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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Non ci son più gli operai di una volta

Non ci son più gli operai di una volta

La totale assenza di fusti, tra gli operai delle linee produttive delle aziende metalmeccaniche, ai primi posti tra le ragioni della crisi nel settore?

E’ stato un anno strano questo, per me: un anno in cui mi son spogliata di tutti i “vestiti”, che non calzavano perfettamente. Ho scelto di tenere solo quello che cadeva da dio, solo quello che al tempo stesso era comodo e che mi donava. Avrei potuto tenere tante altre cose perché non tutto stava completamente male, ma ho deciso di far pulizia e di lanciare tutto per aria quest’anno; perchè spesso nella vita capita cosi, come un domino, tocchi una pedina e vengono giù tutte le altre, a cascata.

Tra le varie scelte importanti ed assolutamente opinabili, di questo 2020, ho anche deciso di lasciare il mio posto di lavoro. “Lasciare posto di lavoro” potrebbe esser mal interpretato: ahimè, non mi son messa con un magnate russo, che mi farà vivere nella bambagia e mi consentirà di far la mantenuta e bivaccare su una chaise longue ubriacandomi di Franciacorta rosè tutta la vita  per poi lamentarmi dopo la separazione della vita difficile e “sacrificata” che ho dovuto subìre (cit. Gregoraci numero uno); no, io ho, banalmente, scelto di cambiare azienda.

Presentare le dimissioni è stata durissima, non per la procedura in se per se, che se hai un pin dispositivo o lo spid ci impieghi 7 secondi netti, ma per tutto quello che sta dietro la scelta: l’idea di lasciare i miei colleghi, le persone a cui sono legata da 5 anni, mi devastava.

Il concetto di dividere la sfera privata dalla sfera professionale, per me, che vivo tutto in maniera emotivamenteden harrow eccessivamente coinvolgente, è una boiata atomica. Io, nel bene e nel male, porto tutta me stessa dentro l’ufficio ed ogni volta che scelgo di venir via da un posto, mi sembra di strapparmi un pezzo di pancia (quando venni via dalla Coop. 8 marzo, ormai 7 anni fa, e dovetti lasciare la TinPuz del mio cuore, nel salutarci abbiamo messo in scena questo spettacolo strappalacrime in cui ci siamo abbracciate per mezz’ora di fila nel parcheggio di via Lampredi, che non so se abbiam pianto più noi, o Den Harrow, all’Isola dei famosi).

Io vado a lavoro e faccio il mio lavoro, rispetto le scadenze, faccio quello per cui son pagata e adempio a tutti gli obblighi che son previsti per il mio ruolo, ma, nel mentre, parlo di coppette mestruali alla macchinetta del caffè con la Yle, discuto dei papabili vincitori di X factor mentre registro un incasso, confronto le ricette della tenerina con le altre colleghe mentre prendo i fogli nella stampante, chiedo consigli di vita al Dr. Botti mentre fissiamo la data delle Riba e mi sfogo con la Manu di quanto può essere stro**o il benzinaio di Lippo che, pure se vai al self, deve venirti appresso per guardarti bavoso, come si guarderebbe a 80 anni un calendario della Pirelli.

E’ stato difficile scegliere di consegnare le dimissioni dalla Bonfi: la Bonfi è, per chi non lo sapesse, un super colosso metalmeccanico. Una super azienda che produce riduttori e motoridutorri ed altre cose incredibili di cui io ignoro completamente l’esistenza, perché diciamocelo, se tu lavori in amministrazione per un’azienda che produce riduttori, o per un mollificio o se l’azienda fosse anche specializzata in portarotoli per carta igienica; a te che fai le fatture, e registri gli incassi, e verifichi che i clienti abbiano pagato, non fa alcunissima differenza.

Se fai l’impiegata amministrativa, l’unica differenza se lavori in un’industria metalmeccanica o nello studio di un commercialista, la può fare, il vedere o no gli iper-testosteronici operai la mattina quando entri.……… pensavo io…. prima di entrare.

Quando, durante uno dei 7mila colloqui, che ho dovuto affrontare, mi dissero che l’ufficio Amministrazione, era situato al primo piano di questa fatiscente struttura color salvia, e che, al piano di sotto c’era il magazzino, nella mia testa, subito si drizzarono le antenne. I miei due neuroni da bionda fecero questo collegamento : Fabbrica – Operai – Pancali – Muscoli- Super Machi- Calendario sexy. Mi immaginai quindi, orde di operai seminudi, con i bicipiti prominenti, le mani spaccate dal lavoro e sporchi di grasso everywhere, che, in canotta bianca, si asciugavano la fronte con l’avambraccio, bevevano birra a garganella e lanciavano i capelli sudati all’indietro (neri, rigorosamente, perché i maschi biondi non son machi).

Una roba tipo la memorabile pubblicità della Coca Cola light, che andava in onda negli anni 90 e che, se ve la siete persa, son qua apposta per rammentarvela:

Il sogno svanì il primo giorno di lavoro, quando sono arrivata in ufficio e mi son beccata all’ingresso, un buonuomo che pareva il babbo natale dello spot del pandoro Paluani. E l’immagine degli operai machi si sbriciolò completamente, quando conobbi quei 3 uomini che lavoravano in officina. Indubbiamente brave persone, padri di famiglia, affidabili e disponibili, ma ecco, diciamo che se si fossero messi una salopette in jeans, più che un California dream man, potevano ispirare sesso quanto Super Mario Bros.

Tra poco (forse tra poco davvero, o forse tra un paio d’anni.. chi può dirlo) il mio ufficio sarebbe stato spostato nel nuovissimo e scintillante super plant: una roba stra all’avanguardia, dove gli spazi son organizzati secondo il metodo giapponese delle 5s, arredamento minimal e grandi vetrate. La palazzina, nel progetto iniziale aveva una forma di una suppostona gigante, voi immaginatevi un’enorme Carlo Erba alta 30 metri, che lasciava presagire un futuro non troppo roseo; che poi è stata riprogettata ed avrà una forma che darà adito a minori dubbi interpretativi. Il progetto della nuova sede super wow, è stato proiettato per mesi, nei maxi schermi delle “zone relax” (le aree dove ci son le macchinette del caffè) facendocelo bramare, come si desideravano solo i Nutella Bisciuts, le prime settimane in cui li hanno lanciati sul mercato e gli scaffali dei supermercati erano sempre vuoti.

Nel nuovo plant effettivamente, ci sta la fabbrica e quindi, teoricamente, ci potrebbero essere pure i men at work, in tuta e scarpe anti infortunistica da ammirare ma, ahimè, ragazze, devo dirvelo, non esistono più gli operai di una volta.

Gli operai nelle nuove industrie 4.0, non spostano più kili di acciaio e non trascinano bancali sovraccarichi di merce, trainando catene dalla mattina alla sera, ma, pigiano bottoni e manovrano robot. Il massimo dello sforzo fisico richiesto, è quello di appoggiare i loro ditoni su delle tastiere. Alzano gli occhi al cielo, non per asciugare la fronte sudata, ma soltanto per controllare schermi che proiettano dati, o, al massimo, per controllare se è ora di pranzo. Vengono a lavoro pettinati e ingellettati come calciatori e hanno la tutina più pulita e stirata delle vostre camicette.

E quindi ragazze, se volevate mandare il cv, in un’azienda metalmeccanica, sperando che un operaio vi agguantasse di nascosto negli spogliatoi dell’azienda, rimbalzandovi da un armadietto all’altro tipo pallina del flipper, in pausa pranzo, NON FATELO. Inviate il curriculum altrove perché gli operaio zozzi e machi non esistono più.

 

Giulia Rossi

Giulia Rossi

Chiacchierona, fantasiosa e precisetti. Le interessa tutto e non si specializza in niente. Non ha ancora trovato la sua strada forse perché semplicemente UNA strada non c'è.

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