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Recensione “Il Colibrì”, Sandro Veronesi

Recensione “Il Colibrì”, Sandro Veronesi

Il colibrìIL COLIBRì

di Sandro Veronesi

 

 

 

Editore: La Nave di Teseo

Pagine: 366

 

SINOSSI. Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di continue sospensioni ma anche di coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti. Non precipita mai fino in fondo: il suo è un movimento incessante per rimanere fermo, saldo, e quando questo non è possibile, per trovare il punto d’arresto della caduta – perché sopravvivere non significhi vivere di meno. Intorno a lui, Veronesi costruisce un mondo intero, in un tempo liquido che si estende dai primi anni settanta fino a un cupo futuro prossimo, quando all’improvviso splenderà il frutto della resilienza di Marco Carrera: è una bambina, si chiama Miraijin, e sarà l’uomo nuovo. Un romanzo potentissimo, che incanta e commuove, sulla forza struggente della vita.

 

RECENSIONE.

Io credo che tu sia la parte migliore della mia vita, quella senza bugie, senza inganni o incazzature (mi hai chiamato ora, ora mi perdo), la parte che si può sognare, anche la notte, perché io continuo a sognarti.

Ho conosciuto questo libro per puro caso. Conoscevo Sandro Veronesi per le sue opere, ma mi sono avvicinata alla lettura di un suo romanzo solamente con questo suo libro dal nome curioso: “Il Colibrì”. Avendo assistito alla presentazione di tale opera al Pisa Book Festival e dopo aver visto un riscontro così forte e entusiasmante, ho capito che non dovevo farmi sfuggire l’opportunità di acquistarlo e leggerlo.

Devo ammettere che il mio istinto non sbaglia (mai).

Il romanzo di Sandro Veronesi ha come protagonista Marco Carrera, un oculista fiorentino che ha un curioso soprannome: Il Colibrì. Nomignolo datogli dalla madre per via della sua piccola statura, a causa della mancanza dell’ormone della crescita, il quale ha portato Marco a sottoporsi successivamente ad una cura sperimentale per ovviare al problema.

L’inizio del testo è veramente molto incalzante e interessante, la lettura è molto scorrevole e racconta la trama un poco per volta, lasciando il lettore in uno stato di “suspense”. Caratteristica che (secondo me) dà al romanzo questa particolarità è sicuramente la struttura narrativa che ha continui salti in avanti e indietro nel tempo (arrivando anche a narrare nel futuro, precisamente nel 2030).

Pretendere che la vita sia solo piacevole è infantile.

E il nodo centrale di questo testo è proprio lui, quel sentimento che vuole essere taciuto ed eliminato il più possibile dalle nostre vite: Il dolore. In un momento storico come questo, dove il dolore è solamente una scocciatura, un sentimento inutile, Sandro Veronesi, attraverso il suo Marco Carrera, vuole insegnarci che il dolore è un dispositivo di crescita, di miglioramento e invece di evitarlo e rinnegarlo, dovremmo accoglierlo dentro di noi e trattarlo positivamente. Il dolore ci viene presentato a piccole dosi, non con delle scene plateali, ma anzi ordinarie, fredde; in modo tale che il dolore ci passi accanto, che ci renda consapevoli della sua esistenza ma che non ci faccia troppo male.Marco infatti, ha una vita tutt’altro che semplice: ci sono molte vicende raccontate che meriterebbero spazio, molte delle quali sono state citate da altre opere (come puntualizza lo stesso autore nelle sue note finali).

I tipi di dolori che incontriamo sono tanti, ma quello che a me personalmente ha colpito di più e che è anche quello più presente nel romanzo, è l’amore per Luisa Lattes, un’amore che va avanti, per 40 anni, da quanto questi erano adolescenti, ma che purtroppo non ha mai visto il suo coronamento. Il loro rapporto va avanti prevalentemente per corrispondenza; Marco e Luisa per me sono come due numeri primi: molto vicini, ma mai abbastanza per potersi toccare davvero. E proprio questo emerge dalle lettere che si scrivono: un amore che paradossalmente fa male, che vorrebbe sbocciare, essere vissuto, ma che, per un motivo o per un altro, non ha mai la possibilità di uscire davvero alla luce.

[…] Io non avevo mai girato in taxi. A Firenze credo di non aver mai preso un taxi da sola. Non sapevo che cosa bellissima fosse girare in taxi di notte. Prenderlo al volo, agitando la mano dal marciapiede, come nei film. Non sapevo proprio nulla dei taxi. Per esempio ho imparato che se la scritta ‘Taxi Parisien’ è illuminata di arancione vuol dire che il taxi è occupato, mentre se è illuminata di bianco è libero. E se è illuminata di bianco, giuro, basta sollevare il braccio e quello si ferma. È straordinario. Ma forse tu lo sai già, anzi, di sicuro lo sai già. Io no, non lo sapevo. E quando sono dentro, e ho appena dato l’indirizzo all’autista, e la macchina è appena partita, e scivola per strade e piazze illuminate e deserte, io comincio a sentire che tutte le cose che ho fatto nella lunga serata appena finita si dissolvono: si dissolvono le facce dei ragazzi con cui ho ballato, bevuto, fumato, si dissolvono le banalità, si dissolve tutto, e io mi sento bene. È in quei momenti che mi capita di pensare a te. Sento che tutte le cose superflue mi abbandonano e mi accorgo che se alla mia vita togli tutte le cose superflue l’unica cosa che rimane sei tu.

Marco è un esempio lampante di quello che adesso chiamiamo Resilienza. E’ un protagonista che avrebbe 100 motivi per lasciarsi andare e farsi sopraffare dal dolore, gettare la spugna e abbandonare tutto, ma invece (anche con difficoltà a volte, certo) riesce sempre a trovare 101 motivi per continuare a combattere e ad andare avanti, perché La vita è bella tutta, pacchetto completo gioia e dolori. Sandro Veronesi, infatti ce lo comunica in tutti i modi e fino alla fine quando nel 2030 Marco prende una decisione molto forte, quasi contraddittoria, potremo pensare. Per me non lo è affatto, è invece, ancora una volta, prendere consapevolezza sulla sua situazione; ed è anche una scelta di amore, verso sé stesso ma anche verso i suoi cari che gli sono accanto.

“Il Colibrì” è un libro trovato per caso ma tenuto per scelta, sempre in bella vista nella mia libreria. Per ricordami sempre che la vita è alti e bassi, ma è proprio per questo che è bella. Così. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. 

Vorrei concludere con un altro estratto del libro, quindi vi lascio augurandovi un Buon Natale e un nuovo inizio, che sia come voi lo desiderate.

[…] E ho capito, all’improvviso (ecco perché all’improvviso ti scrivo, anche se so che non mi risponderai) che tu sei davvero un Colibrì. Ma certo. E’ stata un’illuminazione: tu sei davvero un Colibrì. Ma non per le ragioni per cui ti è stato dato questo soprannome: tu sei un Colibrì perché come il Colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il Colibrì è capace di volare all’indietro. Ed ecco perché starti vicino è così bello. E però, quello che per te viene naturale, agli altri riesce difficilissimo.

 

Buon Natale e soprattutto: Buona lettura a tutti!

 

Rachele.

 

 

 

 

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Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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