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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

La maratona degli androidi

La maratona degli androidi

La maratona degli androidi

Stavo camminando, e tra me e me riflettevo su quale potesse essere il tema per il nuovo articolo. Pensavo, pensavo e pensavo, quando all’improvviso…BOOM! L’illuminazione è giunta. Un mio amico ha paura dei robot, degli androidi, o comunque di tutte quelle creature umanoidi “rifatte” e ristrutturate con parti meccaniche. Ok, direte voi, ma che c’entra?

Non lo so nemmeno io, ad essere sincero. Ma è stato un flusso di coscienza di cui vorrei rendervi partecipi. Mi sono domandato la ragione di questa sua paura, a mio avviso, completamente irrazionale. Si guarda un sacco di horror, legge racconti di ogni genere, ma quando ci sono di mezzo creature all’apparenza umane che nascondono componenti tecnologiche, non ce la fa. Curioso vero?

Ma perché lo spaventano così tanto? Non lo so, e francamente penso che non esista una risposta che mi/ci/gli chiarisca la situazione. Credo però, che gli androidi possano darci un assist per parlare di fantascienza, e provare a spiegare, seppur in minima parte, la ragione del loro fascino sull’immaginario narrativo degli ultimi secoli.

Mi sono accorto (probabilmente in ritardo sulla tabella di marcia) che i generi che isolano, o comunque allontanano, l’essere umano dalla sua realtà contingente, funzionano al meglio quando portano l’uomo a riflettere sui suoi problemi, alla stregua di un racconto definibile come “realistico”. Le astrazioni e le metafore che possiamo compiere danno vita ad una molteplicità di situazioni, sempre nuove, sempre diverse e sempre originali che riflettono sulla nostra società e sul mondo che stiamo vivendo.

Banalmente ed in velocità: il fantasy può essere un pretesto per avvicinare razze diverse e parlare di razzismo; l’horror può essere un modo per riflettere sulle paure e le inquietudini dell’uomo moderno; la fantascienza, accostandoci alle nostre “controparti” tecnologiche, può essere un modo per indagare sull’essenza dell’uomo; su cosa davvero ci renda unici e/o forse insostituibili.

Gli androidi ci sostituiranno? Li elimineremo perché siamo dei padroni gelosi? Proveremo ad integrarli nella nostra società, non solo come nostri subalterni, ma come pari? Non lo so, e forse non vivrò abbastanza per dare una risposta a questo gigantesco quesito, ma forse è proprio a questo che serve l’arte.

Scusate per l’introduzione più lunga del solito, ma mi sembrava doveroso dato il tema “astruso” di oggi: tre opere a tema ANDROIDI. Vai col liscio!

Gli androidi sognano pecore elettriche?

Questo romanzo è importante per vari aspetti. Uno di questi, e forse uno dei più importanti, è quello di aver ispirato IL capolavoro di fantascienza (e non solo) Blade Runner. Scritto da Philip K. Dick nel 1968, ambienta le vicende narrate nella S. Francisco del 1992. I temi trattati e su cui l’opera punta sono comuni a gran parte della letteratura degli anni ’60: le droghe, la depressione, la guerra fredda, il conflitto nucleare, la repressione poliziesca e chi più ne ha, più ne metta. La trama è davvero semplice: gli androidi sono in mezzo a noi, hanno le nostre sembianze e sono all’essere umano subordinati; sei androidi fuggiti al controllo devono essere eliminati. Più semplice di così, si muore.

La vita degli androidi è sogno.

Ma cos’è che rende davvero unico questo romanzo, secondo me? Trovo che sia bellissimo perdersi nei turbamenti di Deckard, il nostro protagonista, il nostro agente che indaga su questi androidi. Metterà anche in dubbio cos’è che lo rende diverso da loro, e finirà, inevitabilmente per essere sentimentalmente coinvolto.

Il mondo è in rovina, e chi può, se ne va dalla terra per cercare rifugio su delle colonie spaziali. Sul pianeta natio ci restano i disperati, come il nostro Dekcard. Gli animali sono quasi estinti, l’inquinamento è alle stelle e la natura si sta pian piano ribellando. E come fare per replicare quell’assurdo rapporto uomo/animale che altro non è che un rapporto padrone/schiavo, ora che gli animali non ci sono più e gli androidi stanno prendendo coscienza di sé? Facile: creiamo degli animali meccanici.

Lo sai cosa ne pensa la gente di chi non si prende cura di un animale; lo considerano immorale e anti-empatico.

Si cerca di ristabilire quello status quo che ora sembra vacillare, sempre a partire dalle vittime. Tutto è da rifare, e tutti entrano in questo meccanismo perverso: i pochi benestanti rimasti comprano gli ultimi esemplari di animali ancora in vita; coloro che non se li possono permettere, si accontentano di animali artificiali, che simulano i comportamenti di animali autentici.

Tutto è portato allo stremo, tutto sembra essere ribaltato (cosa che effettivamente succederà solo nel film, però), e le nostre certezze cadranno. Chi sono gli androidi? Cosa distingue gli esseri umani? Chi sta cacciando chi? La dinamica preda/predatore è sempre più sfuggente mano a mano che si procede con la lettura.

La figura dell’androide perfetta però, secondo me, si avrà solo nella trasposizione cinematografica, che prende tutti questi i concetti e li porta a completa maturazione, in maniera esemplare. Si distacca molto dal romanzo, ma di questo crea una situazione complementare e assolutamente necessaria, per fornire una volta per tutte la visione definitiva di questo piccolo, incredibile, micro universo.

Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.

Alien: Covenant

L’ultima citazione mi consente di trovare l’appiglio per legarmi a quest’opera senza troppi voli pindarici. Questo film racconta la creazione, e la caduta nella dimensione percettiva, ma andiamo per ordine.

Devo iniziare a parlare di questo film meraviglioso con un piccolissimo disclaimer: è uno dei film di fantascienza più belli degli ultimi vent’anni, su questo non ci piove. Appartiene alla saga di Alien, nata nel 1979 con l’omonimo film diretto da Ridley Scott (che non a caso, è anche il regista di Blade Runner; quando tocca lo spazio, quando tocca la fantascienza, il risultato è garantito).

Nello specifico, questo film si inserisce come seguito di Prometheus, nel solco dei prequel alla saga; andremo a vedere cos’ha portato alla situazione che ha definito lo status quo che troviamo nei film della “main line”. Non farò spoiler, ma andremo proprio a definire quando e come è nato lo xenomorfo più amato (e temuto) dal pubblico di tutto il mondo.

Il protagonista effettivo è David, anello di congiunzione che lega questo film al precedente. L’opera si regge in buona parte su di lui, sulle interazioni che ha con i personaggi e col mondo circostante. David è un androide, e tutti gli androidi in questo universo narrativo hanno le fattezze di Michael Fassbender. A David, viene contrapposto Walter, androide più avanzato dell’altro: non fallisce mai, non commette nessun tipo di errore ed è infallibile in qualsiasi campo scegliamo di utilizzarlo.

David, però, all’inizio del film, appena creato, riesce a suonare una sonata di Wagner, e riesce pure, più avanti, a comporre una melodia per la sua amata (non dirò chi è, tranquilli). Cos’è che lo rende imperfetto? Perché c’è stato il bisogno di sostituirlo? Avrei potuto inserire quest’opera nel mio secondo articolo, ma siamo oltre.

Gli architetti, coloro che ci hanno creato, ci hanno dato la possibilità di creare a nostra volta e noi, per egoismo, per cattiveria o per semplice arroganza, abbiamo precluso questa possibilità alle nostre creazioni. Walter in un dialogo meraviglioso con David, dice che quest’ultimo è stato sostituito per il suo essere“troppo umano”. Capite? Le divinità, pagane e non, sono sempre state in qualche modo gelose ed affascinate dall’uomo che era capace di affermare se stesso con delle opere che sarebbero durate per l’eternità. Ma cos’è che fornisce all’uomo questa coscienza, o meglio, cos’è che ci rende così speciali? La morte. Ci siamo posti al di sopra nei nostri stessi creatori, arrivando a riscrivere le nostre stesse regole, creando delle piccole divinità a nostro uso e consumo.

La sola idea di occupare una finestra temporale finita ed effimera ci spinge a creare, e questo ci consente di affermare noi stessi per l’eternità. L’uomo muore, ma le nostre creazioni saranno al pari delle divinità che ci hanno donato la vita: immortali.

Agli androidi è preclusa la morte, ma David, con una ricerca spasmodica e inquieta, la brama. Deve comprendere la morte. Si rende conto di essere superiore al suo creatore, ma a questi vuole avvicinarsi per ultimare la sua creazione. Di cosa si tratta? Lo scoprirete guardandolo.

Il film è stato stroncato da buona parte della critica e dal pubblico fan “duro e puro” del franchise di Alien; sinceramente non ne capisco il motivo. Dallo slasher del ’79 si passa ad un film che parla di creazione, utilizzando al massimo il genere che si trova ad affrontare. Come il primo era un capolavoro, considerando comunque la pericolosità del termine che sto utilizzando, vista la sua banalizzazione odierna, possiamo affermarlo senza dubbio alcuno: anche Covenant è un capolavoro. E portando il concetto all’estremo delle sue possibilità, riprendendo una formula semi-coniata da V-Klabe, è il Capolavoro della Meta-Arte: ovvero, dell’arte che riflette su se stessa. Perché? Guardate il film; mi sono dilungato anche troppo, ed il rischio di rivelare qualcosa è davvero enorme.

Visione

Primo fumetto della Marvel che incontriamo in questa rubrica. C’è Shakespeare, Dick è esplicitamente citato, c’è Asimov: insomma, è presente tutto ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora. Però, c’è una differenza: qui ci sono i supereroi.

Visione, tecnicamente è un sintezoide, ovvero un androide con dei tessuti organici ed in grado di svolgere qualsiasi funzione organica di un essere vivente. La dinamica di questo fumetto è molto particolare, in quanto andremo ad indagare la quotidianità di un androide ed il suo sentirsi continuamente “sbagliato” in una comunità di uomini, praticamente, perfetti. Tutte le paranoie del nostro protagonista si andranno a riflettere sulla sua famiglia, e ognuno declinerà diversamente la sensazione di essere un “outsider” rispetto alla società in cui vivono.

Per quanto Visione sia l’elemento principale della narrazione, il punto di vista primario ci viene fornito da sua moglie, Virginia, con le paturnie e le inquietudini che una donna insoddisfatta, con disturbi dissociativi, si troverebbe ad affrontare. Cosa potrebbe mai andare storto se degli esseri praticamente onnipotenti si alzassero col piede sbagliato?

Non ne parlerò ancora a lungo, perché rischierei di rovinarvi la lettura, ma posso solamente dire che lo slancio umano di Visione si ricollega a delle meccaniche e a delle pulsioni di cui abbiamo discusso nell’articolo a tema dipendenza, per cui, sta a voi tirare le somme.

Rispetto alle altre opere di cui abbiamo parlato oggi, è molto bello ricondurre il concetto di androide, oltre che ad una comunità di super uomini, ad una dimensione intima e familiare, con tutte le sue dinamiche, le sue luci, e le sue ombre.

Grazie per avermi seguito in questo delirio. Spero che vi siate divertiti con me. Se vi ho incuriositi, lascerò come sempre i link per recuperare queste opere on line, qualora siate impossibilitati a recarvi in libreria.

Un saluto, e buona scoperta! Sempre.

Gabriele

Link amazon:

Ma gli androidi sognano pecore eletriche? – P.K. Dick – 1968 – Fanucci

Alien: Covenant – R. Scott – 2017 – 20th Century Fox

Visione – King/Walta – 2016 – Marvel

 

 

 

 

 

 

 

Gabriele Bitossi

Gabriele Bitossi

Gabriele nasce nel '96 ed è da sempre appassionato di storie, in ogni loro forma. Studia italianistica all'Università di Pisa e sceneggiatura alla Scuola internazionale di comics a Firenze. Starebbe ore a parlare coi suoi personaggi preferiti... e se lo facesse già?

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