Site icon WiP Radio

Francisco Goya – una vita tra ragione e fantasia

P00741A01NF2008 001

Francisco Goya sarà il protagonista del mio articolo di oggi.

 

E’ veramente un sacco di tempo che volevo dedicare un pezzo a questo artista. Questo è strano visto che, ai tempi del liceo, non posso dire che fosse tra i miei preferiti. Ho avuto modo di apprezzarlo maggiormente in tempi più recenti.

 

Visto che l’articolo è già abbastanza lungo di suo non mi dilungherei ulteriormente, iniziamo subito.

 

 

Infanzia e adolescenza

 

Francisco Goya nacque nel 1746 a Fuendetodos, cittadina rurale nei pressi di Saragozza (nell’Aragona).

 

Il padre, José Benito de Goya Franque, era un maestro doratore di origini basche. La madre, Gracia de Lucientes y Salvador, apparteneva ad una famiglia decaduta della piccola nobiltà aragonese. Oltre a Francisco, la coppia ebbe altri cinque figli: Rita, Tomás, Jacinta, Mariano e Camilo.

 

Nel 1749 la famiglia Goya y Lucientes si trasferì per motivi di lavoro a Saragozza. Qui Francisco frequentò gratuitamente il collegio delle Scuole Pie dei Padri scolopi, con esiti non particolarmente brillanti. Fondamentale in questo periodo, fu l’incontro con Martín Zapater. Con egli, Goya instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, destinato a durare per tutta la loro vita.

 

 

In questo stesso periodo, Goya mostrò un certo talento per il disegno e la pittura. Suo padre, intuendone le potenzialità, indirizzò il figlio presso la bottega di un pittore locale, José Luzán y Martínez. Qui Francisco fece grandi progressi copiando le stampe del rinascimento e del barocco italiano. Trovò anche molti nuovi compagni, tra questi Francisco Bayeu.

 

A diciassette anni Goya, spinto dalla voglia di dipingere in maniera autonoma, si trasferì a Madrid, all’epoca città ricca di fermenti artistici. Qui il giovane si divise tra una intensa attività di studio e gli svaghi che una grande città come Madrid poteva offrire. Nonostante venne bocciato ben due volte al concorso per entrare all’Accademia di Belle Arti, Goya poté qui ampliare i propri orizzonti figurativi.

 

L’arrivo a Roma

 

 

Nel 1770 Goya lasciò Madrid alla volta di Roma. Qui il giovane soggiornò presso la casa del pittore polacco Taddeo Kuntz. La città italiana, in quel periodo, rappresentava un grande centro artistico e il pittore rimase affascinato, nonché profondamente influenzato, da tantissimi artisti. Tra questi spiccavano Raffaello, Bernini, Veronese, Guercino e Rubens. Francisco tentò di consolidare la sua fama inviando una sua tela, “Annibale vincitore che rimira per la prima volta dalle Alpi l’Italia”, al concorso tenutosi all’Accademia di Parma nel 1771. Ottenne, però, solo il secondo posto. Nel giugno dello stesso anno fece così ritorno a Saragozza.

 

I primi successi di Francisco Goya

 

Dopo il rimpatrio, Goya ricevette la commissione di decorare a fresco la basilica di Nostra Signora del Pilar a Saragozza. A questa seguirono altre committenze altrettanto prestigiose grazie alle quali riuscì a consolidare la propria notorietà. In questo stesso periodo l’artista sposò Josefa, sorella dell’amico Francisco Bayeu, e dalla loro unione nacque Antonio Juan Ramon Carlos. Le nozze tuttavia non si rivelarono affatto felici: si dice che Josefa non fosse di bell’aspetto e che Goya la tradì ripetutamente con svariate amanti.

 

 

Anno cruciale per Goya fu il 1774. Grazie all’interessamento dell’ormai cognato Francisco Bayeu, il pittore venne chiamato a Madrid dal Mengs, allora soprintendente alle Belle Arti, con l’incarico di eseguire i cartoni per la fabbrica reale degli arazzi di Santa Barbara. La manifattura degli arazzi era sino ad allora svolta seguendo l’iconografia fiamminga e l’intenzione del Mengs era quella di ingaggiare giovani spagnoli in grado di saper impiegare la maniera locale. Goya realizzò così ben sessantatré cartoni che ottennero un successo incredibile e assicurarono all’artista ancora più prestigio, anche tra le classi aristocratiche.

 

Grazie a questo enorme successo si guadagnò di merito l’accesso all’Accademia di San Fernando. A questa si unirono molti altri riconoscimenti ufficiali come la nomina a pintor del rey da parte del re Carlo IV. Grazie a questa qualifica Goya poté finalmente partecipare alla vita mondana della corte spagnola, coronando così il suo sogno.

 

La malattia

 

A causa della mancanza di fiducia nei confronti del nuovo monarca, Goya prese la decisione di allontanarsi dalla corte scegliendo di soggiornare in Andalusia. A Siviglia venne purtroppo colto da una grave malattia che lo costrinse a farsi ospitare dall’amico Sebastián Martinez.

 

Non è chiaro se la malattia in questione fosse la sifilide oppure una intossicazione da piombo contenuto nei pigmenti di colore (Goya era infatti solito inumidire i pennelli con la bocca). Ad ogni modo le conseguenze furono devastanti e il pittore fu costretto a letto da una paralisi oltre ad essere colpito da emicranie, disturbi visivi e vertigini. Si temette per la sua vita ma, fortunatamente, Francisco si rimise in salute dopo una lunga convalescenza anche se rimase vittima di una irrimediabile sordità.

 

Abbandonati i toni gioiosi delle pitture precedenti, Goya iniziò a produrre quelli che vengono chiamati cuadritos, ovvero dei quadretti di piccolo formato dove venivano raffigurati eventi catastrofici come naufragi o interni di manicomio. Dopo la morte del cognato Francisco Bayeu, Goya ereditò la sua posizione di direttore di pittura dell’Accademia e, nello stesso periodo, instaurò una relazione sentimentale clandestina con la duchessa d’Alba, María Teresa Cayetana de Silva, una delle donne più belle e potenti di Spagna, seconda per prestigio solo alla Regina.

 

 

I Capricci di Francisco Goya

 

A partire dal 1790, Francisco iniziò a lavorare instancabilmente dedicandosi in particolare ad una lunga serie di ritratti raffiguranti amici, parenti e nobili. A tenerlo soprattutto occupato furono però i suoi Capricci, ovvero un ciclo di ottanta incisioni che ritraevano con ironia vizi, errori e stravaganze della società. Lo scopo era principalmente quello di mettere in ridicolo le bassezze diffuse nella Spagna del tempo.

 

La prima edizione dei Capricci venne messa in vendita nel febbraio 1799 in un negozio di profumi e liquori. Goya dichiarò che ogni riferimento a persone e fatti esistenti era da ritenersi casuale (cosa che ovviamente non era vera) ma, nonostante questo, la raccolta incontrò l’ostilità dell’Accademia e dell’Inquisizione per via dei contenuti blasfemi e fu per questo ritirata dalla circolazione. Tra i Capricci più famosi vi fu certamente “Il sonno della ragione genera mostri”:

 

 

La Guerra e gli ultimi anni dell’artista

 

In seguito alla Guerra di Indipendenza, Goya ne denunciò le atrocità attraverso la pittura, dipingendo opere come “Il colosso” e il ciclo dei “Disastri della guerra”. A queste si uniscono altre tele molto forti, mi sentirei di citare “Il 3 maggio 1808” che studiai al liceo e che per tutta una serie di motivi mi è rimasta particolarmente impressa:

 

 

Nel 1819 Francisco, decaduto dai propri privilegi, si ritirò in una casa di campagna alla periferia di Madrid insieme alla compagna Leocadia Zorrilla, incontrata nel 1805 al matrimonio del figlio Javier. Qui Goya, in preda ad una serie di ossessioni, decorò le pareti della casa con immagini spaventose note come pinturas negras (pitture nere). L’artista cadde di nuovo vittima della solita malattia alla quale riuscì a sfuggire solo grazie alle cure del dottor Arrieta al quale dedicò anche un dipinto.

 

Dopo aver concluso il ciclo delle pitture nere, Goya riprese a viaggiare. Tappa fondamentale fu quella a Parigi dove l’artista soggiornò per tre mesi ed ebbe modo di visitare il Louvre e il Salon, accostandosi anche alle opere di Ingres e Delacroix. Si ritirò infine a Bordeaux insieme a Leocadia e qui concluse serenamente il resto della sua vita, sperimentando nuove tecniche e dedicandosi all’insegnamento della figlia Maria Rosario. Francisco Goya, dopo essere stato colpito da una paralisi, morì la notte tra il 15 e il 16 aprile del 1828.

 

Exit mobile version