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Stanlio & Ollio. Quando cinema e teatro si incontrano

Stanlio & Ollio. Quando cinema e teatro si incontrano

Stanlio & Ollio. Quando cinema e teatro si incontrano

Qualche sera fa, sono andato al cinema a vedere Stanlio & Ollio, biopic sul celebre duo comico diretto da Jon S. Baird ed uscito nelle sale italiane il 1 maggio scorso. Ero curioso per il taglio originale che sapevo era stato impresso al film, che si avvale, come punto di partenza per la sceneggiatura, del libro di A. J. Marriot (LAUREL and HARDY – The British Tours). Le mie aspettative non sono state deluse.

La storia

Siamo nel 1953. Dopo una decade e mezzo dall’apice del loro successo hollywoodiano, Stanlio e Ollio si rimettono in gioco, buttandosi a capofitto in una tournée teatrale in Inghilterra. Ci si aspetterebbe una pomposa produzione e platee di teatri stracolme, sulla scorta dei grandi numeri che la loro carriera cinematografica è stata capace di produrre, ma facciamo nostro l’imbarazzato stupore di Stan e Oliver, quando si vedono scaricare di fronte ad un modesto alberghetto di provincia, che esiste a sua insaputa. Per non parlare delle prime date del tour, in cui, così come i due istrioni, rimaniamo sgomenti del misero pubblico accorso in un ancor più misero teatro.

Che succede? Laurel e Hardy sembrano aver perso l’appeal della novità, sono vittime della loro versione di sé di qualche anno prima, da cui non possono né vogliono prescindere (come, d’altronde, non sono disposti a fare gli spettatori), e poi i tempi stanno cambiando: il cinema e la televisione stanno sempre più prepotentemente soppiantando il teatro, ormai agonizzante e suicida nel tentar di stare al passo coi tempi.

Persone dietro ai personaggi

Ma i due compagni non si danno per vinti, e capitalizzano tutte le loro energie – fisiche e creative – per dare slancio a una tournée che alla fine si dimostrerà il meritato canto del cigno per questa coppia straordinaria, che non solo ridà, come se ce ne fosse davvero bisogno, prova tangibile del proprio talento, ma ritrova l’autentico sentimento di amicizia che la lega. Amicizia che scoprono non investire solo i rispettivi personaggi, ma anche loro stessi. Il titolo del film in questo senso vela il vero focus del progetto, che non si limita a lucidare la vetrina d’esposizione di due maschere già museificate fino all’eccesso, ma le vivifica, vi inietta nuova linfa e riconferisce loro dignità di esseri umani, prima che di personaggi.

Gli attori degli attori

Laurel e Hardy sono impersonati magnificamente da Steve Coogan e John C. Reilly, che non cadono nell’errore di scimmiottare gli originali, facendo un calco meramente formale e rendendosi protagonisti di un vuoto, per quanto raffinato, esercizio di stile – d’altronde, non si può imitare l’inimitabile –, ma mostrano rispetto, umanità e un’intensa sensibilità verso i propri alter ego, ed è così che rendono credibili gag, gesti, giochi di sguardi, tic, che hanno fatto la storia dei veri personaggi. Come non esistevano confini tra palcoscenico e quotidianità per Stanlio e Ollio, così recitazione di primo e secondo livello si fondono, e ogni dettaglio apre la via per un sincero omaggio ai due comici immortali. Di particolare rilievo è anche il ruolo delle mogli di Laurel a Hardy – interpretate molto piacevolmente da Nina Arianda e Shirley Handerson – che dà completezza e verosimiglianza alla storia anche se solo parzialmente tratteggiato.

Nota a margine

Alla fine, così come accade in Inghilterra durante quella tournée del ’53, anche il pubblico in sala resta con l’amaro in bocca, rendendosi conto del peso di un’assenza di due grandi protrattasi per troppo tempo.

Il momento storico che stiamo vivendo – permettetemi questa nota a margine – non è molto distante da quegli anni ’50, in cui nell’arte e nell’intrattenimento, con lo sviluppo di nuovi strumenti di fruizione, si stava aprendo la strada dell’omologazione e della perdita di socialità. Oggi che assistiamo ad un impoverimento culturale ancora di maggiore portata, penso sia urgente comprendere la necessaria e vitale inattualità di mezzi artistici come il teatro, grazie al quale si ha la possibilità di vivere un tempo fuori dal tempo ordinario. Quando decideremo di esimerci anche da questo sforzo, credo sarà un problema, e Laurel e Hardy questo l’avevano capito. Potete giurarci.

Simone Gasparoni

Simone Gasparoni

Classe 1995, studio Filosofia all'Università di Pisa. Allievo ortodosso di Socrate, ho sempre pensato che le parole siano roba troppo seria per abusarne (lo so, lo so, detta così sembra una scusa degna del miglior cerchiobottismo, per dirla in gergo giornalistico). Romantico per vocazione, misantropo per induzione. Attualmente, in via di riconciliazione con il genere umano attraverso la musica, l'arte, la cultura. Per ora, sembrano buone vie. Oltre che all'Unipi, potete trovarmi in giro in qualche locale o teatro a strimpellare la tastiera. O, con più probabilità, a casa mia. P.S. Ecco, l'ho già fatta troppo lunga...

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