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Parmigianino – la breve vita di uno straordinario artista

Parmigianino

Parmigianino, come vi avevo anticipato la scorsa volta, è un pittore che mi piace particolarmente. Oggi ho deciso di dedicare a lui il mio articolo.

 

 

Le origini

 

Parmigianino, il cui vero nome era Francesco Mazzola, nacque a Parma nel gennaio del 1503. Esponente di spicco del manierismo, prese il nome dalla città di nascita. Alla morte del padre Filippo, furono gli zii pittori di Parmigianino a prendersi cura del nipote. Essi lo avviarono allo studio del disegno e della pittura.

 

Tuttavia gli zii, essendo dei pittori mediocri, poterono insegnargli solo le basi del mestiere. Il giovane, di conseguenza, si formò soprattutto sulle opere di Correggio e di Michelangelo Anselmi. Quest’ultimo fu un maestro toscano attivo a Parma e allievo di un altro celebre manierista, Domenico Beccafumi.

 

Parmigianino era noto per il suo carattere introverso e per la sua ossessione nei confronti dello studio delle forme. Questo lo portò a realizzare una notevole quantità di bellissimi disegni. La sua breve vita fu costellata da molteplici preoccupazioni e dal desiderio di esperienze singolari che lo portarono allo studio dell’alchimia.

 

I primi lavori 

 

Dopo aver preso parte alla realizzazione di alcuni affreschi, Parmigianino venne chiamato a Fontanellato. Egli aveva solo vent’anni e gli venne chiesto di decorare ad affresco il camerino di Paola Gonzaga. Questa era la moglie di Galeazzo Sanvitale, un signore del luogo. Gli affreschi rappresentavano alcuni episodi tratti dalla favola ovidiana di Diana e Atteone.

 

Il viaggio a Roma

 

Nell’estate del 1524, cessata un’epidemia di peste, Parmigianino si recò a Roma in compagnia dello zio Pier Ilario. Qui poté ammirare le opere di Michelangelo e di Raffaello. Ebbe anche modo di conoscere i discepoli di quest’ultimo ovvero Rosso Fiorentino, Giulio Romano e Perin del Vaga.

 

Da Rosso Fiorentino, in particolare, trasse svariate ispirazioni per la sua pittura futura che aveva come tratto caratteristico l’allungamento delle figure e la pittura a tocchi rapidi. Emblematica a tal proposito è la sua celebre “Madonna con il Bambino e angeli” anche nota come “Madonna dal collo lungo”.

 

 

Questa tavola fu commissionata da Elena Baiardi per la sua cappella nella Chiesa di Santa Maria del Servi a Parma e rimasta incompleta alla morte dell’artista. L’opera presenta una singolare interpretazione della Madonna che viene qui dipinta con sembianze da gentildonna mentre tiene sulle ginocchia il figlio dal corpo allungato. Vicino a lei c’è un gruppetto di angeli mentre, in basso a destra, è visibile la piccola figura di un santo situata ai piedi di una colonna senza capitello.

 

Durante la sua permanenza a Roma, Parmigianino donò alcune sue opere a papa Clemente VII senza tuttavia ricevere da lui alcuna commissione. Lavorò invece per altri personaggi appartenenti alla corte pontificia come Lorenzo Cybo, capitano delle guardie pontificie. Per lui realizzò un ritratto oggi conservato a Copenaghen e dal quale traspare la sua abilità nel cogliere la psicologia e il carattere del soggetto ritratto.

 

 

Parmigianino fu costretto a fuggire da Roma per il Sacco nel 1527. Inizialmente il pittore rimase in città in quanto, dopo essere rimasti impressionati dalla pala alla quale stava lavorando, alcuni soldati tedeschi gli offrirono la loro protezione in cambio di disegni e acquerelli.

 

L’arrivo a Bologna

 

Successivamente, sentendosi minacciato da altre truppe, fece ritorno in Emilia e si stabilì a Bologna. Questa città era la seconda più popolosa dello Stato Pontificio. Parmigianino, probabilmente, la scelse con l’intento di cercare fortuna in un altro grande centro e per emanciparsi del tutto dagli zii.

 

 

Qui realizzò “San Rocco e un donatore” per la basilica di San Petronio e altre opere dedicate alla figura della Madonna. Tra queste, “Madonna di Santa Margherita” e “Madonna della Rosa”. Tuttavia il periodo bolognese sul piano economico e sociale non portò a grandi soddisfazioni. Parmigianino non riuscì nemmeno stavolta a fare breccia nel papa.

 

 

Tra il 1530 e il 1531, Parmigianino prese contatti con i fabbricieri della Madonna della Steccata a Parma, la sua città natale. Il contratto venne firmato nel maggio del 1531 e prevedeva la decorazione ad affresco dell’abside nella cappella maggiore e del sottarco sul presbiterio. Il tema scelto fu quello delle ‘Vergini sagge e vergini stolte’ e gli venne data una scadenza di diciotto mesi per concludere i lavori.

 

L’allontanamento dai parenti

 

Parmigianino in questo periodo affrontò diversi traslochi per tenersi alla larga dai suoi parenti che invece, all’inizio della sua carriera erano sempre stati molto presenti. Non sono mai stati stabiliti con precisione i motivi che portarono a questo allontanamento. Egli arrivò addirittura ad allontanarsi dal progetto della Steccata con la quale aveva infatti già ottenuto ben due proroghe sul completamento dei lavori.

 

 

In quel periodo fu costretto a realizzare altre opere per dei committenti privati in modo da poter provvedere al proprio sostentamento. Fra queste vi sono la “Schiava Turca”, la “Minerva” (sopra) e lo straordinario ritratto che porta il nome di “Antea”.

 

 

Andando avanti i rapporti con la Steccata continuarono a peggiorare ulteriormente. Nel frattempo, Parmigianino realizzava capolavori come la “Madonna di San Zaccaria” e il “Cupido che fabbrica l’arco” per ingraziarsi amici e protettori.

 

 

Parmigianino e le controversie legali

 

L’artista si trovò ad affrontare delle controversie legali per non aver rispettato il contratto firmato con i fabbricieri. Il pittore ottenne una nuova proroga fino al 26 agosto 1539. Non essendo riuscito a rispettare nemmeno tale data, la Confraternita fece incarcerare Parmigianino per quasi due mesi. Una volta scarcerato il pittore si recò a Casalmaggiore. Nell’atto notarile venne precisato che, per nessun motivo al mondo, Parmigianino avrebbe mai più potuto mettere mano nella Chiesa della Madonna della Steccata. L’incarico venne affidato a Giulio Romano. Egli, però, pur avendo dato il suo iniziale assenso, fu costretto a declinare dopo aver ricevuto una lettera di minacce da parte di Parmigianino stesso.

 

Gli ultimi lavori

 

 

Per sopravvivere in seguito al suo trasferimento Parmigianino realizzò una Pala che oggi è conservata a Dresda. Sempre in questo periodo realizzò anche “Lucrezia romana”, conservata invece a Napoli.

 

 

Nell’agosto del 1540, a soli trentasette anni, Parmigianino morì dopo essersi ammalato di malaria. Egli lasciò ciò che possedeva ai suoi servitori minorenni e alla sorella Ginevra. Fu sepolto nella chiesa dei Serviti vicino a Casalmaggiore e, dal 1846, è ricordato con una lapide.

 

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