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L’eau froide | Il Cinema dei Margini

L’eau froide | Il Cinema dei Margini

Il Cinema dei Margini

Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine, è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.

Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.

Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’ apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.

L’Eau Froide

Nel 1972 Gilles e Christine, figli entrambi di genitori divorziati, compagni di liceo, di tormenti e di affetto, affrontano diversamente le loro problematiche vite.

Colti in flagrante nell’atto di saccheggiare dischi in un supermercato, Christine è spedita dal padre in un istituto psichiatrico da dove riesce, però, a trovar fuga.
Complici di una notte insieme e della evidente diversità che li accomuna, Gilles e Christine, scelgono di abbandonare tutto verso un ignoto in cui affermarsi.

eau froide

TITOLO ORIGINALE: L’eau froide
NAZIONALITÀ: francese
ANNO: 1994
REGIA: Olivier Assayas
GENERE: drammatico
DURATA: 92 minuti
CAST: V. Ledoyen; C. Fouquet
SCENEGGIATURA: O. Assayas
MUSICHE: H. Chauvel
FOTOGRAFIA: P. Lenoir
MONTAGGIO: L. Barnier

“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Queste, le parole del filosofo Nizan, sembrano indicarci la materia prima di cui l’eau froide, opera del cineasta francese Olivier Assayas, si compone.
Un’esplorazione a tutto tondo dei sentieri selvaggi che il disagio giovanile può percorrere all’interno degli animi ribelli e tormentati dei due protagonisti Gilles (Cyprien Fouquet) e Christine (Virginie Ledoyen), è ciò in cui Assayas abilmente si cimenta.
Vi riesce restituendoci, grazie alla sua illuminata capacità registica di conferire un’anima nervosa all’intera pellicola, la verità delle emozioni dei due protagonisti.
Offrendoci una via invisibile per accedere alla febbrile energia che ne agita e ne infiamma i mondi interiori.

Prodotti entrambi di due famiglie distrutte in una Francia dei primi anni Settanta, Gilles e Christine, presentano differenti modi di interpretare ed esprimere il proprio malessere seppur mossi dallo stesso anelito: la libertà.
Elegge un modo più rumoroso ed esplosivo lui; si muove intimamente e implosiva per vie più segrete, lei.
Se il primo, infatti, fa gridare la sua rabbia nella dinamite che l’amico gli procura, in atti di avulso e improvvisato bullismo, in una concitata e solitaria declamazione di alcuni versi di Ginsberg; l’altra ha lentamente eretto un’invisibile barriera tra sé e il mondo. Quel lucido isolamento emotivo proprio di chi vuol sentirsi più al riparo dal dolore.
Forti dell’amore assurdo che li lega, i due, trovano risposta alla loro urgenza di vita nella messa a punto di una fuga verso il Sud.
Unico mezzo che essi possiedono per tentare di affermare la libertà di cui abbisognano.

È la libertà estrema di appartenersi quella che essi sperano.
La libertà onnipotente di chi ha vent’anni e crede ostinatamente di poter fondare un mondo nuovo.
La libertà di plasmare quell’inquietudine che li muove e li lima.
La libertà filosofica di scegliere se e come esistere a cui solo Christine riuscirà ad aderire sino in fondo risolvendosi in una pagina bianca.
Il coraggio del Tutto nel Nulla.
La sua struggente dichiarazione d’Esistenza.

È la voce della complessità dell’essere ragazzi, quella con cui ci parla Assayas.
Un affresco che incorpora insieme uno sguardo impietoso verso il desolato panorama della realtà, ma luminoso e carico di affetto verso le fragilità con cui ogni gioventù è costretta a consumarsi, confrontarsi e a crescere.

“Freedom is just another word
for nothing left to lose,
nothing don’t mean nothing
if it ain’t free.”

Sulle note di Me and Bobby Mcgee di Janis Joplin il film si congeda dallo spettatore.

Come a rammentarci ancora per un po’ il sapore forte di quelle volontà indomite di quando si ha vent’anni e si può tutto.

eau froide

Serena Marconi

Serena Marconi

Serena Marconi è un'apprendista filosofa alla disperata ricerca di un suo posto in questo angolo di mondo strano. Nell'attesa di trovarlo si diletta in viaggi esplorativi tra i posti più disparati, dalla Namibia all'Argentina sognando il Tajikistan, e trova vita e ristoro nelle parole dei libri, nell'intensità della musica e soprattutto nei mondi altri del Cinema.

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