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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Il Mondiale d’inverno

Il Mondiale d’inverno

“Il Mondiale d’inverno / è solo un film in bianco e nero visto alla tv…”

Potrei iniziare l’articolo così, citando il brano di Loredana Bertè (“Il mare d’inverno”) ma posso anche coniugare al presente perché l’ho effettivamente iniziato così.

Anche se c’è da fare una specifica che la mia pignoleria non può lasciar correre: in tanti stanno parlando/scrivendo del Mondiale in inverno ma è sbagliato, perché giocandosi dal 20 novembre al 18 dicembre si tratta bensì di un Mondiale in autunno, visto che – come tutti sanno o quasi – l’inverno comincerà il 21 dicembre, quando ha luogo il solstizio d’inverno che se si chiama appunto così un motivo ci sarà, perché è vero che “non ci sono più le mezze stagioni” ma qualche certezza astronomica deve pur rimanere.

Ma andando oltre questa polemica un po’ pedante aperta dal sottoscritto, è la prima volta nella storia che i Mondiali di calcio non si giocano d’estate. Perché questa novità? Eh, semplice: nel 2010 la Fifa ne assegnò per il 2022 l’organizzazione al Qatar, lì in a giugno-luglio la temperatura media è sui 41 °C; va bene che il calcio dev’essere spettacolo e divertimento, ma vedere campioni squagliarsi in campo non sarebbe stato bello.

Dunque magari chi di dovere poteva dire: “ah no, allora se dev’esserci questo cambiamento mi spiace, non va bene, arrivederci”. Eheh. No invece, va bene il Qatar, ci mancherebbe altro! Le temperature estive? Che problema c’è, si gioca a novembre-dicembre!

Ecco, bravi, così è venuto fuori una stagione che definirla tour de force è riduttiva con i principali Campionati partiti prima di Ferragosto, le Coppe Europee ad inizio settembre e dalle 15 alle 21 partite giocate in tre mesi. Poi il Mondiale, poi da gennaio anche lì il calendario andrà abbastanza veloce fino al termine della stagione prevista per metà giugno.

Come mi pongo io, appassionatissimo (e mi tengo basso) di calcio, dinanzi a questa novità?

Ho letto posizioni, anche di intellettuali, contro questo Mondiale e che quindi, anche se sono appassionati, non lo guarderanno. Perché? Perché in Qatar i diritti umani sono un optional, diciamo: l’omosessualità che è un reato da pena di morte, la libertà d’espressione negata, il ricorso alle punizioni corporali, i diritti praticamente inesistenti dei lavoratori, eccetera.

Provo stima per chi ha preso questa decisione: hanno una forte convinzione e sacrificano evidentemente una loro passione. C’è da dire che siamo anche un po’ favoriti in questo dall’assenza alla competizione per la seconda volta consecutiva dell’Italia.

C’ho pensato, mi sono interrogato… come mi pongo io dinanzi a tutto questo? Il Mondiale per me era una festa, da bambino non mi perdevo una partita, crescendo comunque la sensazione di un evento unico mi è rimasta. È vero, manchiamo di nuovo noi, ma insomma comunque ci sono Brasile Francia Inghilterra Argentina Germania Spagna Belgio Portogallo eccetera eccetera, a livello di spettacolo direi che ci possiamo accontentare.

Però allora si negano tutti quei problemi? Assolutamente, assolutamente. La mia attuale posizione, naturalmente personale, è quella di guardare il Mondiale. Ovviamente non tutte le partite perché sono quattro al giorno, magari se riesco a vederne due è già qualcosa. Ma penso che si possa coniugare l’entusiasmo per l’evento calcistico più importante con la ferma condanna alla nazione ospitante.

Sono dell’idea che il senso del Mondiale vada oltre il paese organizzatore, ha una valenza non solo sportiva ma anche storica, culturale, collettiva che sinceramente faccio enormemente fatica a boicottare.

Mi sento molto piccolo e spero che la Fifa, nelle prossime assegnazioni, non premi chi non lo merita assolutamente, come per esempio appunto il Qatar.

Lo spero, perché se chi di dovere non sporcasse questo meraviglioso sogno che è il calcio sarebbe molto, ma molto meglio.

 

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Nicolò Bagnoli

Nicolò Bagnoli

Nasce nel 1986, nel 2010 ha l'idea di WiP Radio di cui è il direttore, è quasi alto come Berlusconi, davanti ad un microfono può starci ore. Parlando, ovviamente.

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