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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Ep.25 La serie di una serie di sfortunati eventi

Ep.25 La serie di una serie di sfortunati eventi

Se ve lo state chiedendo, no, quello del titolo non è un refuso dovuto alla calura, sebbene anche questa giochi i suoi scherzi nell’ultimo periodo. Quando ero piccola e accompagnavo mia mamma a fare la spesa in un supermercato locale trovavo il modesto e a tratti deprimente reparto dei libri una magra consolazione al tedio a morte della spesa. Fra questi, in un numero di copie esiguo, si trovavano i libri di Lemony Snicket “Una serie di sfortunati eventi” ad intervalli rigorosamente irregolari: c’era forse il primo ma nessuno aveva pensato ad acquistare anche il secondo, il terzo e il quarto ma un bambino più celere di me aveva messo di sicuro le sue mani sull’unica copia del quinto, privandomene, e così io venni a sapere della brutta storia degli orfani Baudleaire in modo del tutto lacunoso e incongruente.
Per quanto riguarda l’autore, Lemony Snicket  (pseudonimo dolceamaro di Daniel Handler) , a lui devo la prima forma di dissonanza cognitiva sperimentata nella vita, alla veneranda età di otto anni: di sé stesso Snicket dice star scrivendo da una prigione non meglio individuata, talvolta da un nascondiglio, si capisce che è in latitanza e fugge da qualcuno, forse dalla legge. Pensare un autore di libri per bambini come un fuorilegge mi portava a interrogarmi sulle miriadi di cose atroci che poteva aver commesso per meritarsi galera (che per quanto mi riguardava a quell’età facevano parte di un ventaglio di possibilità che andava dall’aver rubato le figurine in cartoleria all’aver mandato a fanculo la propria mamma) e tuttavia mi ritrovavo ad assolverlo: se sai scrivere, la mia morale mi impone tutt’oggi di pensarti come una persona comunque utile in società, anche se rubi le figurine in cartoleria.

Tutto questo per dire che-

di recente ho visto la serie di Una Serie Di Sfortunati Eventi prodotta da Netflix e rilasciata nel 2017, che conta fra i suoi protagonisti Neil Patrick Harris (ti stai chiedendo dove hai già sentito questo nome? Ti do un indizio se ti dico “suit up”?) nelle vesti del temibile conte Olaf che dà la caccia agli orfani Baudelaire: Violet, Klaus e Sunny.
La serie di una serie di sfortunati eventi in questione è quella che conduce i fratelli Baudlaire ancora ignari di essere diventati gli orfani Baudleaire da una spiaggia tetra in un giorno cupo, ad una barca di una località sconosciuta, diretti chissà dove. Fra la prima località e l’ultima intercorrono: la casa fatiscente del conte Olaf, quella di uno zio rettilofilo, una catapecchia su un lago di sanguisughe, una sinistra segheria, l’attico labirintico di un quartiere in, un vile villaggio, un ostile ospedale, un circo fittizio dai leoni autentici, un rifugio raso al suolo in montagna e un albergo dall’organizzazione improbabile. Un passamano di orfani come quello di un testimone prezioso ma scomodo, in fuga da un losco individuo a caccia della loro eredità.

Neil Patrick Harris nei panni del Conte Olaf

Se adesso vi aspettate che trovi un modo per convincervi a guardare questa serie vi sbagliate di grosso. Seguendo l’esempio del suo misterioso autore, posso solamente dirvi che se le pene di tre graziosi orfani perseguitati da un vile e affidati adulti incapaci è troppo per voi, allora forse non dovreste vivere. Non perché siano circostanze plausibili –soprattutto se avete già superato i diciotto anni- rimanere orfani ed essere perseguitati da un losco individuo a caccia della vostra presunta milionaria eredità e dover progettare una casa che vola, una barca di fortuna o precipitare nella bocca di un ascensore ed uscirne vivi  ma perché quella più semplice di dover avere a che fare con persone che vi ostacolano per il semplice gusto di farlo, o con adulti incompetenti, di dover crescere prima di loro, di dover affrontare una serie di sfortunati eventi e dover trovare di volta in volta la forza e l’astuzia per uscirne indenni, beh, quello può capitare.
Anzi, capita, e se siete fortunati vi è già capitato, si chiama “percorso di crescita”.

Resilienza

Forse avete già sentitito il termine “resilienza”, d’altro canto, sembra essere stata eletta la parola del secolo. L’avete vista scarabocchiata sulle braccia di calciatori che forse vi sono inciampati sopra per sbaglio e, subendo il fascino dell’esotico, hanno deciso di farne un motto, questa parola ci è piaciuta talmente tanto che l’abbiamo inserita anche nella traduzione del “Next Generation EU”, detto anche “Piano nazionale di ripresa e resilienza” .
Seguendo Treccani.it, il termine “resilienza”  indica la “capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”, o la “capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”.
Adesso forse capite perché questo termine ci piace tanto. Resilienza è ciò che tutti noi ci auguriamo tacitamente per noi stessi quando pensiamo a quanto difficile e oscuro può farsi a volte il futuro, ma è anche una caratteristica che non appartiene a tutti, e che anzi va incontro ai pochi. Senz’altro gli orfani Baudelaire si potrebbero definire resilienti, ma nel chiedersi come questa virtù scelga i suoi eletti, e perché abbia eletto proprio loro, devo rispondervi così: gli orfani Baudelaire sono resilienti perché hanno una cultura solida a guidarli e sanno riconoscere la felicità anche quando si affaccia per pochissimo, come certi raggi di sole nei cieli imprevedibili di Marzo.  In poche parole, sono ragazzi intelligenti.

L’universo è una biblioteca

Tra le cose che non vorreste fare nella vita, vi assicuro, rientra lo studio della per niente sorprendente disciplina della storia delle biblioteche. Tuttavia, ad una biblioteca fa riferimento uno dei più importanti e affascinanti incipit della letteratura contemporanea, quello de La Biblioteca Di Babele, racconto di Jorge Luis Borges che recita così:

“L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere.”

L’universo dunque, è una biblioteca. Labirintica e ordinata in maniera del tutto imperscrutabile ma dalla facile comprensione per chi si dedica alla lettura. Non ho citato a caso la cultura come elemento fondante della resilienza prima, perché ciò che permette agli orfani Baudelaire di orientarsi nella biblioteca labirintica della vita adulta è proprio il sapere.
Sia quello teorico al quale sono avvezzi fin da bambini, sia quello pratico che impareranno d’ora in poi e che si compone di due linee guida fondamentali: che le cose che ci fanno paura vanno fatte d’impeto, e che quando si è adulti sentirsi al sicuro non basta. Non si cresce e non si vive senza paura, evitare ogni tipo di pericolo che possa minare la nostra tranquillità equivale a non vivere mai.
Una curiosità riguardo alla serie riguarda per l’appunto la presenza di una biblioteca, seppur piccola e stravagante, in ogni episodio e dunque in ogni luogo, da quella monografica della sinistra segheria, all’inconsultabile archivio di un ospedale fino ad arrivare ad un piccolo armadio che contiene pochi libri, ma che a volte è tutto ciò che serve.

Famiglia

Se un piccolo armadio può essere una biblioteca, è altresì vero che anche un solo letto scricchiolante per tre bambini, o addirittura il bagagliaio della macchina di un villain, se condiviso con le persone che si amano e che ci amano, può essere una casa. Ciò che gli orfani Baudleaire imparano durante questa serie di sfortunati eventi, è che la felicità è fulminea, ma lascia tracce indelebili, e così forse anche l’amore. E’ stata fulminea l’esperienza della felicità quando hanno pensato che bastasse una casa volante per fuggire dalla loro vita, è stata fulminea l’esperienza dell’amore dei loro genitori, non così il ricordo della felicità, né tantomeno quello dell’amore. Come materia resiliente che si ricompatta dopo un trauma, gli orfani Baudleaire comprendono che ciò che rimane della loro casa andata distrutta è l’unica cosa che conta: loro tre, ciò che sono ciascuno per l’altro. Allora forse l’amore che riceviamo quando lo perdiamo non fa altro che mutare da ricevuto a dato, non ha cambiato luogo, ha solo cambiato senso.

Una serie di sfortunati eventi

Il ritornello della sigla della serie –riassuntiva di ogni episodio e dunque diversa per ognuno di questi- insiste sull’invito allo spettatore a guardare altro, qualcosa di più felice.
Si tratta ovviamente di un escamotage, ma lasciatevi dire che se state affrontando un periodo di difficoltà, se ve lo siete appena lasciati alle spalle, se avete alle calcagna un vile conte interessato solo alla vostra eredità, questa serie fa per voi. Se non avete il tempo di iniziare una nuova serie, allora permettetemi di inserire così in fondo un interessante plot twist: potete guardare il film, che però riassume solo le vicende dei primi tre libri e pertanto riporta un finale molto interessante –più interessante di quello della serie- ma incompleto.
Del film vi lascio infine una delle massime che hanno caratterizzato tutta la mia vita, e il mantra al quale mi appello ogni volta che mi trovo in mezzo ad una serie di sfortunati eventi, e il libro che mi permette di leggerne la reale natura tarda ad arrivare:

“A volte il mondo può sembrare un luogo ostile e sinistro ma credeteci quando vi diciamo che esistono più cose buone che cattive, basta osservare con attenzione. E quella che magari appare una serie di sfortunati eventi può di fatto essere il primo passo di un viaggio.”

 

I fratelli Baudelaire nel film

 

Leggete i libri, siate coraggiosi, a volte è tutto ciò che serve.
Un bacio, Francesca.

Questo episodio del blog è dedicato al bambino, oggi adulto, che ha comprato i libri che a me mancano prima di me.
Se il mondo è una biblioteca, tu hai la parte mancante della mia bibliografia.

 

Francesca Cullurà

È laureata in Lettere all’Università di Firenze ma se la cava discretamente anche nella sacra arte del darsi l’eyeliner. I suoi interessi sono la letteratura, la Formula1 e il vecchio cinema italiano. È convinta di saper guidare meglio di molti uomini.

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