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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

EP.35 Antologia partenopea

EP.35 Antologia partenopea

“E’ stata la mano di Dio”  di Paolo Sorrentino è uscito nelle sale il 24 Novembre (uscirà a breve, il 15 Dicembre su Netflix), io l’ho visto il 2 Dicembre, e da lì in poi la mia attività preferita per riempire le giornate è stata consigliare a chicchessia, uomo donna e animale, davvero chiunque, dai miei famigliari agli sconosciuti sugli autobus, di riempire le loro di giornate con questo film.
Parlo al plurale perché la visione dura sì un giorno solo (anzi, due ore su per giù), ma la dissertazione in merito è capace di portarsi avanti ancora per giorni.
Io ad esempio, compio oggi la mia prima settimana.

 

Non solo un film di Sorrentino

Se conoscete Sorrentino per La Grande Bellezza (2013) , davanti al quale vi siete fatti magari La Grande Dormita, o per l’imitazione di Crozza, che è uno di quei casi in cui la vita si ispira alla finzione e non il contrario, dimenticatevi entrambe le esperienze.

Pur lontani  dalla stagione del cinema di produzione Hollywoodiano (ma davvero poi così tanto?) a testimoniare che questo non sarebbe stata la solita “sorrentinata” (che però la sottoscritta non avrebbe affatto rigettato, anzi) faceva da garante il produttore, Netflix, interlocutore n.ro 1 della “generazione Z.” ,prima piattaforma di streaming ad intercettarne, raccoglierne e riprodurre le istanze.
Mia nonna in questi casi direbbe “X sa a chi sta parlando”, con espressione ammiccante, perifrasi usata per indicare qualcuno che imposta il suo discorso per intercettare l’attenzione, o per farsi intendere, da una cerchia ristretta dei suoi interlocutori totali.
Ecco, Netflix è uno che sa a chi sta parlando, al pubblico di Sorrentino certamente, ma anche al suo pubblico di riferimento, il che non vuol dire che E’ stata la mano di dio sia stato cucito per essere fruibile alla generazione Z, ma per essere fruibile anche alla generazione Z, e se dovesse riuscire in questo intento, di avvicinare Sorrentino anche ai più giovani, preparatevi ad una generazione di futuri registi.

Chimica e poetica

Dunque nessuna suora nana che fuma seguita con accanimento per venti interminabili secondi, tutt’al più un ralenti all’arrivo di Maradona e qualche personaggio di posa che attraversa le notti deserte di Capri.
A proposito di pose (intese come orpelli fini a sè stessi e schietto estetismo), l’impressione della sottoscritta, che si guarda bene dal mettersi a recensire Sorrentino e che di fatto si limiterà ad esprimere questo giudizio, è che si sia scelto di fare un film di profondo senza necessitá di posa, e non certo che quelli prima per posa non garantissero profondità.
E’ stata la mano di Dio però forse insegna come a dar spessore ad un film ogni tanto possa bastare la trama, o il tema principale, il significato più del significante insomma.
Dunque abbandonate la ricerca spasmodica da Settimana Enigmistica di elementi di collegamento fra La Grande Bellezza e questo film perché ne troverete pochissimi.
E’ vero che la poetica di un autore, intesa come insieme di tematiche ricorrenti e modalità d’espressione tende ad essere sempre la stessa nell’arco di una vita, perché in fin dei conti sempre gli stessi sono gli elementi chimici con cui facciamo reazione, ma è anche vero che può essere accresciuta e sensibilmente modificata.

E’ stata la mano di Dio

Per i ciechi e sordi che vivono in una grotta francescana senza wi-fi nè contatti umani di alcun tipo, E’ Stata La Mano Di Dio è per Sorrentino un film autobiografico che copre un momento cruciale della sua vita: la perdita dei genitori in adolescenza e la scoperta del cinema.

A far da sfondo a questa microstoria si muove come spesso accade la Grande Storia dell’arrivo di Maradona a Napoli, secondo formidabile invasore dai tempi degli Asburgo  per impatto sugli usi e costumi di una città.
Maradona in quegli anni non è un Dio, Maradona è Dio stesso, finalmente fatto uomo, regalato ai napoletani, facendo così della città una città-stato a sé stante nella quale vige un politeismo polarizzato fra il culto del calciatore argentino e quello di San Gennaro, presente anch’egli nel film.
E forse è proprio questa marcata territorialità (che noi non condanniamo e anzi, lodiamo e incoraggiamo per il futuro cinematografico italiano) che in fin dei conti smarca la pellicola dalla “stagione romana” , da quella Grande Bellezza American-friendly, perché E’ stata la mano di dio è una storia italiana che non si vende, non è l’Italia spendibile con gli americani ma è l’Italia per come la conosciamo noi: disonesta, ironica, commovente e poetica.

La parte con gli spoiler

Di qui, cari francescani che per puro caso nella grotta avete intercettato la wi-fi, il leggibile per voi si esaurisce e quelli che seguono sono paragrafi di puro, accanitissimo, entusiastico spoiler.

Poiché l’entusiasmo della sottoscritta, che potrebbe assistere al film della lista della spesa di Sorrentino senza batter ciglio ed emozionandosi pure un poco, è davvero incontenibile e dilaga di qua e di là impedendo al pensiero di cristallizzarsi anche in una sola minutissima opinione stabile, ho deciso che non mi butterò in una di quelle recensioni fatte di orpelli galanti e appellativi generosi o passionali, mi limiterò qui di seguito ad appuntare una TOP 5 dei miei momenti preferiti.

5. “Lo sai come fanno gli offesciòr quando lasciano la costa? Tufff.”

Il personaggio dell’amico contrabbandiere è a mio parere il più divertente e intrinsecamente commovente dell’antologia partenopea riproposta da Sorrentino. Apprezzabile il momento di ironia in cui informa Fabio di riuscire a vedere il padre nell’ora d’aria che gli è concessa in prigione (quasi come la parte più truce dello Stato riuscisse nel compito di riunire le famiglie stroncate dalla legalità), sibillino l’avvertimento sul motoscafo  in risposta all’accusa di Fabio di essere un folle: “io non sono pazzo, io sono solo giovane, e tu?”.

4. Frequentare l’ironia, la storia di Patrizia

Lanciando dalla finestra la batteria che permette al nuovo cognato disabile di parlare dalla finestra, Patrizia commette un atto di frequentazione dell’ironia (riprendo un’espressione usata da Sorrentino stesso in un Ted Talk facilmente rintracciabile su YouTube, che magari vi allego qui sotto) , per poi sparire così, in un silenzio che cela l’eco di una risata cattiva, ma vitale, capace di irridere anche il dramma della sua stessa storia. Per lei infatti, la mano di Dio è stata una pacca sul culo, e non s’è vista più.

 

3. La morte dei genitori

Ho letto da qualche parte che in pochissimi nella storia del cinema hanno avuto il coraggio di mettere in scena la morte di un caro, in questo caso dei propri genitori, perché di coraggio ce ne vuole per infilarsi nell’interstizio supremo della propria vita, nel regno del non visto e non visibile e dominarlo, anzi, dirigerlo. Non penso di poter aggiungere altro.

2. Dante al cimitero

“Per me si va ne la città dolente,
 per me si va ne l’etterno dolore,
 per me si va tra la perduta gente”

Grosso riscatto di un personaggio, quello della vecchia arcigna che alla fine usa inaspettatamente la letteratura come dovrebbe essere usata, ovvero in rilettura della vita, quando non la si riesce più ad interpretare. E’ quella la città dolente, quella che rimane dopo la morte dei genitori, quello l’eterno dolore, perché eterno è il suo riverbero, quella la perduta gente, quella che rimane, non quella che se n’è andata.

1. Non solo, ma abbandonato 

Mentre voi siete ancora a domandarvi, giustamente, che significhi la frase “non ti disunire”, e vi dirò che se ho adeguatamente pedinato il personaggio Sorrentino, forse neanche lui lo ha mai chiarito a sè stesso, io sono ancora a chiedermi quale sia davvero la differenza semantica fra l’espressione “essere stati lasciati soli” ed “essere stati abbandonati”, a parte la permeabilità del significante del secondo rispetto al primo, con il raddoppiamento dell’occlusiva sonora “b” che quasi crea una bolla all’interno della parola per poi farla scoppiare sulla “t” finale, con la “o” conclusiva che è la mimesi dello sconcerto. La conclusione a cui giungo è che quando si è stati lasciati soli si può comunque ricominciare a camminare, trovare la propria strada e il proprio passo quasi liberi dal peso degli altri, essere abbandonati regala invece una straordinaria incapacità di progresso, cristallizza le mosse, rende zoppi, ciechi e afoni.

Finchè non si trova il coraggio di ricominciare  a parlare.

E se Sorrentino lo ha trovato alla fine quel coraggio, è stata davvero la mano di Dio.

Francesca Cullurà

È laureata in Lettere all’Università di Firenze ma se la cava discretamente anche nella sacra arte del darsi l’eyeliner. I suoi interessi sono la letteratura, la Formula1 e il vecchio cinema italiano. È convinta di saper guidare meglio di molti uomini.

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