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Sensibilità climatica – Un altro «concetto spesso» nella scienza

Sensibilità climatica – Un altro «concetto spesso» nella scienza

Dopo aver parlato, nei precedenti articoli, di che cosa siano i concetti etici spessi all’interno del linguaggio morale (Concetti etici sottili e concetti etici spessi) e di come i termini spessi possano rivelarsi anche nel cuore dell’indagine scientifica, nella fattispecie attraverso il concetto di biodiversità (Biodiversità – Un «concetto spesso» nella scienza), stavolta sarà affrontato un altro termine spesso che riguarda la scienza: la sensibilità climatica.

La voce più autorevole in materia di cambiamento climatico è quello dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. I risultati raggiunti negli anni dall’IPCC hanno determinato quella che oggi è la posizione dominante. Questa posizione può essere riassunta in tre tesi principali, secondo le quali 1) il clima sta diventando sempre più caldo, 2) l’uomo è una delle cause principali di questo cambiamento ed 3) è necessaria un’azione politica che smorzi efficacemente questo fenomeno, perché è un male.

Spesso si tende a dar per scontato che, quando si parla di riscaldamento globale, i fatti veicolino in modo esclusivo le teorie degli scienziati. È senza dubbio vero che l’aumento della concentrazione atmosferica dei “gas serra”, fra i quali l’anidride carbonica (CO₂) e i clorofluorocarburi (CFC), hanno causato e causano l’aumento dell’effetto serra, a sua volta responsabile dell’aumento della temperatura globale. È altrettanto vero che l’uomo è una causa determinante nel cambiamento climatico in atto, dal momento che l’anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili e quella prodotta dagli allevamenti intensivi, per citare due esempi, hanno contribuito in maniera determinante – e tutt’ora contribuiscono – a incrementare l’effetto serra.

sensibilità climatica

Tuttavia il concetto di sensibilità climatica non esaurisce il suo significato nella forza empirica con cui si mostra e orienta le misurazioni, perché, nel momento in cui viene fissata una definizione in grado di catturarne gli elementi descrittivi, si forma una prospettiva valutativa che veicola quegli elementi alla luce dell’aspetto problematico che si intende indagare e, possibilmente, risolvere.

Questa bidimensionalità del concetto si rivela chiaramente nella critica prima di J. Lovelock e poi di J. Hansen all’IPCC, responsabile secondo quest’ultimi di aver effettuato delle valutazioni troppo ottimiste rispetto alle reali minacce del cambiamento climatico.

Il focus di questa critica poggia sulla nozione di retroazione, la capacità di un sistema dinamico di autoregolarsi in base ai risultati ottenuti dal sistema stesso. Si parla di retroazione positiva quando i risultati ottenuti dal sistema amplificano il funzionamento dello stesso, portandolo a sua volta ad incidere maggiormente su tali risultati e, di conseguenza, ancora una volta, sul sistema stesso. Contrariamente, si parla di retroazione negativa quando i risultati ottenuti dal sistema smorzano il funzionamento dello stesso, facendo in modo che si stabilizzi.

Questa nozione, presa in prestito alla fisica, può essere usata per mostrare come le modalità con le quali sta avvenendo il cambiamento climatico, inteso come sistema dinamico appunto, non garantiscano una comprensione della sensibilità climatica in termini puramente descrittivi, dilatando di conseguenza anche il concetto stesso di misurazione.

In questo senso, le retroazioni sono sia effetti che cause del cambiamento climatico, in un circolo causale slegato dal nesso causa-effetto, inteso in senso stretto. Risulta dunque problematico per gli scienziati rendere conto di tutte le retroazioni, effettive e potenziali, che agiscono sul global warming.

La tradizione scientifica tende a suddividere le retroazioni in “lente” e “veloci”. Nella creazione di modelli climatici – modelli che gli scienziati ritengono siano in grado di predire come sarà il clima tra un certo periodo di tempo – vengono prese in considerazione quasi esclusivamente le retroazioni veloci, poiché le altre sono giudicate sufficientemente lente da poter essere trascurate per la previsione.

Quindi all’interno della definizione di sensibilità climatica rientreranno retroazioni veloci come il riscaldamento degli oceani, la cui capacità di trattenere CO₂ è inversamente proporzionale alla temperatura dell’acqua stessa, ragione per la quale all’aumentare della temperatura superficiale degli oceani corrisponderà l’incremento della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera. Al contrario, non vi rientreranno retroazioni lente come il cambiamento della vegetazione dettato dall’aumento della temperatura, essendo valutabile nell’ordine di secoli.

Tuttavia, l’impossibilità di render conto di tutte le retroazioni possibili, magari adagiate su lunghe catene causali, e la decisione di considerare solamente quelle valutate sufficientemente veloci da poter influire nel breve e medio periodo sul riscaldamento globale, lasciano un margine di critica. Margine sfruttato, come detto precedentemente, da Lovelock e Hansen.

Entrambi gli scienziati mostrano un certo scetticismo verso l’affidabilità dei modelli dell’IPCC, ritenuti non in grado di fare previsioni attendibili oltre ogni ragionevole dubbio. Paradossalmente, il motivo si mostra nella scelta – comune nel panorama scientifico – di accettare come vere solo quelle ipotesi che hanno passato ogni vaglio critico e che risultano attendibili oltre ogni ragionevole dubbio.

Nella fattispecie, considerare solo le retroazioni che sono sufficientemente veloci oltre ogni ragionevole dubbio, ma non quelle che potrebbero esserlo, senza tuttavia godere di un sostegno evidenziale altrettanto forte, renderebbe le previsioni dell’IPCC non del tutto attendibili.

Sostanzialmente sia Lovelock che Hansen ritengono che questi modelli cadano in difetto nel momento in cui escludono, perché considerate molto lente, retroazioni che possono invece essere sufficientemente veloci.  In tal senso, l’ipotesi di Hansen riguardante la retroazione della variazione dei ghiacci polari – da lui giudicata sufficientemente veloce da dover rientrare nella definizione di “sensibilità climatica” – mostra i limiti di un modello che, facendo riferimento ad una definizione che invece la esclude, difetta in termini di prospettiva.

Esattamente come il concetto di biodiversità non può fornire un’unità di misura in grado di catturarne il significato in termini puramente fattuali, allo stesso modo si fa fatica a riconoscere che la capacità descrittiva del concetto di sensibilità climatica esaurisca il suo significato.

Infatti, nel preciso istante in cui il significato di sensibilità climatica viene fissato, al suo interno si sviluppano necessariamente forze valutative che danno una direzione e una spinta a quel significato.

Così, parlando di riscaldamento globale, se ci si riferisce ai modelli dell’IPCC, lo si fa abbracciando l’idea che certe retroazioni non siano ritenute rilevanti nella definizione del concetto. E questa è una decisione morale non solo perché caratterizza la scelta degli specialisti di far proprie certe ipotesi e scartarne altre, in base alla rilevanza temporale del problema. Ma anche perché questa decisione ha conseguenze morali, poiché da esse dipende la salvaguardia del nostro Pianeta e delle generazioni future.

Specularmente, anche considerando una nozione più ampia di sensibilità climatica, proposta da Lovelock e da Hansen, ci rendiamo responsabili di una scelta valutativa che permea il significato del concetto. E anche in questo caso la natura morale della scelta viene situata sia nel momento in cui la definizione di sensibilità climatica matura il suo significato sia nelle conseguenze che un piano di intervento, basato su quelle previsioni, avrebbe nella vita delle persone.

Con ciò non si vuol affermare che scelte a questo livello vengano fatte in modo arbitrario. Semplicemente si vuol mostrare che nell’equazione di un problema come quello del riscaldamento globale è necessario un punto di vista che si focalizzi sul rapporto fra costanti fattuali e variabili valutative, cogliendone la mutua dipendenza.

Nella misurazione della sensibilità climatica, necessaria alla previsione di scenari climatici futuri, non si riferimento esclusivamente a descrizioni di fatti, né ad atteggiamenti di natura valoriale e con conseguenze strettamente morali. Si fa riferimento, inevitabilmente, a tutto questo insieme di elementi, che possono essere spiegati separatamente, ma la cui comprensione complessiva è posta nei termini della loro interconnessione.

Edoardo Wasescha

Edoardo Wasescha

Amava definirsi un nerd prima che diventasse una moda. È appassionato di filosofia e di fisica, di cinema e di serie tv, ama scrivere perché, più che un posto nel mondo per sé, lo cerca per i propri pensieri. Il blog è la sintesi di tutto questo.

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