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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

WITHIN YOU, WITHOUT YOU

WITHIN YOU, WITHOUT YOU

George Harrison: Voce, Tambura, Sitar, Chitarra acustica
Anna Joshi: Dilruba
Amrit Gajjar: Dilruba
Buddhadev Kansara: Tanbur
Natwar Soni: Tabla
Musicisti indiani non identificati: Sitar, Swaramandala
Erich Gruenberg, Alan Loveday, Julien Gaillard, Paul Scherman, Ralph Elman, David Wolfsthal, Jack Rothstein e Jack Greene: Violini
Reginald Kilbey, Allen Ford e Peter Beavan: Violoncello
Neil Aspinall: Tambura

Registrazione: 22 marzo1967
Produttore: George Martin
Fonico: Geoff Emerick

Stavamo parlando dello spazio tra noi tutti
E delle persone che si nascondono dietro un muro di illusioni
Non scorgono mai la verità, e allora è troppo tardi quando muoiono

Stavamo parlando dell’amore che tutti potremmo condividere
Quando troviamo il modo di fare del nostro meglio per tenerlo lì con il nostro amore
Con il nostro amore, potremmo salvare il mondo, se solo lo sapessimo

La musica indiana e George

Non era la prima volta che George Harrison si cimentava con il sitar. Era già successo con Norwegian wood, ma questa era la prima volta che George dedicava un’intera canzone alla musica indiana.

Il testo contiene riferimenti al senso della vita dandole un’impronta decisamente trascendentale e spirituale. Questo sia nel testo, sia nell’uso di strumenti indiani.

E’ una canzone diversa da tutte le canzoni dei Beatles. Del resto George si è sempre contraddistinto per una creatività, pur meno prolifica, assolutamente indipendente rispetto a Paul e John.

«…Abbiamo passato quattro anni a fare tutto ciò che volevano gli altri. Adesso stiamo facendo quello che vogliamo noi. Per
come la vedo io, tutte le cose che abbiamo fatto finora sono state stupidaggini. A qualcuno saranno pure piaciute, ma non
intendiamo più prenderci in giro. Non hanno il minimo senso, se paragonate a ciò che vogliamo fare adesso».
George Harrison, Daily Mirror, 11 novembre 1966

Cerca di renderti conto che è tutto dentro di te
Nessun altro può farti cambiare
E farti vedere che sei davvero solamente molto piccolo
E la vita va avanti dentro te e senza di te

La canzone

George conosceva molti musicisti indiani che chiamò a raccolta per la realizzazione del pezzo. L’intera base è frutto di questi musicisti e dell’ottimo rapporto che Harrison aveva con loro. Oltre al sitar, fu usato un altro strumento tradizionale indiano: il diruba.

Secondo la tradizione indiana il diruba andava suonato all’unisono con il cantante solista e la vera sfida fu di fondere una melodia tipicamente pop con una base di esclusivi strumenti indiani.

«Avevo dodici o tredici anni, e sentii Heartbreak Hotel 66 provenire da una casa, mentre andavo in bicicletta. Quel sound mi colpì moltissimo: mi coinvolse da morire e mi fece venire voglia di risentirlo, di saperne di più. Proprio come successe poi con la musica indiana. Non l’avevo mai sentita, eppure dentro di me era come se l’avessi sempre conosciuta. Per me aveva più senso di qualsiasi altra cosa avessi mai ascoltato prima».
George Harrison, South Bank Show

Stavamo parlando dell’amore che si è raffreddato
E delle persone che hanno guadagnato il mondo e perso la loro anima
Loro non sanno, non vedono, sei uno di loro?

La registrazione

La sala di registrazione fu addobbata con tappeti e drappi alle pareti. La stanza diventò improvvisamente un rifugio accogliente di colori e calore.

Tutto si ispirava alla filosofia Veda  e all’induismo. Secondo la Veda la musica prende vita attraverso la voce e tutti gli strumenti devono quindi seguirne la melodia e l’armonia.

Alla fine furono aggiunti gli archi e l’orchestra faticò non poco a seguire le improvvise fughe tipiche della musica indiana.

«Non mi sarebbe dispiaciuto essere George, l’uomo invisibile, e imparare tutto quello che lui ha imparato. Deve essere stato
difficile per lui, a volte, perché io e Paul siamo tipi un po’ egocentrici. Ma così va la vita».
John Lennon Remembers

Quando hai guardato oltre te stesso allora puoi scoprire
Che la pace dei sensi sta attendendo
E verrà il tempo quando vedrai che siamo tutti soli
E che la vita scorre dentro te e senza di te

 

Live e cover

Molte furono le cover che si sono succedute negli anni. Fra queste citiamo gli Oasis, Patty Smith e uno stupendo pezzo dei Dead Can Dance: Indus.

Per la pubblicazione di questo pezzo, Gerrard e company chiesero il permesso a George Harrison, ma furono costreti dalla casa discografica a pagarne i diritti.

Di seguito troverete il video di questo capolavoro.

Ernesto Macchioni

Ernesto Macchioni

Il mare in tempesta fu improvvisamente colpito ai fianchi da un milione di tonnellate di olio. Fu così che venne alla luce Ernesto Macchioni in un'inaspettata giornata d'estate in pieno novembre 1961. La finestra fu finalmente aperta, Ernesto si affacciò e venne invaso da un fiume di luce e salmastro. L'infanzia la passò a cercare di capire se era meglio saper giocare a pallone o ascoltare la musica. Scelse la seconda ipotesi, senza rendersi conto di quanto si sarebbe complicato la vita. Il mare lo guardava perplesso. Faceva le scuole medie quando imparò a suonare la chitarra. Divenne amico intimo di Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Lucio Battisti, cercando di scacciare l'inopportuna presenza di Claudio Baglioni. Erano amici fidati, a loro non importava se non sapevi giocare a calcio. Il mare scuoteva la testa. Alle superiori si illuse che il mondo era facile e cambiò religione diventando comunista. Bussarono alla porta di casa gli Inti-illimani e li fece entrare. (Battisti lo nascose nell'armadio). Claudio Lolli chiese "permesso" e lo fece accomodare. Pink Floyd e Genesis erano degli abitué ormai da tempo. La casa era piena di gente. Sua madre offriva da bere a tutti (ma non riuscì mai a capire cosa ci faceva quel ragazzo riccioluto rintanato fra i vestiti). Il mare aspettava. Venne l'ora provvisoria del buon senso e del "mettisufamiglia". La chitarra si era nel frattempo trasformata in un pianoforte. La casa era grande adesso e, oltre ai figli, poteva contenere anche vecchi giganti come Chet Baker e Miles Davis, lo zio Keith Jarrett e il nipotino Pat Metheny. La moglie offriva da bere a tutti, compreso Lucio Battisti che si era da tempo tolto la polvere dell'armadio di dosso. Qualcuno aveva infranto i sogni e il muro di Berlino, scoprendo che era fatto di carta come loro. Il mare si fece invadente e, stanco di aspettare, entrava anche in casa nei momenti più inopportuni. Era una folla. Quando Ernesto decise di far entrare anche Giacomo Puccini, Giuseppe Verdi e Gabriel Fauré la situazione cominciò a farsi insostenibile. Soprattutto quando il nostro protagonista scoprì che tutti, ma proprio tutti, compreso Francesco Guccini, sapevano giocare a pallone. Era un caos indefinibile vederli giocare fra le stanze, scoprire che De Gregori poteva benissimo entrare in sintonia con Giacomo Puccini e servirgli un assist da campionato del mondo preciso sulla testa. E tutto sotto lo sferzante vento di libeccio che infuriava in tutta la casa. Il mare si godeva le partite con un braccio sulla spalla di Ernesto, in totale stato confusionale. Quando in casa entrò Wolfang Amadeus Mozart la casa scoppiò. Ernesto lo trovarono sorridente fra le macerie. Lo videro togliersi i calcinacci dalle spalle, prendere un pallone e cominciare a palleggiare (un po' impacciato a dire il vero). Qualcuno giura di aver visto Lucio Battisti, con indosso una giacca di Ernesto, allontanarsi allegramente a braccetto con Giuseppe Verdi. Il mare, un po' invecchiato, respirava adagio sulla battigia.

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