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La natura del dubbio come essenza del progresso

dubbio

«Cogito, ergo sum».

Chi non ha sentito almeno una volta nella vita la frase manifesto del pensiero cartesiano: «Penso dunque esisto». Una conclusione che Cartesio trae, dopo un elegante ragionamento, a partire da una semplice premessa: quella di dubitare di tutto ciò che ci si presenta dinnanzi. Dei sensi, che mi possono ingannare, dei ragionamenti, che possono essere falsi, e in generale di ogni mio pensiero, nella misura in cui questo possa essere corrotto in qualche modo.

Il dubbio metodico è ciò su cui va costruita l’intera conoscenza, perché quello di dubitare di ogni affermazione, considerandola falsa fino a prova contraria, è l’unico modo per giungere a un reale discernimento del vero dal falso. Ben lontano dal dubbio scettico, conclusione dell’idea che non possa esistere una verità, quello di Cartesio è piuttosto un punto di partenza, un metodo – appunto – per scoprire se esiste qualcosa di cui non si possa dubitare in alcun modo.

Prima di giungere alle tre parole-simbolo della sua filosofia, Cartesio individua una prima certezza, una verità indubitabile: quella di dubitare, ovvero di pensare che una cosa sia falsa. Infatti se stessimo dubitando di dubitare, staremmo tuttavia ipso facto dubitando e, detto in altre parole, dubitare di pensare equivale ancora a pensare. Il pensiero è quindi l’unita di misura della nostra esistenza: noi, anche fossimo null’altro che sostanza pensante (res cogitans), esistiamo.

Si può soprassedere sull’intero argomento cartesiano e sulle svariate critiche rivoltogli, perché ciò che ci interessa in questa sede è l’aver afferrato che un dubbio genuino, non viziato da forme di scetticismo, è un essenziale presupposto di una conoscenza certa, o comunque che aspira a esser tale.

Peirce, uno dei massimi esponenti del pragmatismo, corrente filosofica nata negli Stati Uniti nel primo ‘900, sostiene che il dubbio sia la naturale conseguenza di una mancata soddisfazione delle nostre aspettative, frutto delle nostre credenze. In tal senso, il filosofo americano parla di «irritazione del dubbio», che, ben lungi dall’avere una valenza negativa, è di importanza vitale per la ricerca scientifica.

La ricerca, infatti, prende atto dei dubbi che si insinuano in un certo sistema di credenze, che fino a quel momento si presentava come “sicuro”, e cerca in tutti i modi di risolvere questi dubbi, dando origine a nuovi sistemi di credenze. In un certo senso, non sarebbe scorretto dire che il dubbio, inteso come strumento critico, è il motore del progresso, non solo scientifico, ma umano.

Anche nel falsificazionismo popperiano si può leggere, fra le righe, il tentativo di sottolineare l’importanza del dubbio.

Certo, l’obiettivo di Popper era un altro, ossia quello di demarcare la scienza dalla pseudoscienza. Un’asserzione – e per estensione una teoria – per essere scientifica, doveva poter essere falsificata dall’esperienza. Se questa avesse superato il vaglio critico del controllo, avrebbe potuto dirsi corroborata, più vicina alla verità, in un certo senso.

Il dubbio non è solo un elemento fondamentale nella ricerca scientifica, ma ne costituisce un presupposto ineliminabile. Una teoria, per avere diritto allo status di “scientifica”, deve possedere delle condizioni sotto le quali sarebbe, in linea di principio, falsificabile alla luce dell’esperienza. In altre parole, una teoria deve essere intrinsecamente esposta al dubbio critico.

È interessante scorgere nel dubbio una costante tensione tra l’essere la nemesi della certezza e, contemporaneamente, l’essere il suo alter ego. Il dubbio non è che l’altra faccia della medaglia di un progresso scientifico – e umano – che si mostra più facilmente nel suo lato maggiormente conosciuto, quello della verità.

Ma nell’oscurità di una certezza dogmatica si correrebbe il rischio di perdersi, se il percorso non fosse costantemente illuminato dal dubbio razionale.

Quindi, dubitate, o voi ch’entrate. Dubitate sempre!

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