Site icon WiP Radio

Qualcuno lo chiama capriccio, ma lei passione. Corrispondenza con una giovane volontaria in Kenya

kenya

Il Kenya ha scelto me

Ciao Irene, la nostra chiacchierata scegliamo di farla per corrispondenza, cercando un incontro tra i due mondi nei quali in questo momento stiamo vivendo. Non a caso parlo provocatoriamente di due mondi, perché questo è quello che, percepiamo e che, forse, ci permette di guardare la realtà nella quale hai scelto di vivere, come non riguardante noi. Mi piace l’idea della corrispondenza perché ci costringe a rallentare, a riflettere sulle risposte e sulle domande perdendo, forse, un po’ di immediatezza emotiva, ma permettendoci di trovare un tempo diverso e condiviso che altro non è che il frutto dell’unione proprio di questi due mondi. Le nostre riflessioni abiteranno tra l’Italia e il Kenya, dove ti trovi da qualche mese. La prima domanda è d’obbligo, ma forse è anche la più difficile: perché la scelta di partire e perché il Kenya?
L’idea di raccontare la mia esperienza in forma scritta mi piace e condivido con te il pensiero secondo cui la scrittura ci porti a formulare ragionamenti più chiari e introspettivi.
In realtà, non ho scelto il Kenya; è il Kenya che ha scelto me. Avevo in mente di partire per un progetto a lungo termine dopo il mio Master a Londra. Verso marzo di quest’anno ho conosciuto l’organizzazione non governativa di cui faccio parte: International Humanity Foundation.
L’idea era quella di andare in Indonesia, ma la COO (Chief Operating Officer), Nichole Schafer, mi ha spiegato che il Centro in Kenya era quello dove c’è più bisogno di volontari e mi ha proposto di cambiare meta. Ci ho pensato per un po’ e alla fine ho deciso. Mi sono resa conto di vivere in un periodo della mia vita molto sereno, ho raggiunto una certa maturità emotiva con me stessa e con il mondo fuori, perciò sapevo dentro di me che in qualunque luogo sarei andata mi sarei trovata bene.

Dalla nazionale di canottaggio al Kenya

Di che cosa ti stai occupando?
Oltre al tuo curriculum universitario, hai fatto anche parte della Nazionale Italiana di Canottaggio  http://iltirreno.gelocal.it/livorno/sport/2013/09/05/news/irene-vannucci-un-remo-mondiale-che-brilla-in-corea-1.7692862. In che modo stai utilizzando le tue competenze?
Adesso vivo a Nakuru, situata nella Rift Valley – la culla dell’umanità – e faccio volontariato presso una casa famiglia. Il nostro obiettivo principale è quello di portare questi bambini a seguire un corso universitario al termine delle scuole superiori, ma se ciò non fosse quello che vogliono per il loro futuro, ci assicuriamo comunque di inserirli nel mondo del lavoro.

Organizziamo molte attività, io mi sono concentrata sull’Educazione Fisica; ballo, yoga e circuiti a corpo libero, sfruttando proprio la mia esperienza. L’altra volontaria, proveniente dallo Zimbawe, organizza workshop incentrati sulla riproduzione sessuale e sui metodi contraccettivi, mentre al volontario dal Sud Africa piace insegnare come usare il computer. Oltre allo stare coi bimbi, siamo divisi per team; essendo l’organizzazione a base volontaria, non c’è uno staff pagato per esempio per il fundraising o per curare i social media. Questo è molto positivo, in quanto è possibile accumulare esperienza nel settore della Cooperazione Internazionale.

I volontari sempre più criticati

Con gli ultimi fatti di cronaca una buona parte dell’opinione pubblica ha espresso giudizi disprezzanti verso i volontari, come se fosse un capriccio decidere di intraprendere questa strada. Forse tutto questo in scia a un atteggiamento molto critico verso le ONG in generale. Quindi lo slogan è per la stragrande maggioranza degli italiani “aiutiamoli a casa loro”, ma neanche questo sembra poi andar bene. Come vivi questo tipo di pensiero, quanto incide nel lavoro che svolgete?
Le organizzazioni non governative, così come le istituzioni governative e internazionali, devono essere criticate, ma quando lo si fa ci si dovrebbe prima informare bene e poi formulare un ragionamento critico, mostrando l’evidenza di ciò che si pensa. L’impressione che ho – per quel che concerne l’opinione pubblica italiana – è che si parli tanto per sentito dire; poche persone conoscono veramente la realtà della Cooperazione Internazionale e locale. Questo giudizio negativo poco intellettuale e molto primordiale è ciò che ha portato in lizza il nostro attuale Miinistro dell’Interno Salvini. Lui ha definito spesso i volontari che vanno a salvare la gente nel Mediterraneo come dei criminali. Trovo assolutamente inaccettabile che nel 2018, con una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e una Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea alle spalle, i volontari vengano definiti alla stregua di terroristi.

Capricci e ramanzine

I volontari sono stati disegnati in molte dichiarazioni come una sorta di giovani capricciosi che avrebbero bisogno di una ramanzina. Cosa pensi di questa idea che parte dell’opinione pubblica ha? 
Scegliere la Cooperazione per lavoro o per passione non è un capriccio. È una scelta rispettabile e personalmente ritengo che sia la massima espressione del principio democratico. Perché lo dico? Perché io non ho “trovato la democrazia” con la rappresentanza tramite il diritto di voto. L’ho trovata quando mi sono associata pacificamente con altre persone condividenti la mia stessa idea. Lo stato difende l’interesse nazionale, ma l’interesse nazionale è in toto o in parte contro i miei principi, perché una delle cariche dello stato definisce la mia azione come un crimine, nonostante quest’ultima sia in linea coi principi dei diritti umani. Ritengo gravissimo mettere in cattiva luce le ONG senza una tesi approfondita, dal mio punto di vista, può essere considerato un primo passo verso un regime autoritario.

Far tacere i leoni da tastiera

Ma questa critica non è soltanto proveniente dalla classe governativa ma anche da una buona parte dell’opinione pubblica e forse questa è proprio la peculiarità di questo periodo storico sociale, nel quale l’individualismo sembra essere sempre più predominante.
Personalmente, l’opinione pubblica incide relativamente nel mio operato. Ho pensato di informare l’Ambasciata Italiana a Nairobi che, in caso di rapimento, non voglio che venga pagato alcun riscatto. Questo perché sono una persona molto orgogliosa e vorrei far tacere i leoni da tastiera. Successivamente, però, ho parlato per ore al telefono con un mio caro amico che mi ha fatto cambiare idea. Infatti, lo stato ha il dovere di proteggere i suoi cittadini, in Italia e all’Estero, perciò i recenti commenti riguardo l’operato di Silvia in Kenya lasciano il tempo che trovano; sono privi di fondamento giuridico, logico ed aggiungerei anche emotivo. Inoltre, se la maggioranza dell’opinione pubblica è d’accordo con la linea “dell’aiutiamoli a casa loro”, dovrebbe anche lasciare che lo Stato tuteli i volontari nei paesi in via di sviluppo.

Essere una donna volontario

Quanto conta essere donna in questo tipo di scelta? Quanto è il contributo del femminile in questo lavoro e che difficoltà incontra una donna che sta affrontando questa scelta di vita?

Essere donna e decidere di intraprendere un viaggio, umanitario e non, da sola è molto difficile. Per me lo è stato su due piani; la sicurezza e l’emancipazione femminile. In Kenya, ho conosciuto una viaggiatrice irlandese che porta l’anello all’anulare pur non essendo impegnata al fine di tutelarsi da tutti quegli uomini che cercano di rimorchiarla. Purtroppo essere una o un “musungo” (bianca/o) in Africa, e in generale in paesi in via di sviluppo, non è facile, perché per molti sei considerata come un’opportunità verso il benessere economico e spesso temi per la tua incolumità. Per quanto riguarda l’emancipazione femminile, mi riferisco a come è vista la libertà sessuale della donna in Italia. Nel 2016 – dopo un mese dalla morte di Fidel Castro – sono partita da sola per Cuba. Alcuni conoscenti di sesso maschile hanno insinuato che mi sarei divertita parecchio con gli uomini cubani. È stato un viaggio per me molto significativo, comunico bene in spagnolo perciò la parte più divertente è stata quando ho chiesto ai locali domande a sfondo socio-economico, politico e culturale. Inoltre, anche se avessi intrattenuto rapporti sessuali con qualche cubano, non dovrei giustificare il mio comportamento con nessuno, in quanto sono una persona adulta, capace di intendere e di volere e con la stessa libertà sessuale di uomo. La lingua italiana è sessista, per esempio, una donna che va in Africa è “in cerca di forti emozioni” – e quindi meritevole di subire uno stupro di gruppo (secondo molti italiani) – mentre un uomo che va in Africa è un “avventuriero” pronto per i safari.
Attualmente alla casa famiglia siamo due volontarie donne e due volontari uomini. Non riscontro un diverso tipo di impatto nell’approccio coi bambini. Io preferisco giocare a calcio con loro, mentre i volontari uomini organizzano classi di computer e giochi da tavola. Il mio collega e amico Amiel è un ragazzo connesso con la sua parte femminile, ha esperienza decennale nel mondo del volontariato e dunque è capace, molto più di me, di offrire supporto emotivo ai bambini quando la situazione lo richiede.

Il futuro

Ti sei fatta un’idea più chiara di come poter effettivamente contribuire nell’aiuto di questi paesi? Cosa manca di concreto?

La mia presenza qui in Kenya è una goccia nell’oceano. Per cambiare veramente le cose nel mondo dovrebbe avvenire una rivoluzione di coscienza, citando Naomi Klein https://www.youtube.com/watch?v=4u8EKcxdJ6w, che non avverrà di sicuro in un futuro prossimo. Viviamo in una realtà globale in cui le disuguaglianze sono all’ordine del giorno e ciò, a mio avviso, è in gran parte dovuto ad un modello capitalista non solo sotto il profilo economico, ma anche delle relazioni e della spiritualità.
Criticare il capitalismo avanzato non significa necessariamente essere comunista, come sono stata definita più volte. Criticarlo significa costruire le basi per un modello transitorio globale più equo: ad esempio, come consumatori, abbiamo la facoltà di fare delle scelte più etiche in materia di diritti umani e ambiente. Se la rivoluzione di coscienza avverrà, partendo dal nostro piccolo, probabilmente ci sarà un effetto domino positivo e le dinamiche politiche delle multinazionali, e dunque dell’intero sviluppo internazionale, potrebbero cambiare in meglio, per tutti.

L’Astronave Mondo

Ringrazio Irene per il suo coraggio, per la forza con la quale sta portando avanti i propri ideali, nonostante le grandi difficoltà che i volontari in questo momento stanno attraversando. Sono stata felice di intervistarla, perché mi piace pensare che possa essere un esempio di coraggio e, soprattutto, coraggio al femminile; non solamente per quello che sta facendo ma anche per l’impegno e la passione che la muovono. La tendenza degli ultimi anni sembra essere sempre di più quella di disegnare i giovani come vuoti, capricciosi, viziati e apatici. Credo che questo sia il danno peggiore che possiamo fare a questa generazione, ma anche alle prossime. Adesso, più che mai, abbiamo bisogno di giovani che con la loro passione muovano il mondo. Irene, come tanti altri volontari, è cresciuta con l’idea di un mondo unico, interconnesso, aperto, che niente ha a che vedere con un capriccio, ma con un ideale che forse buona parte degli adulti oggi, purtroppo, ha perso.
Sperando di aver contribuito a smuovere qualche animo, con la forza di parole giovani, vi saluto con la riflessione di un’altra grande donna, consapevole di vivere in un mondo unico: l’astronave terra.
https://www.facebook.com/Cartabiancarai3/videos/samantha-cristoforetti/250812105626780/

Dott.ssa Serena Ricciardulli

Psicologa, Psicoterapeuta e scrittrice. Vive nella sua amatissima Castiglioncello. Nel 2017 esce il suo romanzo di esordio “Fuori Piove” (Bonfirraro Editore) https://video.repubblica.it/edizione/firenze/fuori-piove-un-sex-and-the-city-in-salsa-livornese/289648/290267. Di lei hanno scritto La Repubblica, Il Tirreno, La Nazione, Nuova Antologia, la RAI, definendo il suo romanzo un successo editoriale. Da un anno tiene un blogger per WiP Radio, Pensieri Shakerati (mentre fuori piove) nel quale si occupa di attualità, società e cultura.

Irene Vannucci

Attivista per i diritti umani, Irene si è laureata recentemente in International Politics and Human Rights a Londra. Ex-atleta della nazionale Italiana di Canottaggio, ha abbandonato lo sport professionistico per dedicarsi alla sua passione per la cooperazione internazionale e le organizzazioni non governative. In passato ha offerto supporto alle donne nei centri di detenzione per immigrati in UK e ha partecipato a progetti al fine di tutelare i diritti dei rifugiati Siriani, Curdi e Afghani. Attualmente si trova in Kenya come volontaria per una ONG la cui missione è quella di dare istruzione a 39 bambini Kenyoti.
Exit mobile version