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Ansia e disturbi mentali: perché i nostri “limiti” vengono minimizzati?

Ansia e disturbi mentali: perché i nostri “limiti” vengono minimizzati?

Quando si parla di salute mentale, lo scetticismo e la paura regnano sovrani tra la popolazione. Eppure, secondo l’OMS, nell’ultimo decennio i disturbi mentali, quali depressione e ansia, sono in netto aumento.

Malgrado i dati suggeriscano un problema più comune di quel che si pensi, coloro che non hanno mai provato un attacco di panico, coloro che non sono mai caduti in depressione o che non hanno usato farmaci per calmare quella parte della propria personalità che ti fa ragionare come nessun altro; tendono a storcere il naso e a considerarti un pazzo da ricovero. Ti fanno sentire sbagliato, non normale, un personaggio ambiguo dall’idee estremamente confuse.

Nonostante si parli sempre più spesso delle mille problematiche comportamentali che possono affliggere la psiche umana – grazie ai social media e alle nuove generazioni meno tendenti al bigottismo – vi è una carenza consistente di empatia nei confronti di quelle persone che affrontano periodi di stress e malessere psicologico. È come se la società ci volesse sempre forti e sereni, degli automi a metà.

Di conseguenza chi è affetto da disturbi psico-cognitivi tende a non parlarne con il prossimo per paura del pregiudizio comune. Diventa un circolo vizioso dove, alla fine, l’argomento rimane un tabù non commentabile, giusto per dimostrare falsamente agli occhi del mondo intero di essere invincibili e sempre sorridenti. Degli automi a metà, appunto.

Io faccio parte di quella fetta di popolazione che vive nell’ansia perenne e che spesso nasconde le proprie fragilità agli altri. Ho sofferto di attacchi di panico e di depressione. Sì, tutto questo prima dei 26 anni, quando ancora la vita è “semplice” e le responsabilità di lavoro, mutuo, figli e problemi economici non ti affliggono direttamente. Quando la spensieratezza dovrebbe essere parte integrante di te.

Nel mio caso è come essere costantemente sulle montagne russe: passo dai momenti no, dove tutto ti sembra buio e l’apatia prende il sopravvento, ai momenti di panico incontrollato e apparentemente immotivato, per poi fluire in momenti sereni e privi di pensieri ostili ed inopportuni.

Non è facile vivere con il disturbo d’ansia. È limitante.

Ma vallo a spiegare a tutti quelli che hanno la fortuna di non vivere costantemente nella paura che qualcosa possa accaderti da un momento ad un altro, vallo a raccontare a quelli che sminuiscono le tue sensazioni riducendole a un “anche io sai soffro d’ansia prima di un esame/colloquio/evento X, ma sono bravissimo a gestire le mie emozioni, dovresti imparare anche tu”

Imparare? Insegnami, ti prego. Ti scongiuro. Mi inginocchio a te e trasferiscimi tutta la tua sapienza affinché possa risolvere il casino che ho in testa.

La scarsa capacità d’immedesimazione che molte persone dimostrano di avere, rende davvero difficile instaurare un dialogo costruttivo. Molti pensano che gli attacchi di panico, le paure improvvise ed impetuose, i pensieri simil-paranoici, siano la nostra scusa per non affrontare le sfide che la quotidianità ci presenta.

Non nego che a volte risulta più facile crogiolarsi nell’alone di disperazione che sopraggiunge inaspettatamente, piuttosto che affrontare le nostre invalicabili paure. Ma non ci fa piacere. Non lo controlliamo.

Io, di paure, ne ho tante. L’aereo, la macchina, i temporali, i rumori improvvisi, il fallimento. Cerco di superarle tutte ogni giorno, perché con questa tipologia di “fobie” non dovrei nemmeno azzardarmi ad uscire di casa. Eppure viaggio, guido la mia Clio verde brillante in autostrada durante i diluvi universali e continuo imperterrita a raccogliere i miei cocci frantumati dopo ogni tracollo universitario e relazionale. Ma il riuscire a fare tutte queste cose normali, per me non è così semplice. I pensieri affollano la mia mente ed il panico è sempre dietro l’angolo. Per farvi capire meglio descriviamo una scena ipotetica di ordinaria amministrazione: entro in macchina, l’accendo, inizio a guidare e dopo un po’ trovo dei lavori stradali, che bloccano la viabilità. In lontananza, un cartello che segnala la deviazione da prendere per raggiungere il posto del mio presunto appuntamento. Dentro di me parte la tachicardia.

“Oddio, dove vado? Non conosco la strada, mi perdo di sicuro, non arriverò mai. Ora quelli dietro di me, suoneranno il clacson perché andrò piano, perché non so dove andare. Accosto? Non accosto? Devo prendere il telefono per mettere le mappe. Ma non ho tempo. E quello dietro di me, mi guarda. Ecco, ora faccio un incidente. Devo chiamare tizio/a per dire che non vengo. Non dai Sarah, ce la fai. Non ti preoccupare. Respira.”

Spesso quando arrivo alla parola respira, mi sale il panico. Il cuore inizia a battere più forte e sento le mani formicolare e le orecchie ovattate. Non ho il controllo della situazione, non mi sento più la terra sotto i piedi. A volte queste sensazioni durano pochi secondi, a volte sfociano in episodi lunghi e sfiancanti.

Tutto questo per cose banali come un intoppo stradale.

Pensate quando mi si presentano situazioni palesemente più difficili. Quelle che spaventano anche le persone che non soffrono del disturbo d’ansia.

Io vorrei non essere così, cari cinici. Vorrei davvero essere “normale”.

Chi è alle prese con un disturbo mentale, allora, si trova in balia di due guerre: quella interiore dove si deve tenere a freno i propri pensieri angoscianti, e quella sociale dove si devono affrontare persone che minimizzano i tuoi stati d’animo e che ti etichettano come non conforme allo stereotipo di essere umano regolare ed ordinario.

Tutto questo fa male, perché oltre alla sofferenza inconscia ed incontrollata, si aggiunge il peso del giudizio altrui, raddoppiando il malessere.

Sono migliorata molto negli anni, lo ammetto. Grazie alla terapia psicologica e alla mia forza d’animo. Ma le ricadute sono sempre dietro l’angolo: bastano periodi stressanti o tristi per ritrasportarti nel vortice delle riflessioni distruttive.

Il mio intento di oggi, era quello di mettermi a nudo e mostrarvi, anche se in parte, la mia psiche un po’ contorta. Contribuire a sensibilizzare sull’argomento. Dimostrare che si può parlare di questi argomenti, senza imbarazzo e vergogna.

Uscire allo scoperto per sentirsi un po’ più leggeri e per far sapere a tanti di voi, che non siete soli.

Sarah Rijli

Sarah Rijli

Sarah, ha raggiunto la temuta soglia dei 27 anni ed è un miscuglio di nazionalità diverse. Vive – quasi beatamente – tra i colli fiorentini e senesi, con tre gatti ed un giardino che non usa mai. Traveller per necessità e laureata in Biologia nella vita quotidiana. Sempre pronta a documentarsi scientificamente sulle ultime tendenze, con tanto entusiasmo e una punta di cinismo. Perennemente alla ricerca della felicità e dei prodotti cosmetici perfetti.

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