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Recensione “Dismorfofobia”, Donatella De Lisi, Eva Gebhardt, Luca Giorgini & Andrea Raballo

Recensione “Dismorfofobia”, Donatella De Lisi, Eva Gebhardt, Luca Giorgini & Andrea Raballo

DismorfofobiaDISMORFOFOBIA – QUANDO VEDERSI BRUTTI È PATOLOGIA

di Donatella De Lisi, Eva Gebhardt, Luca Giorgini & Andrea Raballo

 

Editore: L’Asino d’oro

Pagine: 120

 

 

TRAMA. Cosa si nasconde dietro la convinzione, ostinata e incomprensibile per gli altri, di essere brutti? Quando una preoccupazione per il proprio aspetto fisico smette di essere normale e diviene malattia? E come affrontare l’orrore che queste persone provano verso se stesse tanto da rovinarsi la vita fino all’isolamento e a farsi del male? La dismorfofobia sta assumendo una dimensione sociale sempre più evidente, come dimostrato dalla larga diffusione di interventi di chirurgia estetica non più solo tra attrici, modelle e personaggi pubblici, ma anche tra persone comuni di tutte le età. Trattamenti che si rivelano spesso frustranti e fallimentari perché si cerca di correggere un presunto difetto fisico invece che intervenire a livello psicologico. Questo libro, grazie a un metodo scientifico ma con un linguaggio accessibile a tutti, spiega perché la bruttezza fisica in realtà non esiste e come con la psicoterapia sia possibile ritrovare la propria bellezza unica e originaria.

 

RECENSIONE.

La verità è che riuscire a vedere e accettare la propria bellezza è impossibile per chi è caduto nella malattia e ha negato o annullato la propria e altrui realtà interna. Solo attraverso la psicoterapia si può ricreare l’immagine interiore.

È molto difficile capire che cosa è la dismorfofobia e che cosa comporta alle persone che ne soffrono. Eppure a volte è considerato un sintomo molto grave, che può portare coloro che ne soffrono anche a decisioni definitive come il suicidio. Sembra una dichiarazione molto forte quella che ho scritto, ma purtroppo è così. Con questo piccolo libricino, possiamo comprendere in modo semplice e chiaro in che cosa consiste questa problematica e come, gli psicoterapeuti (mi raccomando: non mettiamoci al posto di chi ha studiato anni per fare questo lavoro) possono aiutare una persona a far affievolire questo malessere, fino a farlo sparire.

Queste persone non sono mai brutte in senso oggettivo, ma “si vedono” brutte: non si tratta di un difetto fisico reale ma di qualcosa che vedono e non gli piace, in cui non si riconoscono. E, in particolare, si tratta di qualcosa legato al proprio mondo interiore.

 

La dismorfofobia, sintomo che ad oggi viene comunemente chiamato disturbo di dismorfismo corporeo è un disturbo che è caratterizzato da una preoccupazione (o più) per difetti estetici inesistenti o lievemente visibili alle altre persone. Questa preoccupazione però, per essere patologia, deve causare una sofferenza clinicamente significativa o compromettere le più semplici attività sociali (lavoro, scuola, spesa, etc). Diversi studi indicano che questa malattia colpisce circa l’1% della popolazione generale (indifferentemente distribuita tra uomini e donne), ma è opinione comune che la diffusione della malattia sia molto maggiore, solo che i pazienti tendono a mantenere segreto il proprio malessere e sono riluttanti a chiedere un trattamento psicologico, preferendo quello estetico.
Quello che il testo analizza prima di tutto è che in realtà il concetto di “bruttezza” non esiste e che la dismorfofobia non è nata – come potremo facilmente dedurre – nell’epoca moderna a causa della diffusione televisiva di aspettative sul proprio aspetto, anzi: anzi, questo interesse ci accompagna da sempre e lo possiamo ritrovare in tutte le epoche storiche (persino in epoca preistorica).

La cosa più importante da evidenziare è che a dare un’idea della bellezza di una persona non sono solo i tratti del viso o la forma del corpo ma anche l’espressione, la luce degli occhi, la consistenza e l’idratazione della pelle, come si muove e come parla, ovvero una serie di elementi attraverso i quali il nostro mondo interno si esprime all’esterno e parla di noi.

Che è quello che purtroppo sfugge alle persone che soffrono di dismorfofobia. Un esempio perfetto per comprendere questo tipo di disturbo è quella persona che molto spesso usa la chirurgia estetica per “migliorarsi”. Niente di sbagliato in ciò, ma gli autori specificano che bisogna capire quando questo bisogno di rifarsi deriva da un malessere psicologico piuttosto che estetico.
Sicuramente abbiamo avuto modo di vedere delle personalità famose che vogliono assomigliare a qualcun altro che reputano perfetto (il primo esempio più eclatante che mi viene in mente è Rodrigo Alves, il Ken umano, ma ce ne sono molti altri).

Quello che si può e bisogna trasformare invece, per aiutare questi malati, è la realtà mentale.

Gli autori specificano in modo chiaro che la dismorfofobia non è una malattia che appare da sé. Questo è – più correttamente parlando – un sintomo che è accompagnato da altre malattie di fondo (la maggior parte delle volte la depressione, ma non è l’unica), “grazie” alla quale il paziente si “fossilizza” sull’aspetto, credendo che modificando quella parte del corpo tutto migliorerà. Ma purtroppo non è così che funziona.
Ovviamente, il testo che ho proposto oggi è molto esaustivo e non riuscirei mai spiegare il tutto in un articolo striminzito: quello che vi auguro è di volersi bene sempre, semplicemente per le persone che siamo. Siamo perfetti così, pieni di imperfezioni.

Buona lettura a tutti,
Rachele.

 

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Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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