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La geometria dell’oscurità

oscurità

Tutto ciò che accade fra le tenebre è più indefinito, anche solo per suggestione, di ciò che si manifesta alla luce del sole. Come se i raggi della verità non riuscissero a filtrare oltre la densa coltre di fantasmagorie che protegge ogni suo ospite nell’anonimato. I figli del buio non hanno dei contorni definiti, una forma da usare come guscio del proprio sé: anzi, è l’oscurità stessa a non avere una forma, neanche nell’immaginario comune.

Chissà per quale motivo, quando si pensa alla luce, in primis quella solare, lo si fa immaginandosi linee rette, o fasci di linee rette. Questo ancor prima di informarsi sulla duplice natura – ondulatoria e corpuscolare – della luce. D’altronde, la sua geometria è il risultato dell’idea, stratificata nel tempo, grazie anche ad arte e letteratura, che i raggi solari ci giungano come linee rette.

«Ai bordi del paese un cane latrò, ma breve e spaurito. Scuriva precipitosamente, ma sopra le creste resisteva una fascia di luce argentea, non come un margine del cielo ma come una effusione delle colline stesse». – Beppe Fenoglio

Di tutt’altra natura è la geometria dell’oscurità che la mente umana ha costruito, consapevolmente o meno, nel corso della storia. Sfugge, invero, all’intelletto la possibilità di mettere a fuoco una forma di ciò che, per consuetudine, quest’ultimo associa a una pervasiva angoscia, a un indefinito senso di paura, financo all’impossibilità di scorgerne un orizzonte in grado di saziarne il pensiero.

«Ti posso dare la mia tristezza, la mia oscurità, la fame del mio cuore; cerco di corromperti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta». – Jorge Luis Borges

In effetti, sarebbe più corretto dire che la percezione dell’oscurità non fornisce alcun elemento concreto con il quale poterla incasellare nell’universo della geometria. Forse, quanto alla capacità di inghiottire luce e materia, potrebbe essere efficace notarne l’affinità con un buco nero, come se questo – mettendo un attimo da parte le discipline scientifiche che lo trattano dettagliatamente – potesse essere composto da null’altro che oscurità.

La prima foto di un buco nero

È interessante notare, inoltre, che il dualismo bene-male subisca lo stesso destino: laddove il disegno di una buona azione ha tratti marcati e inconfondibili, quando ci si trova a dover tradurre l’ontologia del male nella vita di tutti i giorni, si fa enormemente più fatica. I contorni sembrano notevolmente più sbiaditi, evanescenti, come se il senso della vista non fosse sufficiente a distinguerli: occorre allora aggrapparsi al proprio senso morale, che, se sufficientemente sviluppato, è in grado di discernere la forma del male da quella del bene.

Eppure nell’oscurità possono venir disintegrate le stesse categorie di bene e male, così come il senso morale in grado di analizzarle. Così come svanisce ogni altro senso a disposizione dell’uomo: grida di gioia o di dolore che diventano inudibili; verità da toccare e luci da cui lasciarsi abbagliare inghiottite con uguale efficacia; odori e sapori che non riescono a materializzarsi neanche nella propria immaginazione.

L’oscurità carnivora divora ogni frammento di ciò che ci distingue come essere umani. Se ci si pensa, in effetti, quello di esser inghiottiti dall’oscurità, è un destino intrinseco all’essere umano, condannato a perdere, progressivamente, gli affetti, i ricordi, i sensi, la capacità di ragionamento.

Riadattando i versi della Genesi per i presenti fini, si può affermare che oscurità eravamo, e oscurità torneremo.

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