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“It’ll be grand” e altre controverse abitudini degli irlandesi

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Unknown

Una giornataccia. Sono influenzato, rientro da una 3 giorni con gli amici di una vita e l’euforia lascia spazio alla malinconia e agli acciacchi. Quale cura migliore se non quella di concentrare tutti questi cattivi sentimenti in un articolo un po’ acidello su alcune abitudini del popolo che da quasi 3 anni mi tollera?
Il disclaimer manco lo faccio più:
chi si offende c’ha la mamma molto moderna e poco seria e di conseguenza il babbo bècco.
per citare un altro expat di questo blog.

Comincio, che mi devo sfogare.

 

Coniare neologismi e slang a oltranza.

 

 

 

 

 

 

Avete mai parlato con una persona irlandese tra i 15 e i 40 anni? Tu pensi di sapere l’inglese, ma poi se ne escono fuori con parole che hanno un senso nella tua mente, ma che non ne hanno nel contesto in cui le hai appena sentite…
E così
“all that jazz” diventa tutta quella roba…
“you’re gas!” ti viene detto quando sei molto divertente/fico
“i’m off to the jacks!” significa che devi andare in bagno
Oppure “yoke”, il giogo, che però all’occorrenza diventa anche la cloche di un aereo, l’ecstasy o in generale “un coso”.
Che già non si capisce una sega, con queste “T” sibilate, queste vocali chiuse, poi se ogni giorno ne arriva una diversa…

 

 

Non rispettare il cibo altrui.

Il fatto che il tuo popolo abbia deciso di concentrare i propri sforzi nello sviluppo di altri tipi di cultura rispetto a quella gastronomica (“quali?” Diranno i più malandrini) non ti autorizza a cacare nel piatto altrui.
E, confesso, dopo 3 anni finisco pure ad apprezzare quei 3 piatti locali, se cucinati bene. Quello che mi manda in bestia è l’approccio verso le altre cucine.
Mi son fatto venire una sincope a spiegare che il pollame, solitamente, nei primi piatti e nella pizza NON CI VA. “But its delicious”. No, non lo è.

E anche se lo fosse, non si fa.  Non davanti a me. Non in quello che ti ho appena cucinato.

Quanti cuori di espatriati si sono infranti nel sentire “chicken carbonara with mushrooms and sour cream”, o nel veder intingere le patatine fritte nelle lasagne
Tuttavia (d’altra parte, ciò che bisogna dire…) questo disrispetto ha un rovescio positivo: il vostro ego ne gioirà. Se in pausa al lavoro sfoderate una qualsiasi roba fatta in casa, anche della semplice feta a cubetti con dei pomodorini e un po’ di olio, sentirete i colleghi irlandesi a fianco esclamare “wow, looks delicious!” mentre magari si sparano un tayto sandwich. Cioè un panino col burro e le patatine in busta dentro. Chiaro che poi vi sentite il Massimo Bottura dell’ufficio.

 

 

Non credere nella propria cultura.

 

 

 

 

 

La cultura irlandese, come per esempio la musica e la danza tradizionali, alcuni grandi scrittori del passato come Joyce e Wilde, viene spesso sottovalutata dagli irlandesi stessi, snobbata nella vita quotidiana e considerata un po’ vecchio stile. Si preferisce guardare ai grandi successi americani, anche in campo musicale, e sempre più spesso le ragazzine marcano un finto accento yankee per darsi un tono. Fa strano pensare a come alcuni dei simboli irlandesi, forse proprio perchè inflazionati nella promozione turistica, siano  diventati un mero strumento commerciale buono per attirare visitatori, oppure un patriottismo di facciata da sciorinare nei pub per S.Patrizio o nei cori di una partita di calcio o di rugby. Ed O’Connell, Parnell, Beckett, da grandi uomini del passato e del presente, rischiano di diventare solo dei riferimenti buoni per guidare i taxisti.

 

 

Bere e primeggiare.

 

 

 

 

Non voglio moralizzare niente e nessuno. Quando si parla di alcol in Irlanda è facile cadere in facili stereotipi. Per questo ho deciso di legare il tema del bere ad un altro tema sociale, quello del primeggiare, della competizione. Gli irlandesi bevono per divertirsi, e qua non ci si diverte se non si beve. E si deve bere più degli altri, avere più degli altri, essere più degli altri. Coi millennials, poi, addestrati al tutto e subito, il binge drinking è pratica sempre più diffusa.
Respiro spesso una sensazione di rivalsa di una piccola isola che ha fatto cose grandiose, ha attraversato miseria, violenza e crisi profonde, e che adesso “ce l’ha fatta”. E’ arrivata, ha ottenuto benessere, è cresciuta, in fretta, troppo in fretta, come quando ne bevi 5, 6, 7 di seguito

“Voi italiani sarete bravi a fare il vino, ma noi siamo meglio di voi a berlo” mi disse un cinquantenne paonazzo al pub. Mi fece anche sorridere. Sicuramente era solo una battuta goliardica, e oggi sono davvero di pessimo umore, però davvero spesso mi capita di osservare come adulti, padri di famiglia, con ruoli magari dirigenziali nel tuo ambiente di lavoro, in un contesto informale diventino degli spacconcelli che gareggiano per quantità e per dimensione, come degli adolescenti mai cresciuti.

 

 

“Ah, it’ll be grand!”

Ma infatti: comunque vadano le cose, non importa con quanta approssimazione, andrà bene!

L’idraulico ha fatto un lavoro un po’ del cazzo e glielo fai notare? “Ahh, it’ll be grand!

Hai un dubbio e lo esponi a un tuo amico o collega? “Sure it’ll be grand!

Stai contemplando un disastro e pensando ai risvolti catastrofici che potrebbe avere? “Ah, it’ll be grand
Questa è la risposta irlandese ad ogni difficoltà, ed è forse quello che ha permesso ad un popolo di affrontare le crisi più nere con la giusta leggerezza d’animo. Anzi, la cosa bella è che fa tanto incazzare noi italiani, forse perchè sotto sotto, in silenzio, quando nessuno ci guarda, in cuor nostro sappiamo che anche per noi è così, che in qualche modo la sfangherai, che passerà la nottata e che una soluzione si trova sempre.

ah bene…

Ora posso andare.

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