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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

EP.17: Un personaggio in cerca d’autore

EP.17: Un personaggio in cerca d’autore

Fleabag è seduta nella piccola, disastrata caffetteria che ha aperto con la sua amica Boo nel cuore di Londra.
Alle pareti disseminati piccoli quadri di porcellini d’india con buffi cappellini e cornici kitsch, sul tavolo un tagliere in legno su cui sono appena state sminuzzate verdure che non vanno ai clienti ma a Hillary, il porcellino d’india che Boo ha in mano e che nutre premurosamente.
Nel piccolo locale, solo loro.

-Un ragazzino di undici anni è stato arrestato per aver infilato più volte un lapis con la gomma nel culo di un criceto- esordisce Fleabag attingendo da una spettacolare notizia sul giornale.

-Cosa?

-Già.

Boo è sconvolta e se le sue orecchie da porcellino d’india potessero decriptare il linguaggio degli uomini lo sarebbe anche Hilary.

-Perché fare una cosa del genere?

-Perché gli occhi gli schizzavano fuori dalle orbite- ipotizza Fleabag con la nonchalance di chi ha la media del dieci in educazione cinica.

-No, perché arrestarlo, ha bisogno di aiuto, non dovrebbe stare in prigione.

-Ha stuprato un criceto con un lapis!

-Perché è infelice, le persone felici non fanno queste cose. E comunque sia è per questo motivo che ci sono le gomme sulle matite.

-Per stuprare i criceti?!

-No, perché le persone commettono errori.

Un personaggio in cerca d’autore

Fleabag (Phoebe Waller-Bridge) non ha bisogno di troppe presentazioni, sarà lei stessa a farle.

Lo farà ammiccandovi da sopra le spalle dei suoi commensali, raccontandosi mentre intrattiene bizzarri rapporti sessuali, traducendo per voi le emozioni taciute di chi le sta parlando, anticipandovi ciò che verrà detto. La troverete simpatica, sarcastica, brillante. Talvolta mentirà, talvolta sarete i suoi unici confessori, gli unici amici.
La protagonista della serie infatti (due stagioni di sei puntate l’una, le trovate su Prime Videodialoga col suo pubblico, lo rende partecipe di ciò che avviene svelandogli le carte e talvolta fornendogliene di false, una cosa che novant’anni fa avrebbe fatto rabbrividire l’intera Metro Glodwin Mayer.  In gergo il suo atteggiamento dissacrante e confessorio si definisce “rottura della quarta parete” laddove la quarta parete in questione è un muro immaginario che separa il palcoscenico (di un teatro ndb.) dalla platea.
La tecnica vanta esponenti illustri, da Brecht a Stanislavskij, al formidabile precedente italiano di Pirandello con i suoi bizzarri Sei personaggi in cerca d’autore che vagano confusi alla ricerca della loro stessa storia, disposti a scendere in platea pur di trovarla.

Anche Fleabag è così, un personaggio alla disperata ricerca di un autore, di qualcuno che la definisca entro confini solidi socialmente accettabili, che le dica cosa è opportuno dire e cosa no, come vestirsi, con chi fare sesso, qualcuno che la crei e che poi si assuma la responsabilità dei suoi disastri.

Boo!

 

Benchè l’intero corollario dei personaggi che popolano questa serie sia ricco di spunti degni di nota (dalla sorella nevrotica all’impiegato bancario misogino redento), l’altro capo del filo di questa storia lo tiene certamente fra le dita Boo, l’amica con cui Fleabag ha aperto la caffetteria. E’ interessante e notevole che l’altro polo non sia un uomo o un personaggio comunque simbolo di una relazione affettiva in senso amoroso ma un’amica, un ruolo solitamente accessorio che si realizza in intrecci poco solidi poi facilmente sciolti in narrazioni ruffiane e approssimative.

Ora, il filo che lega le due ragazze parte nel passato e vi rimane, questo perché Boo è per Fleabag un personaggio del passato che torna ad affacciarsi nel presente, a tenderle agguati dolorosi in momenti differenti della giornata, si siede con lei a tavola, sale con lei sui taxi. La vediamo comparire in modo ondivago per rapidi flash: Boo con i suoi occhi azzurrissimi e l’espressione allucinata che occupa la casella della felicità nei ricordi della protagonista, Boo con i capelli sempre in disordine e gli incisivi sporgenti che mangia un panino, Boo che con il suo tono dolce e il suo sguardo innocente  assolve il mondo dai suoi peccati.

Boo improvvisamente muta, col mascara colato, Boo sul ciglio della strada, ad un passo dal traffico.

 

 

Essere il lupo

Ciò che è apprezzabile di Fleabag è che è una serie onesta con una protagonista onesta nella sua imperfezione: intraprende relazioni mediocri, vive amori superficiali, dimentica le persone importanti, dimentica di essere gentile con loro, rilega all’ironia una comunicazione impossibile che invece la allontana dagli altri. Accade già in decine di altre serie di valore (come non citare a tal proposito il già citato Bojack Horseman), ma ancora una volta Fleabag è vittima e carnefice, molto spesso di sé stessa, ma anche degli altri.

E’ lei il lupo, l’antagonista sui cui vorremmo poter indirizzare tutte le nostre antipatie.

Riusciremo a perdonarla per questo?

L’abbiamo già perdonata, abbiamo cominciato ad assolverla già dalla prima scena, è la sua sincerità buffa, la sua ironia nostalgica che ci ha costretto ad entrare in empatia con le sue disgrazie e a volerle bene.
Fleabag è, in fin dei conti, una di noi.
La sua speranza di essere perdonata è la nostra, la sua attesa di una risposta alle richieste di assoluzione è quella di tutti noi che siamo stati il lupo, e non siamo ancora stati perdonati per questo.

Le gomme sulle matite

Quello a cui assistiamo per dodici episodi è sostanzialmente un cammino di redenzione narrato con ironia attraverso i suoi snodi più crudi e tutte le sue false partenze.
Se il punto di partenza di questo percorso sta nella realizzazione banale che ciascuna delle nostre azioni ha un impatto e delle conseguenze (di cui talvolta non si è in grado di prevedere la portata) quello di arrivo forse sta proprio nel capire che quando le nostre richieste di perdono non possono ottenere risposta completa, allora l’unica cosa da fare è perdonarsi da soli.
Assolvere noi stessi per tutte le volte in cui avremmo voluto essere affascinanti e invece siamo state imbarazzanti o inopportune, per tutte quelle volte in cui avete perso la dignità in discoteca o davanti alla porta del vostro ex fidanzato, per gli errori commessi e le parole omesse, per tutte le amicizie perse per poco e il loro ricordo si affaccia ancora ad occupare la casella della felicità, anche se è passato molto tempo.
Se è vero dunque che il passato non si cancella perché è scritto a penna, ricordatevi che solo chi non si prende troppo sul serio gode del privilegio di scrivere il suo presente a matita.

E la gomma sulla matita ce la mettono perché le persone commettono errori.

 

 

Francesca Cullurà

È laureata in Lettere all’Università di Firenze ma se la cava discretamente anche nella sacra arte del darsi l’eyeliner. I suoi interessi sono la letteratura, la Formula1 e il vecchio cinema italiano. È convinta di saper guidare meglio di molti uomini.

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