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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Trentottesima intermittenza

Trentottesima intermittenza

Trentottesima intermittenza

Benvenuti, o ben tornati, tra queste pagine.

Oggi un racconto non inedito, ma uscito in Ciminiere 4, piccola antologia autoprodotta che ci ha accompagnato, con alcuni colleghi, nel bienni 2020-2021.

Buona lettura!

Un paese sconvolto, due pizze e tre gelati alla menta

Domenica

 

L’apparente tranquillità di una domenica di metà maggio venne turbata da un messaggio su whatsapp. Lo ricevettero tutti, ma proprio tutti, coloro che erano in possesso di un cellulare. Ma questi piccoli sprazzi di novità, questi avvenimenti straordinari che sconquassano la vita di un paesino, sono democratici e coinvolgono anche le comari in fila davanti al forno che whatsapp non sanno nemmeno come si pronunci. Tutti, nel giro di poche ore, erano a conoscenza dell’evento che avrebbe avuto luogo sabato sera, nel parcheggio della zona industriale, a pochi kilometri dal centro di quella vita ovattata e abitudinaria. Nel loro intimo, erano tutti grati a quel messaggio: forniva agli abitanti un pretesto per parlare di altro che non fosse il meteo, l’Aurelia a senso unico, la ciclabile, i camper o gli imminenti europei di calcio.

Ma cosa riferiva il messaggio? Ve lo trascrivo in modo che non vada perduto e che questo piccolo frammento di follia paesana resti eterno:

 

SABATO 23 maggio, ore 23.30, raduno scambista al deposito degli autobus. Inviate questo messaggio a chi pensate possa essere interessato. Portate chi volete: fidanzati, compagne, mogli, mariti, partner di qualsiasi tipo. Tutti coloro che vogliono amare sono i benvenuti.

 

Ovviamente, come tutte le meteore, la mattina dopo il messaggio era già stato dimenticato e le lamentele erano rientrate nella routine (l’Aurelia a senso unico, la ciclabile, i camper ecc…). Gli abitanti di quel bizzarro paesino avevano etichettato quel messaggio come lo scherzo scemo di un adolescente irrequieto e, col fine settimana giunto al termine, si era esaurito anche l’entusiasmo per la novità.

Certo, per tutti a parte tre persone che credevano fermamente nell’organizzazione di quel Sabato. Era difficile immaginare un trio più eterogeneo di quello…

Lunedì

 

Arturo frequentava l’istituto tecnico di paese. Era più portato per le materie umanistiche, ma la vicinanza casa/scuola aveva facilitato la scelta. E, ormai giunto in quinta, non si pentiva della scelta fatta, o forse, semplicemente, non aveva mai ponderato altre alternative. Era cresciuto in una palazzina a due piani con suo padre e suo nonno. Sua madre chiese il divorzio anni fa, lo ottenne poco dopo e da quel giorno non si era fatta più vedere; la nonna venne a mancare quando era ancora piccolo, a causa di un insieme di piccoli acciacchi dovuti all’età. Anche solo parlare di donne, di ragazze, o più in generale del mondo femminile, a casa era un tabù insormontabile. Potremmo anche dire, senza difficoltà, che era difficile sostenere una conversazione qualsiasi, ma non sul calcio. Per stabilire un collegamento con quei due uomini, con quei due estranei, che gravitavano intorno a lui, si era dovuto appassionare al pallone. Non ne aveva mai capito la passione, ma era l’unico modo che aveva per interagire tra quelle quattro mura.

Passando alle altre quattro mura che caratterizzavano la sua vita, a scuola la situazione era strana. I primi anni era riuscito a legare con molti ragazzi (perché di femmine nemmeno l’ombra), con alcuni si era riuscito a creare anche dei bei legami, ma tutto svanì alla soglia dei sedici anni. Gli amici iniziavano ad accantonare le abitudini con cui erano cresciuti, per fare spazio al nuovo passatempo che avrebbe catturato, e risucchiato, la loro intera esistenza: le donne. Gli argomenti di conversazione erano monopolizzati da quella sfera di interesse da cui era impossibile evadere. E Arturo, che da questa sfera era rimasto fino ad ora estraneo, aveva trascorso gli ultimi due anni in un isolamento autoindotto. Pensava di proteggersi negando, e censurando, una sfera dell’esistenza. Gli amici provarono a incoraggiarlo, a parlargli, ma non c’era nulla da fare: l’apatia nella quale era sprofondato sembrava senza rimedio. Dal canto suo, Arturo, non era un piagnucolone ed era alla spasmodica ricerca di qualcosa che potesse dare un senso, o anche un minimo significato, alla sua vita. Fin quando, cerca – cerca – cerca, arrivò, la mattina precedente, quel messaggio. Quel lunedì ebbe una scarica di adrenalina che non percepiva dalla prima volta in cui guardò un porno. Arturo, sabato, avrebbe avuto un impegno irrinunciabile.

Martedì

 

Rosa e Sergio avevano sessant’anni, nessun bambino, nessun sogno, nessun progetto di vita. Erano entrambi impiegati presso lo stesso supermercato ed erano nati lo stesso giorno dello stesso anno. Quella fortuita coincidenza li accomunò sin dalla tenera età: feste di compleanno insieme, amici comuni, stessi luoghi di uscita. In breve, la vita li avvicinò sempre di più e, loro non si ricordano neanche come, o quando, li portò a fidanzarsi. A questa relazione nata sul niente si sommò un matrimonio che poggiava su basi ancor più traballanti. Sergio e Rosa esistevano, si lasciavano scorrere tutto ciò che il mondo avrebbe voluto imporre ai suoi figli e, a modo loro, cercavano di assecondare le oscillazioni del cosmo. Provarono per anni ad avere un figlio; tutti gli amici di gioventù, e le vecchie compagnie frequentate intorno ai vent’anni, persino quelle più sbandate, erano riuscite a dare nuova linfa vitale alla loro relazione mettendo al mondo un pargoletto. In questa claustrofobica vita di provincia, non credevano ci fosse altro modo per sentirsi realizzati come individui o come coppia. Questo a loro non riuscì e, un po’ per scherzo, un po’ per sperimentare nuovi mondi e togliersi dal paese, ogni week end avevano iniziato a viaggiare oltre i confini dell’Italia. Svizzera, Austria, Germania e Francia erano le loro mete predilette, ma, sorpassati i 55, avevano cessato la loro attività esplorativa. Soprattutto, ed è quello che garantì la soprvvivenza del loro matrimonio, si erano avvicinati ai club scambisti di tutta Europa. Vedersi amati reciprocamente da sconosciuti li infuocava, li eccitava al punto che i più leggeri segnali d’affetto, come un «amore» o un «tesoro», erano ricorrenti esclusivamente dopo queste circostanze. Con molte delle persone che bazzicavano questi strani luoghi, rimasero in contatto e, trascurate le amicizie del paese, iniziarono a viaggiare ogni fine settimana. Un po’ per la sana dose di eccitazione che queste esperienze fornivano, un po’ per necessità di costruire legami autentici anche fuori dal nido d’origine. In paese erano una delle coppie più chiaccherate. Su di loro aleggiavano leggende, storie di orge allucinanti e ogni abitante, uomo o donna che fosse, si sarebbe scambiato volentieri con loro, ma nessuno lo avrebbe mai ammesso pubblicamente.

Sergio e Rosa soffrivano perché, non potendo più viaggiare, vedevano spegnersi, ineluttabilmente, la fiamma dell’affetto e del matrimonio. Quella stessa fiamma che avevano fatto così fatica ad accendere e, in seguito, a tenere viva. In paese, trascorse quelle peripezie sessuali, erano tornati nell’anonimato, senza alcun amico con cui mangiare una pizza il sabato sera, o passare una domenica al mare parlando di vacuità e gossip. Per loro, quel messaggio, rappresentava, in tutta la sua infantile semplicità, un modo per riavvicinarsi all’altro e per ritrovare, o almeno tentarci, loro stessi.

Mercoledì

 

Sprazzi di alba, frammenti di notte,

cieca la talpa va in cerca di grotte.

 

La trova al buio, sussurri d’aurora,

ha deciso: la grotta sarà la sua dimora.

 

Lampi e scoppi nel cielo senza stelle,

la talpa è al sicuro e ride a crepapelle.

 

Passano i giorni, i secondi, i minuti,

le ambizioni.

La talpa sogna gli unicorni,

i vagabondi, gli sconosciuti nelle stazioni.

 

La talpa non uscirà e triste,

per sempre, aspetterà

aspetter

aspette

aspett

aspet

aspe

asp

as

a

 

Giovedì

 

Per Arturo tutto cambiò alle medie. Arrivarono rapide, improvvise, forse persino inaspettate per il nostro amico. Il proposito della fidanzata, che covava sin dalle elementari, si risolse in un nulla di fatto, ma capì cosa volesse dire avere 12 anni nell’epoca di internet e, soprattutto, scoprì che per essere davvero integrato in quel coacervo di ormoni e sudore, la visione dei porno in combriccola era fondamentale. Non importava che in quell’ammasso di corpi in movimento capisse poco o  niente; era necessario che, durante le feste di compleanno, i più furbetti si appartassero e iniziassero, dal telefono del capogruppo, la loro opera di contemplazione. Di lì, le cose iniziarono a precipitare. Affascinato, ma allo stesso tempo leggermente respinto, da quell’universo misterioso e, per ora, indecifrabile, in poco tempo il porno diventò un punto cardine della sua vita. Inutile a dirsi, tutte quelle zavorre che dalla tenera età occupavano maldestramente la sua routine, come il catechismo e lo sport, scomparvero in favore dei siti 18+. In terza superiore era già un pornofilo esperto, ma custodiva gelosamente questa sua passione in una bolla spazio-temporale dalla quale escludeva tutto il resto. Non fosse stato per l’acne che copriva buona parte del suo viso, avrebbe potuto confrontarsi, senza sfigurare, con quei loschi figuri che bazzicavano, prima dell’avvento, per loro nefasto, di internet, le sezioni “segrete” dei videonoleggi. O le zone più recondite delle edicole di periferia, che hanno resistito finchè hanno potuto. Ciò che più lo affascinava dei porno era la loro estrema accessibilità e democrazia. Ce n’era per tutti i gusti e lui, talvolta, si sentiva annegare, sprofondare, in quelle piattaforme così ricche di vita, di amore e sesso. Il suo salvagente era la sua, preziosissima, dieta pornografica, costruita con calma, sacrificio e dedizione. E, in particolare, con molta esperienza: il lunedì toccava alle Milf. Il martedì era il turno delle teen, giusto per compensare con le età. Il mercoledì si concedeva i threesome, in qualunque combinazione, bastava fossero etero. Il giovedì era di scarico con le lesbiche. Era convinto che per capire davvero le donne non servisse conoscerle, ma guardare due donne che fanno l’amore. Il venerdì (video che ti dicono come masturbarti). Il sabato era il giorno di sgarro e poteva scegliersi una categoria a piacere tra quelle già utilizzate. La domenica era il giorno di riposo: si metteva un film intero, d’autore, porno vintage anni ‘70/’80, ma lo guardava davvero, come fosse al cinema, libero da ogni pulsione fisica o istinto masturbatorio. Si sentiva accettato, amato come mai prima d’ora. Aveva come l’impressione che le ragazze protagoniste nei video lo salutassero e fossero lì solo per soddisfare le sue più recondite fantasie. Talvolta, nelle notti dolci, fresche che a lui ricordavano il velluto con cui sua nonna lo circondava da bambino, le sognava. Con loro passaggiava sul mare mangiando un gelato da passeggio o nuotava fino all’ultima boa nel mare, fingendo di essere un pesce. Manco a dirlo, le battute sul pesce si sprecavano.

Tutta questa pornografia non aiutò la socialità del nostro Arturo, che crebbe con un’idea delle donne, e dell’atto sessuale, leggermente distorta, che non aiutò minimamente il suo interfacciarsi con l’altro sesso. Pensava che questo sabato sarebbe avvenuta la sua iniziazione sessuale. Pregustava già ciò che avrebbe raccontato ai compagni di classe. Pregustava già il rientro in quella cerchia da cui si era, volontariamente escluso. Pregustava già il suo rientro nella normalità che sembrava essere appannaggio solamente di coloro che lo circondavano. Quel giorno non seguì la dieta e rimase fermo, alla finestra, a guardare il mare. Perso tra le onde, nella schiuma che si infrange contro gli scogli, poteva respirare la stessa atmosfera che aleggiava nei suoi sogni. Cenò con un panino, si addormentò velocemente e con la volontà, implacabile, di sognare ancora sua madre. Purtroppo, o per fortuna, ciò che sognò quella sera, è tutt’oggi un segreto che custodisce gelosamente.

Venerdì

 

Per prepararsi all’evento del giorno successivo, i nostri coniugi un po’ vecchietti decisero di fare shopping. Per fare acquisti, da qualche anno a questa parte, la consuetudine era spostarsi nella vicina città, in modo da avere più scelta ed esser sicuri di trovare ciò che si cerca, ma i nostri decisero di restare nelle vie del paese. Non presero nemmeno la macchina, gonfiarono le ruote della bicicletta, approfittando del solicchio primaverile, e scesero in paese. Io non ho mai capito la collocazione geografica di ciò che i più anziani definiscono “paese”, ma mi limito a riportare le loro classificazioni.

Legarono le bici sul mare e, da lì, risalirono il cunicolo di strade per arrivare alla via principale. Iniziarono a raccontarsi gli aneddoti sulle vite che quelle strade ospitavano, e ogni incrocio, ogni ciglio di strada, era il pretesto per ricordare, per rivivere e fare un tuffo nel passato. Le ore scorrevano rapide e avevano ormai perso il conto delle vasche fatte su quella strada monotona e grigia, ma a loro non importava. Era bello stare insieme.

Col sopraggiungere delle prime stelle, arrivò anche un certo languorino e decisero di fare una follia: presero una pizza da mangiare sul mare. Si adagiarono alla buona sugli scogli dove molti anni prima si scambiavano inconsapevoli i primi baci. Tra risa, cazzate enfatizzate all’inverosimile col solo scopo di far ridere l’altro e una pizza cruda, gommosa e scondita, ma mai così buona al loro palato come quella sera, trascorsero la più bella serata della loro vita.

Finalmente, dopo anni e anni, guardandosi, sorridevano l’uno negli occhi dell’altro, perdendosi reciprocamente nel respiro della persona a cui, molti anni fa, giurarono amore eterno. Quella promessa, sugli scogli di un fresco Venerdì di maggio, non era mai sembrata così autentica e sincera. Si presero per mano, come non facevano da anni, e si baciarono.

Ti amo, si sussurrarono all’unisono.

Anch’io, risposero coi brividi a fior di pelle, ma non per il freddo.

Anch’io, ripeterono con gli occhi umidi e pieni di vita.

Sabato e Domenica

 

Arturo arrivò sul posto in bici. Per l’occasione aveva fregato una camicia a suo padre; da che ha memoria, non se n’era mai messa una prima di quella notte. Pedalare vestito così è la cosa più scomoda del mondo, ma era determinato, e non ci fece molto caso. Giunse sul luogo descritto nel messaggio, ma si fermò alla recinzione che lo delimita. Era notte fonda e davanti a sé si stagliava un tendone, illuminato all’interno da una luce fioca, che proiettava sulle pareti ombre di corpi che si contorcevano. Assisteva sbalordito a questo spettacolo di cui capiva molto poco, ma rimaneva lì, immobile, senza muovere un muscolo. Iniziò anche a sudare, nella sua camicia bianca stirata alla perfezione. Incantato e meravigliato, venne affiancato da Rosa e Sergio, vestiti di tutto punto, ma, anch’essi non erano molto a loro agio. Si fermarono proprio di fianco ad Arturo e questo strano gruppo, che sembrava conoscersi da sempre, stette in silenzio, per venti minuti, a osservare il tendone. Parlarono sottovoce; non saprò mai ciò che si dissero, ma so che si stavano divertendo, gesticolavano molto, specialmente Arturo; insomma, sembravano intendersela alla grande. A un certo punto, Rosa esordì con un fulmineo, Gelatino sul porto?

Sergio approvò entusiasta l’idea e Arturo accettò a ruota. Non sapeva cosa aspettarsi, ma era felice di evadere, a suo modo. Lo seguirono in macchina mentre portava la bici a casa, lo caricarono e si diressero verso il mare.

La gelateria stava per chiudere, i gusti erano stati quasi tutti ormai messi dentro, quindi dovettero optare per tre gelati alla menta. Arturo la odiava, ma se la fece andar bene ugualmente. Aspettava questa notte da una settimana ormai, doveva abbandonarsi al flusso, e assecondare gli equilibri che gli venivano, in qualche modo, imposti dal caso. Riconobbe la gelataia, era in classe sua alle medie, ma non ci fece più di tanto caso; scelse di non salutarla e, una volta preso il suo cono, uscì a passo svelto per evitare imbarazzi. Lo gustarono su uno dei tavolini messi lì fuori per contenere le orde di turisti fiorentini estivi, ma che fortunatamente ora erano deserti. Arturo non era molto a suo agio, Rosa e Sergio all’opposto. Poco più tardi, si avvicinò la ragazza vista poco prima, Arturo frugò nella sua memoria in cerca del nome, ma non ci fu nulla da fare: buio completo.

Lei si avvicinò cauta, comunicò che doveva chiudere; gli anziani signori rimasero delusi, ma la ragazza, provando a mediare la situazione, ritrattò immediatamente, chiedendo loro se potesse unirsi al tavolo, per fumare l’ultima sigaretta della serata e farsi due chiacchere. I due accettarono entusiasti, Arturo rimase neutro. Lei in quel momento lo riconobbe e lo salutò con un timido sorriso, Arturo, felice di esser uscito dalla sua sfera di indistinto anonimato, ricambiò impacciato il saluto.

Anche questo particolare momento, questa conversazione tra queste quattro anime, sfugge ai miei ricordi, ma posso confermare che si trattennero ben oltre l’orario di apertura e si dettero appuntamento per il giorno dopo al mare.

Si era creato un gruppo quasi disfunzionale, bizzarro e sicuramente inedito. Quattro amici, di cui una coppia sulla sessantina e due compagni di classe che si erano ritrovati la sera prima per una circostanza fortuita, dopo che uno dei due era sfuggito a un raduno scambista.

Rosa e Sergio si piazzarono sotto un ombrellone comprato al discount per stare al riparo dal sole. L’uomo tirò fuori le parole crociate, lei l’ultima copia di Diva e Donna. I ragazzi, dopo una mezz’ora a cuocere al sole, si tuffarono e nuotarono, nuotarono, fino alla boa. Furono quasi subito di ritorno, ma si fermarono sugli scogli. Chiaccherarono a lungo, lui la prese per mano e lei lo baciò sulla guancia. Un gesto semplice, al limite della purezza, che però racchiudeva tutto ciò di cui Arturo sentiva la mancanza. Arturo strinse un pochino di più la presa e spostò le sue labbra sulle labbra di lei. Non aveva idea di come si facesse, i porno non sono delle ottime guide per i baci. Lei si accorse della sua difficoltà, lo abbracciò e ricambiò il bacio, con tutta se stessa. Stettero lì, abbracciati e salati fino a quando Rosa e Sergio non li chiamarono per andare via. Quel sabato era effettivamente riuscito a cambiare qualcosa nelle vite del nostro strano trio, e, sempre il sabato, divenne un appuntamento irrinunciabile per tutti e quattro: mare, pizza e gelato alla menta.

 

 

Gabriele Bitossi

Gabriele Bitossi

Gabriele nasce nel '96 ed è da sempre appassionato di storie, in ogni loro forma. Studia italianistica all'Università di Pisa e sceneggiatura alla Scuola internazionale di comics a Firenze. Starebbe ore a parlare coi suoi personaggi preferiti... e se lo facesse già?

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