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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Seconda intermittenza

Seconda intermittenza

Seconda intermittenza

Benvenuti o bentornati in queste pagine.

Racconto extra nella speranza di farvi compagnia e di cullarvi in questa bizzarra pasquetta in zona rossa. Vorrei, inoltre, tranquillizzare coloro che mi hanno scritto preoccupati del mio potenziale neo-tabagismo: mai provato e non ho intenzione di farlo nell’immediato, tranquilli.

Buona lettura e un abbraccio.

Ci risentiamo (ci vediamo? ci leggiamo?), come di consueto, venerdì!

Si stava sciogliendo la neve sulle pianure di Hokkaido. Il lupo aveva perso le speranze di trovare qualcuno simile a lui. Quando ad un tratto, delle piccole orme scomposte e quella scia di profumo gli diedero l’ultima speranza.

Cosa successe dopo la prima sigaretta?

Mi sentivo in colpa e decisi di dare confidenza alla nemica più pericolosa della nicotina: l’attività fisica. Iniziai a correre. Sì, due giorni dopo, il 26 marzo 2021, per la prima volta, mi infilai le scarpe da ginnastica adoperate solamente per la raccolta degli asparagi e diedi inizio a quest’attività fuori tempo massimo, almeno per me.

Va da sé che durai cinque minuti, nemmeno forse, ma non mi persi d’animo. Ero riuscito anche a riunire una piccola schiera di conoscenti che volevano, per le ragioni più disparate, rimettersi in forma. C’era quello in ansia per la “prova costume”, c’era quello che voleva correre per far colpo sulla ragazza del momento e altre motivazioni buffe davvero. E poi c’ero io, l’unico scemo che corre perché inizia a fumare e si sente in colpa. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte, no?

Dopo qualche giorno, le mie suole iniziarono a prendere confidenza con l’asfalto e iniziavo, a piccoli passi, a macinare kilometri. Era tutto bellissimo, e finalmente, dopo anni di attesa, stavo iniziando a sentire il mio corpo. A prendere coscienza della mia fisicità. E, paradossalmente, tutto questo grazie al catrame che, tutt’oggi, ristagna nei miei polmoni. Come dicono quelli ganzi: bastone e carota.

-O bello, come stai? Senti, stasera hai voglia di venire a farti una corsetta? Così, tranqui… Una sgambatella sul mare, nulla di che. Ah, è sabato? E quindi? Ah già, sei con la bimba. Va bene dai, non preoccuparti ci sentiamo alla prossima.

-Oi, ciao! Tutto bene? Stasera mi vado a fare la solita sudatella. Vieni? Sì sì, lo so che è sabato. Hai l’apericena coi genitori della tua ragazza? Come sarebbe a dire che lei non c’è? Vabbè, d’accordo allora… non so cosa si dica in questi casi, ma divertiti!

-Stasera corri? Non hai voglia? Ok, ciao.

E così quel sabato finì così, a correre in solitaria sul lungomare. La passeggiata era deserta come sempre e, con un guizzo di sano egoismo, pensai di essere fortunato: potevo immergermi e assaporare meglio il salmastro che mi avvolgeva. Iniziò a piovere, di brutto anche, e cercai rifugio sotto la piccola tettoia di uno dei ristorantini lì vicino, chiusi a causa della zona rossa. I minuti trascorrevano e la pioggia non accennava a diminuire e rimasi lì, bloccato con la mente che vagava negli apericena, al calduccio e circondati d’amore, dei compagni di corsa. Buon per loro.

Mentre ero concentrato a sognare le vite degli altri, si stavano avvicinando dei passi pesanti, dei passi in corsa, esattamente come lo erano i miei poco prima. Vidi sbucare nella pioggia, in quest’atmosfera a metà tra l’onirico e l’apocalittico, una ragazza. Appena mi vide riparato da quella piccola tettoia si fiondò lì sotto. Si mise a sedere accanto a me e attaccò bottone. Inizialmente rimasi stranito, poi, goffo e impacciato, la assecondai e mi gettai a capofitto in quella conversazione nata grazie al diluvio intorno a noi.

Mi raccontò della sua vita, io le raccontai della mia, di tutti quei piccoli scazzi che erano sopravvenuti quello strano inverno e lei mi ascoltò davvero. Non era uno dei soliti compagni di corsa che ti ascoltano solamente per cortesia e per avere, a loro volta, qualcuno che stia attento durante le loro storie. Il suo odore era qualcosa di nuovo per me: era come se il mare si fosse personificato e mi stesse parlando. Mare solido, a portata di mano. Salsedine fatta persona, letteralmente.

Anche lei era un’amante del mare. Parlo di lei al passato perché dopo quel giorno non la vidi più. Io provai, coi miei modi goffi e impacciati, a recuperare il suo numero, ma lei non era molto entusiasta dell’idea. Non insistetti oltre: non volevo risultare molesto e rispettai la sua decisione. Disse che, se il destino fosse stato d’accordo, ci saremmo incontrati nuovamente a correre, o sotto quella tettoia.

Dopo quel fugace incontro passarono giorni terribili. La memoria ha cancellato tutto e, non ricordo come, mi trovai all’ultimo piano del palazzo più alto del mio paese a guardare il vuoto. Era il tramonto, la vista era meravigliosa, e pensai a quanto dovesse essere ancora più splendida se ci fosse stata la runner accanto a me.

Mi alzai in piedi, deciso a farla finita…

Ora, raccontare in prima persona, e specialmente al passato, un suicidio o un presunto tale è sempre ridicolo. Se il tentativo fosse effettivamente riuscito, non sarei qui a raccontarvelo.

Iniziò a piovere. La pioggia scivolava sulla mia pelle e sui miei pochi capelli. Si mischiava alle lacrime che sgorgavano incessantemente, fuori controllo, senza motivo. Un piede salì, istintivamente e senza pensarci troppo, sul parapetto. L’altro non ne voleva sapere e rimase a terra.

La pioggia si faceva più intensa ogni secondo che passava e in un batter di ciglia ero fradicio. Il vento, che non voleva saperne di essere secondo a qualcuno, iniziò a soffiare prepotentemente. E io ero lì, fermo e immobile, in balia delle pulsioni più opposte che possano esserci.

Arrivò un odore, una fragranza acre e umida che andava a miscelarsi in quella situazione già di per sé assurda. Era come se la mia compagna di tettoia fosse lì accanto a me e mi avesse preso per mano. Riacquistai il controllo del piede e lo feci scendere dal parapetto. Fatto ciò, tornai in me e, seguendo l’odore che mi aveva “salvato”, ripresi a correre, nella speranza che la pioggia di quella sera mi portasse esattamente sotto la stessa tettoia e lì, questa volta, sarebbe stata lei ad aspettarmi.

Non ricordo se la trovai o meno, essere scampati alla morte era già un fatto abbastanza coinvolgente, emotivamente parlando.

Da quel giorno, però, smisi di correre. Penso che la risposta alla domanda: ”L’hai più incontrata?” sia, purtroppo, palese.

Però, un elemento positivo c’è stato: ho comprato delle cuffie Bluetooth, in modo che, se mai dovessi riiniziare a fare sport, non dovrò più sopportare le scuse degli altri. Tutto sommato, direi che ne è valsa la pena.

Fine

Gabriele Bitossi

Gabriele Bitossi

Gabriele nasce nel '96 ed è da sempre appassionato di storie, in ogni loro forma. Studia italianistica all'Università di Pisa e sceneggiatura alla Scuola internazionale di comics a Firenze. Starebbe ore a parlare coi suoi personaggi preferiti... e se lo facesse già?

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