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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Boh.Mah

Boh.Mah

Fin da piccola sono andata per mare.

Tutto cominciò col gommone di mio padre in Sicilia dove ci eravamo trasferiti per seguirlo, lui ufficiale di marina, nella base di Augusta.

Avevo poco più di tre anni, quando i miei si accorsero che oltre alla macchina non soffrivo neanche il mare. Della cosa ne furono particolarmente felici, sulla terraferma d’estate ci stavamo davvero il giusto.

Navigavamo tra cale e baiette, ormeggiavamo a largo, ci tuffavamo nel blu ( ah non avevo paura nemmeno di quello!), in pratica vivevamo in barca.

Quando ci trasferimmo alla Maddalena in Sardegna, l’isola delle meraviglie, questo rapporto col mare si fece ancora più intenso, da marzo a ottobre partiva la flottiglia che nel frattempo si era venuta a creare (un gommone, una barca a vela cabinata e una a motore) animata dalle giovani famiglie che vivevano la nostra stessa esperienza isolana.

A Caprera cominciai anche la scuola di vela che continuai una volta tornata a Livorno, andavo sull’Optimist, il guscio di noce su cui imparano i bambini, facevo le regate e mi divertivo tanto più che altro perché mi sentivo grande a guidare un mezzo tutto mio, da sola, in mezzo al mare anche in condizioni un po’ complicate per essere ancora bambina. Come tutte le esperienze dell’infanzia anche questa lasciò il suo imprinting indelebile nella mia educazione.

Del mare, della libertà, del vento e delle onde non potevo più farne a meno, erano e sono elementi essenziali della mia vita.

E così da qualche anno ho accarezzato l’idea di comprarmi una barca a vela, non una deriva ma un cabinato.

Non bastavano il surf e il kite, dovevo tornare alle giornate di 18 ore in acqua.

E così è stato. La barca non è mia è del mio compagno che decise di comprarla lo scorso anno, ma comunque è già un inizio.

Un inizio direi anche istruttivo.

Le derive sono una cosa, la barca a vela è un’altra… cosa scontata, ma finché non ci si picchia la testa non ne abbiamo la corretta percezione.

Innanzi tutto è meglio essere abili con bricolage, meccanica ed elettronica, perché altrimenti ci si può trovare in grosse difficoltà e spendere una marea di soldi, e, comunque, l’avere una barca crea delle perdite nel portafogli che neanche un buco in una diga.

Altra cosa importante è il tempo, in barca a vela non bisogna aver fretta. Mai.

Ieri pomeriggio era in programma una veleggiata con pranzo e bagno, una piacevole domenica pomeriggio lontani dagli scogli affollati del fine settimana.

Pronti a partire dal porto, la barca si ferma di colpo.

Viene, per fortuna, l’intuizione brillante che una delle cime di ormeggio si sia impigliata nell’elica. In effetti è cosi ma è un bel problema.

Per fortuna intorno a noi c’erano altre persone che ci aiutano prontamente, rimettiamo la barca a banchina e cominciamo ad affrontare il problema.

Tutti si prodigano e questa è la cosa bella della vita di mare, in cui comunque non ti senti mai abbandonato.

Spunta il gestore del moletto con le bombole da prestare per ricercare le cime tagliate e sistemare l’ormeggio. Tutto si risolve in circa trenta minuti. Un bel problema diventa occasione di lezione e confronto. Nonostante il grave intoppo non si crea nervosismo.

Lo spirito della vela è forse un po’ questo, il riuscire ad affrontare le situazioni in modo attivo e sempre ragionato, con un lieve spirito avventuroso ma senza azzardo. Avere sempre calma e controllo sulle nostre reazioni, è scuola di vela e scuola di vita.

Federica Mazza

Federica Mazza

Surfista e archeologa marina o “subacquologa”, come ama definirsi con i colleghi. Il suo blog "Acqua Salata" è un diario di esperienze, riflessioni, viaggi e culture condito ogni tanto da qualche nota storico archeologica.

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