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Recensione “Il pane perduto” – Edith Bruck

Recensione “Il pane perduto” – Edith Bruck

Il pane perdutoIL PANE PERDUTO 

di Edith Bruck

Editore: La nave di Teseo

Pagine: 128

 

 

 

TRAMA. Per non dimenticare e per non far dimenticare, Edith Bruck, a sessant’anni dal suo primo libro, sorvola sulle ali della memoria eterna i propri passi, scalza e felice con poco come durante l’infanzia, con zoccoli di legno per le quattro stagioni, sul suolo della Polonia di Auschwitz e nella Germania seminata di campi di concentramento. Miracolosamente sopravvissuta con il sostegno della sorella più grande Judit, ricomincia l’odissea. Il tentativo di vivere, ma dove, come, con chi? Dietro di sé vite bruciate, comprese quelle dei genitori, davanti a sé macerie reali ed emotive. Il mondo le appare estraneo, l’accoglienza e l’ascolto pari a zero, e decide di fuggire verso un altrove. Che fare con la propria salvezza? Bruck racconta la sensazione di estraneità rispetto ai suoi stessi familiari che non hanno fatto esperienza del lager, il tentativo di insediarsi in Israele e lì di inventarsi una vita tutta nuova, le fughe, le tournée in giro per l’Europa al seguito di un corpo di ballo composto di esuli, l’approdo in Italia e la direzione di un centro estetico frequentato dalla “Roma bene” degli anni Cinquanta, infine l’incontro fondamentale con il compagno di una vita, il poeta e regista Nelo Risi, un sodalizio artistico e sentimentale che durerà oltre sessant’anni. Fino a giungere all’oggi, a una serie di riflessioni preziosissime sui pericoli dell’attuale ondata xenofoba, e a una spiazzante lettera finale a Dio, in cui Bruck mostra senza reticenze i suoi dubbi, le sue speranze e il suo desiderio ancora intatto di tramandare alle generazioni future un capitolo di storia del Novecento da raccontare ancora e ancora.

 

RECENSIONE.

Racconta, non ci crederanno, racconta, se sopravvivi, anche per noi.

Molti sono i libri che parlano dell’olocausto e nonostante la storia parli chiaro di quanto è avvenuto, all’interno di questo macro-argomento esistono molte piccole storie di vita che non dovrebbero andare perdute. Il pane perduto di Edith Bruck è un altro piccolo gioiello che tutti noi dovremo avere nella nostra libreria della memoria.

“Allora è diventata sapone come la mia! Noi crepavamo qui nel nostro paese da anni, mentre voi festeggiavate ancora la pasqua! No?”
[…]
“Vai, vai e smettila di piangere, tua madre è andata a sinistra eh? È bruciata!”

Nel libro vincitore del Premio Strega Giovani 2021 e finalista della 75° edizione dello stesso concorso, l’autrice non lascia spazio all’immaginazione. Tutto viene descritto realisticamente, senza fronzoli o romanzature, lasciando però maggiore spazio a ciò che succede dopo la liberazione.

“Non so. Viviamo, vedremo vivendo.  Le nostre vere sorelle e fratelli sono quelli dei lager. Gli altri non ci capiscono, pensano che la nostra fame, le nostre sofferenze equivalgano alle loro. Non vogliono ascoltarci; è per questo che io parlerò alla carta.”

Grazie a testimonianze simili a questa, tutti ormai conosciamo l’orrore che è successo dentro ai campi di concentramento. E tutti, tiriamo un sospiro di sollievo e versiamo lacrime di commozione quando nel film La vita è bella il piccolo Gabriele ritrova la sua mamma e vediamo il lieto fine (non è spoiler perché tutti una volta lo abbiamo visto).
Ma purtroppo la storia e il cinema, in questo senso, ci hanno ingannato: L’odio e il pregiudizio sono difficili da estirpare.
L’autrice, in tal senso, ci lascia un tesoro di inestimabile valore: mette su carta ciò che le è successo dopo la liberazione dai campi.
Racconta il disprezzo e l’incomprensione anche dei suoi stessi familiari che hanno avuto la grande fortuna di non vivere questa esperienza.

“Sciocchezze!  Io aspetto un bambino, ho bisogno di calma. Venite, venite per un bacio, ma lavatevi.”
Forse sarebbe stato meglio morire che baciarla?, ci chiedevano tra noi due, mute.

Il pane perduto è un viaggio nella vita inverosimile dell’autrice che tutti dovremo conoscere. Personalmente, è stato uno di quei libri ho divorato, dal quale ho percepito (per quanto possibile) come ci si può sentire quando sei perso, senza radici, in un mondo che, tutto sommato, forse ti preferiva morto.

La giustizia è una parola che dovrebbe sparire dai dizionari e non andrebbe pronunciata invano, come il Tuo nome.

 

Buona lettura a tutti,
Rachele.

 

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Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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