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Un’estate senza musica? Tra malinconia e nuove opportunità

Un’estate senza musica? Tra malinconia e nuove opportunità

Un’estate senza musica? Tra malinconia e nuove opportunità

Amici di “Non è buio ancora”! È della scorsa settimana la notizia che quella che si accinge a cominciare sarà un’estate senza musica. Non si potranno infatti svolgere concerti sopra i 1000 spettatori all’aperto e 200 al chiuso, fermo restando il dovere di garantire una distanza interpersonale di almeno un metro. Il bilancio è drammatico: oltre 100 artisti e 16 fra festival e rassegne saranno costretti a riprogrammare le proprie date. Restano in piedi (potranno riprendere dal 15 giugno), seppur vacillanti, le piccole produzioni, che però dovranno misurarsi con le norme sul distanziamento e l’igiene.

Siamo di fronte a una situazione inedita, difficile, ennesima manifestazione di uno dei leitmotiv che ha fin qui scandito il nostro tempo (almeno quello di noi millennials): un’altra crisi. Ma facciamoci forza ricordando che etimologicamente crisi ha anche una accezione positiva. Per i greci essa rappresentava un momento costruttivo di riflessione, di valutazione, di discernimento, e aveva la potenzialità di aprire una rosa di scenari inaspettati e fecondi. Naturalmente sta a noi decidere quale prospettiva adottare.

In merito al mondo dell’arte e della cultura, l’auspicio è che tale periodo agisca da catalizzatore per idee nuove e creative. Passiamo quindi in rassegna alcune proposte che potrebbero dare nuova linfa a musica e spettacoli dal vivo, comprese le rispettive filiere.

Il ritorno dell’unplugged?

Se si parte dal presupposto che i live siano esperienze senza possibilità di alternativa, intraducibili sotto forma di surrogati (tesi che sposo completamente), possiamo però pensare a soluzioni che ne modifichino la forma ma non la sostanza. Se viene difficile concepire un concerto rock con la gente distanziata, filtrato dalla componente umana – emotiva ma anche corporea, fisica – è però possibile immaginarne una forma “rimodulata”, per meno persone e in veste diversa.

Potrebbero tornare alla ribalta i cosiddetti concerti unplugged, le formazioni acustiche, le atmosfere intimiste. Certo, per rientrare delle spese si dovrebbero moltiplicare le date, ma ciò alimenterebbe un rapporto più “confidenziale” tra artista e territorio, estraneo al mordi e fuggi dei tempi delle tournée. L’artista tornerebbe ad appropriarsi di spazi e luoghi per lui nuovi, vivendoli appieno, magari traendone ispirazione per lavori futuri. I territori, dal canto loro, ne ricaverebbero un rinnovato slancio, potendo contare su un evidente arricchimento economico, ma anche culturale. Si innescherebbe così una spirale virtuosa proficua sotto tutti i punti di vista.

Less is more…

Questa fase potrebbe offrire il pretesto per compiere un lavoro di sottrazione, di ritorno alle origini, all’essenza delle cose, in una stagione che (almeno musicalmente parlando) era arrivata alla saturazione. Era in opera la metamorfosi del concerto in spettacolo circense, in cui un intrattenimento fine a se stesso travalicava e distraeva dal vero messaggio di cui ogni artista si fa portavoce, messaggio che si perdeva amaramente in un assordante rumore di fondo.

Uscire dal “girello”

In generale, credo urga una riflessione su un nuovo concetto di cultura. Oggi, la cultura sembra ostaggio del divertimento: non è accettabile (ed economicamente vantaggioso) fare cultura prescindendo da una componente ludica, diventata sempre più ingombrante. Specchio di tale fenomeno sono le parole in merito ai lavoratori dello spettacolo del Presidente del Consiglio Conte, per lui identificabili come «I nostri artisti che ci fanno divertire». Senza entrare nella polemica politica, il primo ministro ha dato forse inconsapevolmente lettura dell’appiattimento della cultura in svago attualmente in corso.

L’emergenza da Covid potrebbe farci “diventare grandi” anche in questo senso, e darci l’opportunità di emanciparci da tale visione mortificante (per chi fa cultura come per chi la fruisce). Si richiede però maggiore coraggio negli investimenti e maggiore fiducia nei “consumatori”.

Concerti in streaming anche per l’Italia?

Dopo i primi esperimenti oltreoceano e oltremanica, anche in Italia sembra iniziare la fase dei concerti in streaming. Anticipata dalle numerose dirette Facebook e Instagram che hanno proliferato nei giorni del lockdown, si parla ora di esibizioni online a pagamento, “domestiche” ma non amatoriali. Per l’occasione, le case degli artisti diventano veri e propri set, con riprese audio e video professionali.

Apripista di tale progetto per l’Italia è stato Enrico Pieranunzi, pianista romano tra i protagonisti della scena jazzistica internazionale. Nel suo caso, sono stati organizzati quattro concerti in streaming – 3,99 per il singolo concerto, 14 euro per l’abbonamento ai quattro live. Qualora interessati, restano ancora due concerti, in programma per il 3 e il 10 giugno.

Stasera (sabato 30 maggio) sarà invece l’esordio nello streaming a pagamento per il musicista milanese Andrea Venerus, che ha all’attivo collaborazioni con Gemitaiz, Franco126 e Ghali. Il concerto non si svolgerà a casa dell’artista, bensì al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Inizierà alle 21, durerà un’ora e lo si potrà seguire su Dice al costo di 5,50 euro. Venerus sarà affiancato da Mace (produttore, tra gli altri, di Marracash, Salmo, Fabri Fibra) e dal polistrumentista e compositore Enrico Gabrielli (Calibro 35, Afterhours, Baustelle).

Come eventi gratuiti vi segnalo invece il concerto dei Radiohead del 27 maggio 1994 all’Astoria di Londra, che gli stessi hanno reso disponibile per lo streaming sul loro canale YouTube. Da stasera (sabato 30 maggio), per 72 ore, i Led Zeppelin trasmetteranno poi in esclusiva su YouTube lo streaming di Celebration Day. Si tratta del film concerto della loro performance del 10 dicembre 2007 alla O2 Arena di Londra.

Non perdeteveli!

 

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Simone Gasparoni

Simone Gasparoni

Classe 1995, studio Filosofia all'Università di Pisa. Allievo ortodosso di Socrate, ho sempre pensato che le parole siano roba troppo seria per abusarne (lo so, lo so, detta così sembra una scusa degna del miglior cerchiobottismo, per dirla in gergo giornalistico). Romantico per vocazione, misantropo per induzione. Attualmente, in via di riconciliazione con il genere umano attraverso la musica, l'arte, la cultura. Per ora, sembrano buone vie. Oltre che all'Unipi, potete trovarmi in giro in qualche locale o teatro a strimpellare la tastiera. O, con più probabilità, a casa mia. P.S. Ecco, l'ho già fatta troppo lunga...

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