanza di coraggio che anche Emma sperimenta con Dexter, e Dexter con lei.

Abbiamo tutti bisogno di uova

C’è un perché se Joel quel giorno non prenderà il treno per andare a lavoro, ma bensì per recarsi a Montauk.

Il richiamo al quale non sa dare un nome ha una spiegazione profonda che appartiene ad una parte che tace in tutti noi fino a che non viene risvegliata da un volto particolare, da una voce simpatica, da un atteggiamento enigmatico. È la stessa forza che lega tenacemente insieme Dexter e Emma attraverso gli anni, che scorre sottoterra con le linee telefoniche, attraverso i cavi  fino alle cornette premute all’orecchio, tenute vicine alla bocca, per sentirsi anche nel silenzio. La stessa necessità ancestrale che porta i latin lover (si usa ancora questo termine?) a redimersi e la tenera Gigi a convincersi che in amore non vince chi fugge, ma chi non si lascia scoraggiare da una chiamata mai ricevuta:
è il bisogno di uova.

Non avete capito?
Adesso ve lo spiego.

Io e Annie  (Woody Allen, 1977) è un film di Woody Allen con Diane Keaton ispirato alla storia d’amore vera fra Woody Allen e Diane Keaton. Questo è l’ultimo film di cui mi sentirete perchè è qui che finiscono per approdare tutte le nostre discussioni sull’amore, anche quelle più raffinate e le più astratte, in un monologo tenuto da Allen in sottofondo nell’inquadratura fissa fuori da un bar che i due hanno appena lasciato, su una strada che hanno imboccato in direzioni opposta per non tornare indietro mai più.

 ‹‹    Ma era stato grandioso rivedere Annie, no? Mi resi conto che donna fantastica era e di quanto fosse divertente solo conoscerla ed io pensai a quella barzelletta in cui un uomo va dallo psichiatra e dice ‘dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina’ e il dottore gli dice ‘perché non lo interna?’ e quello risponde ‘e a me poi le uova chi me le fa?’. Beh credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo donna e cioè che sono assolutamente irrazionale, e pazzi , e assurdi, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova. ››

Allora io ripenso a quell’adolescente con i pantaloni calanti e i soldi contati in tasca che un giorno di Febbraio scopre l’esistenza del fioraio. Lo vedo indugiare davanti alla porta, sbirciare quanta fila c’è, poi, con un grosso sbuffo contrariato, spingere la porta ed entrare.

Anche lui aveva bisogno di uova.

Buon San Valentino a tutti, soprattutto a chi non ci crede.

 

Francesca Cullurà

È laureata in Lettere all’Università di Firenze ma se la cava discretamente anche nella sacra arte del darsi l’eyeliner. I suoi interessi sono la letteratura, la Formula1 e il vecchio cinema italiano. È convinta di saper guidare meglio di molti uomini.

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