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EP.32 Il problema della verità

EP.32 Il problema della verità
«Il problema della verità è se dirla o non dirla»

Questo è l’inciso che si può leggere sulla quarta di copertina de La scuola cattolica, romanzo di Edoardo Albinati, o meglio, come lui si autodefinisce, il Premio Strega Albinati. Il romanzo in questione è nella fattispecie un tomo di 1294 pagine (vedere per credere!) dalla copertina semplice, gialla e azzurra. Perfetto come supporto per il gomito se si intende dormire in classe, utile come peso per fare gli squat, ottimo anche nella classica funzione di protesi per tavolini, nel caso si abbia una delle quattro gambe che misuri la metà di tutte le altre.
Al netto di ciò, è uno di quei romanzi per i quali varrebbe la pena farsi due mesi di reclusione monasteriale solo per avere il tempo di leggerlo tutto, in ogni sua digressione o evoluzione, perché La Scuola Cattolica è quello che la critica del settore si sbilancia a definire “Il grande romanzo italiano”.
E grande lo è di sicuro.

 

La Scuola Cattolica, il film

 

Centro di alcune polemiche negli ambienti artistici delle ultime settimane è stato per l’appunto il film omonimo tratto dal romanzo e di recente uscito nelle sale, per la regia di Stefano Mordini. La polemica in questione si incentra sulla decisione della III Commissione per la Revisione Cinematografica di operare una censura sulla visione del film: esso infatti è vietato ai minori di diciotto anni in quanto, si legge nelle motivazioni, vi si troverebbe all’interno un’equiparazione fra vittime e carnefici, a loro volta mostrati come vittime del loro contesto sociale.
E’ la prima volta che il cinema italiano subisce una censura da 23 anni.  A questo però ci arriveremo poi.

La trama

La Scuola Cattolica è a tutti gli effetti un romanzo autobiografico, in quanto è tratto  dall’esperienza liceale di Albinati stesso. Per numerose digressioni di carattere talvolta estremamente personale, egli segue le diversi percorsi, accettando ogni deviazione sulle vicende di alcuni dei suoi compagni, fino ad arrivare alla più oscura di queste: il massacro del Circeo ad opera di Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, dei quali i primi due frequentanti proprio lo stesso liceo dello scrittore.

Il massacro del Circeo

Il Massacro del Circeo è una delle più violente pagine della nostra storia, e benché la concorrenza sia davvero accanita, anche dei cosiddetti “anni di piombo”. Senza sviscerarne troppo i contenuti e rifiutandomi di fare eziologia, si tratta del rapimento, lo stupro e la tortura di due giovani ragazze romane, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez perpetrati dsi sopra citati Izzo, Guido e Ghira in una villa del Circeo di proprietà di quest’ultimo. Rosaria morirà proprio durante il rapimento a causa delle torture,  Donatella invece vi sopravvivrà e viva verrà ritrovata nel bagagliaio dell’auto del padre di Guido.
A livello processuale si può ricordare la vicenda come una delle più vergognose pagine della storia italiana.
l’esiguità delle pene (delle quali vi invito a ricercare gli esiti) tuttavia non è tanto da imputarsi ad un buon gioco di difesa degli avvocati, quanto alla profonda arretratezza culturale dei tempi in materia di umanità che basterebbe da sola a smentire quanti di coloro rimpiangono “i bei vecchi tempi andati”, che di fatto, così belli non erano, non per le donne, e di conseguenza neanche per tutti gli altri.
Si ricorda inoltre che fino al 1996 lo stupro non era considerato un crimine contro la persona quanto contro l’etica pubblica.

Non si giudica un film dalla copertina

Per non  inserirci nella questione spinosa del confronto romanzo/film, che peraltro non sono in grado di affrontare totalmente avendo letto il romanzo ad intervalli di trenta pagine, conviene darvi un’indicazione su come si valuta un film tratto da un libro, ovverosia, non dalla fedeltà alla trama.Per citare l’opinione autorevole di un esperto del settore, Robert Stam, se dovessimo fare un film fedele alla trama di Guerra e Pace, dovremmo essere anche disposti ad accettare il supplizio di un film di trenta ore. Dunque capirete certamente la difficoltà nel rimanere fedeli ad un romanzo di 1294 pagine, rientrando comunque nelle tempistiche accettabili di visione (nel quale il film rientra ampiamente).
Il romanzo di Albinati è un romanzo di digressioni, ed è intuibile da parte del regista la volontá seguirne il maggior numero possibile per dare un quadro completo, ma per soddisfare questa ambizione forse sarebbe stato più consono sfruttare il mezzo della serie TV.
Non è tuttavia a mio parere quel film terribile e privo di coerenza che la critica e la risposta in sala sembrano aver dipinto, ma soprattutto sono assolutamente convinta che non si tratti di un film da censurare, soprattutto ai più giovani.

Il problema della verità

Per ammissione stessa del regista, il film è stato pensato proprio per la fruizione giovanile, e lo si può evincere sia dal modo in cui a livello visivo viene affrontato il massacro (con la cruenza che gli è connaturata, ma senza indugiarvi troppo sopra) ed anche dalla scelta del cast nella quale figura protagonista un volto noto agli adolescenti come Benedetta Porcaroli (protagonista di Baby), nei panni di Donatella.

Vittime e carnefici dunque, fra i quali vige sì una dialettica (non ci sono vittime senza carnefici e viceversa si diventa carnefici solo facendo vittime) ma non certamente un’equiparazione.
Non c’è  nel racconto di Albinati un’apologia degli artefici del delitto in base a dinamiche familiari e/o sociologiche. Non si tratta di un’eziologia quanto della descrizione di un contesto, quello dell’educazione cattolica e della “Roma Bene” dei Parioli e di come questi abbiano contribuito a formare il mostro, anzi i mostri al suo interno. Mai tuttavia addossa la responsabilità del crimine a tali dinamiche, dunque non deresponsabilizza i colpevoli.
Se nel romanzo di Albinati entra in campo una forte matrice autobiografica (non si tratta della storia del massacro propriamente, ma di una parte specifica di quella dell’autore, resa ovviamente trucemente significativa dall’aver frequentato lo stesso liceo di Izzo e Guido) che decentra talvolta il focus, o lo allarga, il film di Mordini verte molto sulla quota commemorazione.
E’ un film di fatto intenzionato a rendere giustizia alle vittime, perpetrare il disprezzo verso i colpevoli in prima persona, e suscitarne verso un altro colpevole, un sistema giudiziario che puniva ulteriormente le vittime.

Dunque, il problema della verità, come dice Albinati stesso, è se raccontarla o no. In questo caso come in moltissimi altri si è scelto di raccontarla per metà, di selezionare gli ascoltatori in base al limite becero della maggiore età, come se da un numero potesse davvero dipendere la facoltà di accoglierla e di comprenderla profondamente. La verità, invece, è un diritto di nascita, che non si conquista, perchè già ci appartiene.

E che dovremmo sempre difendere.

Un bacio amareggiato,
Francesca.

 

Francesca Cullurà

È laureata in Lettere all’Università di Firenze ma se la cava discretamente anche nella sacra arte del darsi l’eyeliner. I suoi interessi sono la letteratura, la Formula1 e il vecchio cinema italiano. È convinta di saper guidare meglio di molti uomini.

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