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QUI NON SI FA POLITICA

QUI NON SI FA POLITICA

Qui non si fa politica” si scriveva durante il fascismo , tanto la politica la faceva qualcun altro per te, quel qualcuno che ogni tanto si degnava di affacciarsi al balcone per un’”adunata oceanica”. E poi a cosa serve fare politica o parlare di politica in un regime che vuole sudditi e non cittadini. Perché a ben guardare “politica” deriva dal greco “polis” , città , e quindi politica è l’attività del cittadino libero, di colui che partecipa, perché non c’è niente di peggio dell’indifferente, del “menefreghista” e non a caso uno dei motti del fascismo era “me ne frego”.

Se si capisce il perché del “non si fa politica” del Ventennio che significava dispregio della politica, fa specie sentire un politico di oggi, attento ad ogni stormir di post e di tweet, come Matteo Salvini (ancora oggi ministro pro tempore degli Interni) dire che “per fortuna che gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti futuro”.

Eh no, ministro, a meno che non si intenda propaganda spicciola, tipo i post dalla spiaggia del Papeete, non è un fortuna, fra l’altro tutta da verificare, che gli insegnanti facciano “meno politica”. Perché politica significa cittadinanza e un buon insegnante, oltre ai contenuti specifici, deve creare un percorso per gli studenti per farne buoni cittadini, per portarli alla scoperta del mondo che ci circonda, per farli diventare menti critiche e non analfabeti funzionali. L’insegnante che non fa “politica” è quindi un insegnante dimezzato che non fa vivere e non vive appieno la sua cittadinanza e quella della comunità classe con la quale interagisce.

Perché è questo il senso e invece si avverte in certe affermazioni ministeriali, una sorta di disprezzo per la politica partecipata che non sia traducibile in like sui social.

Cosa significa far politica in classe ? Quando faccio politica in classe (perché si, mi spiace, sono uno di quelli che fa politica) cerco di far sentire i ragazzi partecipi della loro comunità, compreso il territorio in cui vivono. Cerco di far capire, anche con il mio esempio, che siamo comunità anche noi, che siamo una cellula della democrazia partecipativa.

Faccio politica con la bellezza della letteratura: c’è qualcuno di più autenticamente politico di Calvino, di Primo Levi , ma anche di Stefano Benni, di Niccolò Ammaniti e così via.

Faccio politica parlando della nostra Costituzione, dei valori di libertà che la ispirano e come questi valori di libertà non siano una cosa solo per noi, ma per tutti i diseredati della Terra, sono valori universali.

Faccio politica parlando di ambiente e di sviluppo sostenibile in un mondo sempre meno attento alle sue risorse e al destino che lo attenderà in pochi decenni

Faccio politica parlando di legalità, in un paese dove sono ancora presenti mafie e corruzione.

Faccio politica parlando della donna , dei suoi diritti, delle sue aspirazione e del perché le donne siano ancora oggi vittime di violenze ,quasi sempre in famiglia.

Faccio politica perché dico loro che le razze non esistono, esiste solo l’uomo.

Faccio politica perché voglio che i ragazzi pensino con la propria testa, ognuno con le proprie idee anche contrapposte, ma in un dibattito civile.

Faccio politica perché, nel limite delle mie forze, non diventino analfabeti funzionali pronti a credere alla prima fake new.

Insomma non fare politica non significa guardare al futuro, ma guardare indietro a quel cartello “qui non si fa politica”.

E sono contento di far parte di quella minoranza, a detta del ministro, che fa politica , che crede nella politica come elemento di crescita e di civiltà.

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