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Il lato oscuro dei social. Il film choc sugli spazzini del web

Il lato oscuro dei social. Il film choc sugli spazzini del web

Il lato oscuro dei social. Il film choc sugli spazzini del web

Delete, delete, delete, ignore, ignore, delete, delete…

Per rimanere fedeli a una delle mission che questo blog si propone – parlare di cose che scuotono le coscienze nel mondo del teatro e dell’arte in generale – oggi vorrei sottoporvi uno degli ultimi contenuti – stavolta attingendo dal grande schermo – che mi ha letteralmente sconvolto, ma che purtroppo non ha avuto sufficiente risalto. Sono andato a vedere per voi Quello che i social non dicono – The Cleaners, documentario dei registi tedeschi Hans Block e Moritz Riesewick presentato al Sundance Film Festival 2018 e uscito al cinema in Italia dal 14 al 17 aprile. Si parla dei content moderators, le persone che, alla stregua di moderni censori, decidono se e quando i contenuti che postiamo sui social sono appropriati alle policy delle rispettive piattaforme. A seguito del caso Cambridge Analytica e delle recenti intenzioni di Zuckerberg di imprimere un cambio di rotta a Facebook – preferendo contenuti volatili e più privati e “alleggerendo” il News feed”, – mi sembrava interessante approfondire la questione.

I Cleaners: moderatori di contenuti

Ci si aspetterebbe che il lavoro di filtraggio del materiale pubblicato sia unicamente appannaggio di algoritmi ad hoc, data la mole di dati da trattare, ma fin dall’inizio del film siamo catapultati negli uffici di impiegati apparentemente comuni e anonimi, sacerdoti di una moderna preghiera – delete, ignore – proferita davanti a uno schermo ancora più banale. Si scopre che abbiamo di fronte dei content moderators, delle persone che, per 10 ore al giorno, devono visionare un flusso di 25mila immagini e video e decidere della loro permanenza in rete. Con un margine di errore di tre immagini al mese.

Apprendiamo che ci sono decine di migliaia di spazzini del web, e che quella di Manila, nelle Filippine, è l’unità più numerosa. Il film raccoglie proprio le testimonianze di alcuni operai filippini.

Chi sono i Cleaners: profili tipo

La libertà incondizionata che sembriamo esperire sui social, è in realtà necessariamente di facciata. Una piattaforma come Facebook, inglobando la più grande popolazione al mondo rispetto a qualsiasi stato, come stato si comporta, esigendo e attuando un controllo pervasivo e capillare sui propri utenti.

In quest’ottica, i Cleaners sono l’estrema propaggine. Mentre Zuckerberg pronuncia i suoi speech illuminati, e le alte sfere di Google, Youtube e Twitter sono impegnate a rendere conto ai Membri del Congresso in sede processuale nell’ambito delle Russia & 2016 elections investigations, a Manila gli operatori ecologici della rete passano in rassegna decapitazioni, mutilazioni, esecuzioni, abusi sui minori. Gli stacchi della camera sono salvifici, e danno prova di quanto sia terribile reggere il fardello di questo stillicidio quotidiano. Quando intervistati, lo sguardo dei Cleaners è perso nel vuoto, spento, come se i pigmenti dell’iride fossero ormai sostituiti dalla stessa luce blu e fredda degli schermi che ogni giorno si riflettono nelle loro pupille.

Le testimonianze che ci vengono offerte sono di ex dipendenti, i luoghi di lavoro sono riproduzioni fittizie e chi ancora lavora si palesa solo attraverso le trascrizioni delle mail con cui i registi hanno comunicato con i Cleaners. I content moderators devono rimanere invisibili. Nella maggior parte dei casi, nemmeno le loro stesse famiglie sono autorizzate a sapere quello che vedono giorno per giorno. Semi automi, dunque. Che però alla fine mostrano tutta la drammaticità e la fragilità della loro condizione.

Quando un collega non si presenta al lavoro, un brivido collettivo fa contorcere la schiena. Poi si ricomincia.

Il lavoro dei Cleaners

Vi è una vera e propria divisione del lavoro. Ci sono gruppi di Cleaners specializzati in terrorismo, in pedopornografia, in autolesionismo, in bullismo. Particolarmente sconvolgente è quando uno di loro racconta di aver assistito in diretta video ad un suicidio per impiccagione, dichiarando di non aver potuto fare niente finché l’atto non si è effettivamente consumato – a quel punto era autorizzato a oscurare il video. Come in una moderna arena, gli altri utenti incoraggiavano il suicida invece di denunciare l’emergenza, in una spirale di generale abbrutimento degna dei più terrificanti film distopici.

La non plasticità dei criteri di revisione, applicati poi da persone non specificamente qualificate, dà luogo a situazioni paradossali, in cui si censurano immagini satiriche e voci di dissenso – è il caso di un dipinto di Trump che lo raffigura coi genitali sottodimensionati – o di documentazione storica, e si confondono foto dell’ISIS con del repertorio militare.

Perché le Filippine

Ma che cosa rende i Cleaners filippini particolarmente adatti a questo lavoro? Subdolamente, si fa leva sul loro background politico e religioso. Al livello politico, godono ormai di un appoggio popolare granitico i deliri di epurazione e le modalità di azione giustizialiste e squadriste del presidente Duterte, condottiero – a suo dire – di una guerra contro tossici e spacciatori. Il retroterra religioso, d’altro canto, essendo principalmente cristiano, è dominato da un forte senso di sacrificio, di abnegazione. L’opera che i Cleaners sono chiamati a compiere sul web è quindi la perfetta proiezione della missione cristiana di contrastare i peccati del mondo.

Riflessioni a margine

Tutto ciò è impressionante, e apre tutta una serie di questioni determinanti per il nostro futuro. Qual è il confine tra controllo dei media e libertà? Quanto spazio resta per il dissenso? Quando si può parlare di censura vera e propria? Quanto è affidabile un giudizio su un oggetto decontestualizzato? Qual è il ruolo dei media nei rovesciamenti politici, e quanto di sporco vi annidano – come sotto ad un tappeto – le attuali democrazie?

Bene che vada, si delinea all’orizzonte un graduale smussamento, un generale appiattimento dell’informazione, che diventerà sempre meno spigolosa. Bene che vada.

Delete, delete, delete, ignore, ignore, delete, delete…

Simone Gasparoni

Simone Gasparoni

Classe 1995, studio Filosofia all'Università di Pisa. Allievo ortodosso di Socrate, ho sempre pensato che le parole siano roba troppo seria per abusarne (lo so, lo so, detta così sembra una scusa degna del miglior cerchiobottismo, per dirla in gergo giornalistico). Romantico per vocazione, misantropo per induzione. Attualmente, in via di riconciliazione con il genere umano attraverso la musica, l'arte, la cultura. Per ora, sembrano buone vie. Oltre che all'Unipi, potete trovarmi in giro in qualche locale o teatro a strimpellare la tastiera. O, con più probabilità, a casa mia. P.S. Ecco, l'ho già fatta troppo lunga...

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