Uffizi “diffusi”: anche le opere reclamano la loro libertà
Con l’allentamento delle restrizioni, il mondo della cultura torna a muovere qualche passo – pur con la dovuta circospezione – nel mondo fisico, reale, quello abitato da corpi, e non da sagome più o meno definite, ostaggio della dispotica e volubile larghezza di banda delle nostre connessioni. Ancora si tratta dei primi timidi sussulti, ma non si pensi di essere di fronte a quelli che fisiologicamente sono definiti come spasmi post-mortem. Perché il mondo della cultura ancora c’è e vive. Con fatica ma forte della propria capacità di reinventarsi per tornare al meglio di sé. Prova ne sia il lavoro febbrile in questi mesi difficili di tanti artisti e istituzioni culturali, che ha riempito fino alla saturazione lo spazio virtuale con contenuti di sempre maggior qualità e originalità. Contenuti però “dimezzati”, manchevoli di quella componente propriamente umana che più volte abbiamo ribadito essere il limite invalicabile dell’online.
I depositi della Galleria degli Uffizi
In tale frangente mi ha colpito il curioso parallelismo tra la nostra voglia di riappropriarci degli spazi del vivere civile e le istanze di libertà – se mi si concede la prosopopea – delle tante opere d’arte chiuse da anni nei depositi della Galleria degli Uffizi. I depositi, costituiti da una pinacoteca (con opere dal 1300-1700) ma soprattutto dalla più antica e più numerosa collezione di autoritratti al mondo, constano di circa 3000 opere – quanto basterebbe per allestire un’altra Galleria degli Uffizi. È nel 1664 che il cardinal Leopoldo de Medici inizia a collezionare i primi autoritratti, lasciandone alla sua morte circa 80. Oggi la collezione accoglie dipinti che provengono da tutto il mondo.
Uffizi “diffusi”
È da tempo che si sente parlare del progetto degli Uffizi “diffusi”, ma ora, grazie anche alla prospettiva dei fondi europei del Recovery Fund, la situazione sembra essere ad un punto di svolta. Numerose le location che aspirano a far parte della rete. Spiccano le Terme del Corallo, diamante grezzo del liberty livornese, tema negli anni di un acceso seppur infecondo dibattito in merito alla loro riqualificazione. Una volta ristrutturate le Terme, esse potrebbero diventare gli “Uffizi del mare”, e ospitare una parte del grande patrimonio artistico che non trova ad oggi spazio nel museo fiorentino. A tal proposito è già avvenuto un primo sopralluogo il 30 dicembre scorso, che ha coinvolto, oltre al direttore degli Uffizi Eike Schmidt, il presidente della regione Eugenio Giani, il sindaco di Livorno Luca Salvetti, oltre ad altri esponenti dell’amministrazione.
Altri candidati sono per ora il Museo di Anghiari, che accoglierebbe la “Tavola Doria”, la copia più celebre dell’affresco di Leonardo mai stato realizzato, più altri dipinti sempre collegabili alla battaglia; il Museo civico di Pescia, dove potrebbero trovare ospitalità una decina di opere del Medioevo e del primo Rinascimento. E poi, il Centro visite del Parco foreste casentinesi, dove arriverebbe il “Ritratto di Dante” realizzato da Andrea del Castagno, e la Villa medicea di Careggi. Qui sarebbero esposte opere relative alla nascita dell’Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino, che vi ebbe sede. E ancora, le Terme Excelsior di Montecatini, così come un altro fiore all’occhiello dell’opera di delocalizzazione: l’Ambrogiana, la Villa medicea di Montelupo, ex ospedale psichiatrico giudiziario.
Se ripartire è sempre faticoso e non si sa mai dove dirigere per primi gli sforzi, progetti come questo potrebbero essere davvero un buon nuovo inizio.
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