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GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

Ogni società ha i suoi riti di passaggio: in Polinesia devi passare attraverso la bocca di un pescecane (opportunamente defunto), altrove ti lasciavano da solo in una foresta, da noi, più modestamente, il rito si chiama “esame di maturità” o più pomposamente “di Stato” e coinvolge ogni anno, a giugno, migliaia di diciannovenni divisi fra voglia di mare e studi matti e disperatissimi fino all’ultimo momento. Perché, grazie anche alla suspense creata ad arte, si materializza quel clima di attesa , quella insicurezza su cosa uscirà fuori, su chi sono i commissari di esame, tanto che che crea un’aspettativa febbrile più che passare attraverso i denti del pescecane morto.

Il toto commissario è incredibile. Di solito sono le solite persone che da anni girano per le varie scuole come trottole interscambiabili e quindi conosciuti anche dai muri , tutti sanno tic e manie dei vari prof.

Il bello sono i gruppi social nati per scambiarsi le opinioni sui vari “commissari”, con ex studenti compiacenti che postano giudizi. Li consulto ogni anno con piacere, e sono sempre più convinto che il Ministero dovrebbe leggerli, con buon senso ovviamente: sono il più articolato e esatto repertorio dei vizi e virtù (didattici ovviamente) dei docenti. Conoscendo spesso i docenti biografati in poche righe, assicuro che valgono più di una seduta psicoanalitica, sono portentosi. Rappresentano quel teatrino dei personaggi che poi reciterà a soggetto nelle varie commissioni.

Le prove scritte, pur con le varie modifiche, hanno una costante fissa da decenni: la prima prova, quella di Italiano, è sempre la più rilassata, c’è quasi un clima da compagnia allegra; ad una certa ora spuntano fuori biscotti e schiacciatine, una sorta di grande picnic della lingua italiana. La prova più sentita è invece la seconda che non ammette svolazzamenti e personalismi, è quella più temuta , in particolare Matematica, lo spauracchio della scuola italiana. E non si capisce il perché, perché mai i finlandesi la vivono in modo più rilassato e hanno maggiori competenze (come ci dicono le statistiche mondiali), qualcuno ipotizza il freddo e la carne di renna, ma i motivi spesso sono i programmi mastodontici e irrealizzabili ,in Italia, sui quali si parla , si parla, ma nessuno ci mette mai mano.

Quest’anno niente terza prova, quell’insulso quizzone, croce di tutti gli studenti, e niente “tesina” per iniziare il colloquio. La varietà delle tesine era pazzesca , a seconda ci fosse o meno un docente che ne seguisse lo svolgimento, si andava da lavori quasi universitari a pagine copia/incolla fatte i dieci minuti. Giusto eliminarla o giusto riqualificarla?

Il problema non si pone più,in quanto è stata sostituita da buste, sì, come quelle del buonanima di Mike Bongiorno nei vari indimenticabili quiz tv, con dentro uno spunto, inserito dalla commissione. Che cosa? Una foto, una motto, un verso. Un percorso ridotto a pillola dal quale lo studente, mai abituato a lavorare così nella scuola italica, dovrebbe partire per voli pindarici e interdisciplinari sulle sudate carte del passato anno scolastico.

Cosa rimane di tutto questo alla fine dell’esame per uno studente? Forse qualche illusione e qualche delusione. Soprattutto avere spezzato il guscio allo stesso tempo stesso protettivo e opprimente della scuola, la nostalgia di certi piccoli rituali che saranno visti con rimpianto e talvolta con fastidio, l’essere sull’orlo di un mondo nuovo, pieno di incognite, ma con una sua bellezza, la bellezza del nuovo, dell’essere più liberi.

Affacciandomi alla finestra della scuola in cui sono commissario di esame (ormai è un’abitudine farlo) ho visto una delle solite scritte sul muro : “Non ho chiesto a nessuno d nascere perciò lasciatemi vivere come voglio”. Ecco avrei voluto staccare quel pezzo di muro e metterlo in una busta gigantesca da dare al colloquio ad ogni ragazzo e ragazzo. Perché questo mi piace ebbe e questo vorrei, che, aldilà del solito rituale, tutti potessero dire quello che vogliono essere e viverlo in libertà. Se così fosse la scuola avrebbe raggiunto il suo obiettivo e saremmo tutti pronti a passare, indenni, nella bocca del pescecane.

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