…meglio ancora se in Irlanda!
Ciao a tutti e bentornati su “Attimi di felicità”, il mio breviario dei piccoli momenti di gioia quotidiana. Oggi sono particolarmente colma di entusiasmo, come tutti voi ben saprete il 17 marzo ricorre la festa di San Patrizio, il giorno dell’anno più sentito nella verde e birrosa Irlanda, quale migliore omaggio se non una pinta di stout per festeggiare il lieto evento come i locals?
LA STOUT… NON UNA BIRRA QUALSIASI
Lo avrete ormai notato da mò, la birra è una tematica ricorrente nel mio blog domenicale. Ogni tot di puntate spunta fuori, nascosta dentro ad altri attimi di felicità che vanno a braccetto con la deliziosa e fresca bevanda. In questo caso però, ci buttiamo nello specifico: non vi parlerò di una cerveza qualunque, ma di una delle birre che più mi fa battere il cuore, la birra irlandese. In particolare la stout, altresì detta birra scura (o “amore mio grande”, termine tecnico usato dalla sottoscritta per indicarla). Seppur in Irlanda ci siano altri ottimi tipi di birra, non si può negare che con le stout questi amici dell’isola verde ci sappiano proprio fare. Pensate a una pinta di Guinness appena spillata: corposa, tostata, di un bellissimo color rubino se vista in controluce, con una morbida schiuma in cui tuffarsi per arrivare alla parte scura. La stout è poesia ragazzi, soprattutto se bevuta alla spina, magari proprio in un Irish Pub di uno sperduto paesino sulla costa irlandese.
MY GOODNESS, MY GUINNESS
La stout irlandese più conosciuta ed amata (soprattutto da me) è sicuramente la Guinness, una gioia per il palato e anche per gli occhi. E’ la birra irlandese per eccellenza, di facile reperibilità, sia in bottiglia/lattina che alla spina, e ha un sapore inconfondibile che non delude mai. Ma come insegnano i giri turistici dei pub in loco, non è l’unica Irish stout di qualità prodotta. Si impongono prepotentemente anche la Murphy’s, la Beamish e la O’Hara’s, tanto per citarne alcune delle più famose. La Murphy’s in particolare, quando si assaggia, fa ringraziare il cielo di essere vivi per poterne godere. Se è sempre l’ora per una Guinness, la Murphy’s è quell’amica con carattere che ti rivitalizza la serata. Se fossi sposata con la Guinness, le chiederei dei rapporti a tre regolari con la Murphy’s… Ok, forse sto un po’ esagerando ma, cari amici, la scura non è una birra come le altre. E’ LA birra. Vi spiego subito il perché facendovi usare un po’ la fantasia.
LET’S CALL IT AN IRISH PUB, HEY
Immaginate di camminare infreddoliti sotto la pioggia, in una cupa giornata invernale. L’umidità penetra nelle ossa, il ritmo dei passi è sostenuto nel tentativo di scaldarsi. Le strade e i palazzi sono grigi, e grigio topo è anche l’umore della gente nascosta da cappucci e ombrelli, ma a un certo punto, in una via laterale, avvistate un Irish pub. Un piccolo pub caratteristico, di quelli poco vistosi, con l’insegna illuminata e le luci soffuse che si scorgono dalle vetrate appannate. Siamo in un posto qualunque del mondo, se lo gradite in Irlanda, o anche in un suo piccolo surrogato ricreato in un paese qualsiasi, non è importante ai fini del nostro racconto. La cosa certa è che, in Irlanda o altrove, aprendo la porta di quel pub i sensi vengono investiti dalla malinconica allegria della terra di banshee e leprechaun, dal calore che solo un vecchio pub di stampo irlandese può dare. Se volessimo ricreare l’atmosfera perfetta, dovremmo immaginare il frastuono dato dal vociare che si confonde con la musica, una movimentata ballata folk tenuta in piedi da un gruppo di suonatori di bodhran e whistle, e ancora risate e tavoli usati come tamburi con la mano libera dal boccale. Oppure, per rimanere più minimalisti, una vecchia radio gracchiante ma ancora funzionale, da cui escono note un po’ distorte di melodie che spaziano tra altri tempi e luoghi. La musica ci attira col suo potere ipnotico, così come i passi di danza improvvisati, il battito primordiale dei piedi che tengono il tempo sul pavimento. La nostra camminata sotto la pioggia aveva uno scopo e una destinazione precisa, ma la contagiosa accoglienza del posto ci tenta, potremmo fermarci un po’, giusto il tempo di un drink.
Siamo entrati. Ci facciamo largo tra avventori un po’ brilli e tavoli di legno scritti e incisi dai ricordi di serate passate, quando finalmente, dall’altro lato della stanza, lo vediamo: lungo, imponente, di legno massiccio, ospitale. Ecco a voi il bancone, il regno del barista, lo spartiacque tra gli assetati e le svariate bottiglie di liquori e scotch disposte in ordine sulle mensole. Ma non siamo qui per questo noi, no: abbiamo voglia di qualcosa che scaldi il petto, ma che disseti anche, qualcosa di buono ma non troppo impegnativo. Il barista ci sorride, dobbiamo scegliere. Lo sguardo vaga tra le infinite possibilità, ed è lì che le vediamo: le manopole delle spine, ognuna con l’etichetta di riconoscimento corrispondente a una birra specifica, il suo documento d’identità. Lager, troppo fredda per un clima così. Rossa di alta gradazione, troppo alcolica, non è il momento. Ipa, beverina ma non scalda, ciò per cui siamo entrati. E poi arriva l’Irish stout: fresca al punto giusto, con un retrogusto di caffè e cioccolato, perfetta per questa pausa ristoratrice. E’ lei. Ci vorrà un po’ di tempo in più per la sua spillatura, prima di servirla bisogna aspettare qualche minuto per “farla scendere”, ma l’attesa fa parte del rituale: la vediamo addensarsi sotto i nostri occhi e variare tonalità, da un beige slavato a un caldo marrone scuro. Un colore intenso, ammiccante, pieno di promesse. Tocco finale il caratteristico trifoglio, disegnato sulla schiuma bianca e compatta dalla mano abile del barista.
Solleviamo il bicchiere, ne pregustiamo l’aroma ma ci fermiamo ad annusare il profumo chiudendo gli occhi: sembra di essere davanti alle luci colorate di Temple Bar a Dublino, di passeggiare accompagnati dai musicisti di strada nelle vie di Galway, di perdersi davanti all’oceano che si infrange sulle Cliffs. E finalmente, la prima sorsata: ciò per cui abbiamo deviato il nostro percorso prestabilito, il sapore intenso che solo le birre scure custodiscono. Dovunque tu sia, la Guinness rapisce i sensi e li fa volare in Irlanda, in questa terra di persone gioviali ma dal carattere forte, orgoglioso, determinato, come la loro birra. E sorsata dopo l’altra, aumenta la spensieratezza, la pace col mondo, la voglia di sorridere e di sollevare il bicchiere brindando con i vicini di bancone, nuovi amici per il tempo di qualche pinta. Cheers all’Irlanda, Slàinte!
UN ARGOMENTO MOLTO SENTITO
Ok, questa volta più che un intervento del blog ho scritto un romanzo. Penso sia palese quanto io ami la Guinness, La Murphy’s, gli Irish pub, l’Irlanda, le bevute in allegra compagnia. Vi aspetto tra due settimane cari lettori, auguro un St.Patrick’s Day con fiumi di birra a tutti voi. Ah, il titolo del paragrafo “Let’s call it an Irish Pub” è tratto dalla canzone “An Irish Pub Song” dei fantastici Rumjacks, colonna sonora perfetta per l’occasione, da ascoltare a ripetizione.
A presto miei cari, vi abbraccio.
Ps: giuro, non ho niente contro le lager irlandesi, o le rosse, anzi, sono parecchio buone. Ma ragazzi, la Guinness e la Murphy’s sono la Guinness e la Murphy’s perdio!