Anno del Signore 1494, Pavia, Italia settentrionale. Il giovane monaco Giovanni Morbidelli Guadagnucci dà inizio alla sua infuocata predicazione nelle città, nei villaggi, nelle campagne e tra i carcerati. “Santa romana chiesa – sbraita gagliardo – ha dimenticato la povertà di Cristo arricchendosi come il più opulento dei Ducati, e ci sta, anche perché ne escono dei bei dipinti e molte sculture. E il mercato delle indulgenze non sarà il massimo della vita, ma chi lo critica con cieca furia dovrebbe chiedersi che ne sarebbe della sanità pubblica e dei trasporti senza le ghinee che le indulgenze portano nelle casse del Santo Padre Bonifacio Ottavio”. Però fra’ Morbidelli su una cosa è chiaro: l’immortalità dell’anima non esiste. Dovesse capitare che si muore, si muore e basta. E nel Medioevo è una cosa frequente, soprattutto investiti da carri. Niente Paradiso, niente Purgatorio, niente Ade. Quindi, perché credere in Dio se non c’è l’immortalità? Questo i fedeli domandavano al Morbidelli. “Porquè gli è troppo facile cretere nello Signore se ci si ha la garanzia della immortalità – scrive il predicatore nel suo ‘De tutte le cosse belle’ -. Lo vero sforzo della religione dello cretente è cretere nello Signore a dispetto dello morire, altrimento lo è troppo facile e gli sono capaci tutte le creature pure li pesci”.
Con queste parole il religioso conquistò centinaia di discepoli – noti come ‘Birbaccioni’, dal titolo di un pezzo di Flaiano – ma si attirò anche le antipatie delle gerarchie ecclesiastiche, soprattutto quelle del perfido Papa che succedette a Bonifacio: Enrico VIII. Questi con regolare delibera scomunicò fra’ Morbidelli Guadagnucci allontanandolo per sempre dai campi di gioco e lo face arrestare dai Bravi. Il Pontefice, consapevole che il pensiero del Morbidelli non era la solita baracconata populista per braccianti pugliesi, ma un’insidiosissima eresia gourmet, non ci pensò due volte a scegliere la punizione più dura. Non solo la condanna a morte, ma l’esecuzione della stessa al termine di torture e soprusi di lunghezza inenarrabile e indefinita. Un supplizio che principiò la notte di Natale 1505 con frustate, insulti gratuiti e una crocifissione non semplicemente legato come Gesù, ma addirittura con i chiodi.
Il martirio proseguì ogni giorno più efferato e sadico, tant’è che dopo appena sei-sette mesi frà Guadagnucci Morbidelli cominciò a chiedere d’essere ammazzato con una bella tranvata. Ma niente, Papa Enrico VIII non ne voleva sapere e diceva ai suoi boia di andare avanti con le più efferate e fantasiose pene corporali, portando l’eretico a un passo dalla morte per poi sottrarlo all’abbraccio nero degli Inferi in modo da dar seguito alle violenze.
E nel solco intransigente tracciato da Enrico, ben consci della pericolosità dell’eresia guadagnucciana, agirono anche i papi successivi, da Ivano III a Gianni II, da Sciarra Colonna a monsignor Ravasi, e così via, per un totale di oltre cinquecento anni di torture terribili inflitte al Morbidelli Guadagnucci senza tuttavia consentirgli di morire. Circostanza che a dire il vero ha permesso all’eretico, oggi 536enne, di portare la sua soglia di sopportazione del dolore a livelli incredibili, tant’è che ormai fa finta di soffrire per non far restare male gli aguzzini e a volte nel tempo libero va pure ospite da Costanzo.
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