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PECUNIA NON OLET… e invece sì !!!

VENEZIA MALTRATTATA.

Oggi sono polemica, scusatemi, brevemente polemica, ma pur sempre votata alla causa del “bello” come principio di benessere.

Perché non riusciamo a convivere con le nostre città e la loro storia?
Perché abbiamo timori reverenziali nell’intervenire quando non se ne può fare a meno e il non farlo significa incancrenire la storia, e invece siamo spavaldi quando dovremmo essere cauti?
La grande nave che tenta di affondare Venezia è un esempio perfetto del fatto che non sappiamo gestire le nostre risorse , i nostri cari gioielli  e neppure le nostre coscienze.
In un’epoca in cui i nostri segreti li spariamo con un megafono sui social, non può succedere di meno che le nostre città siano sovraesposte al turismo di massa, che in realtà ne deturpa la bellezza e l’unicità, non facendone godere nessuno. Chi ha avuto la fortuna di camminare la notte o la mattina molto presto  tra i vicoli di Firenze,  che avrà certamente scanzato qualche ubriaco ma avrà finalmente potuto finalmente vedere i suoi bei portoni in legno e la pavimentazione in pietra, capirà cosa voglio dire.

E così, una riflessione merita farla su Venezia, lo scrigno d’Italia, in cui l’immaginario vuole che si mischino storie, segreti, che le maschere di carnevale celino misteri, in cui le gondole spariscono dietro l’angolo di  palazzi traforati che si reggono miracolosamente sulle acque da centinaia di anni.
E in mezzo a questi, la calca dei turisti che si spintonano per prendere un vaporetto, l’odore tremendo di chi si accalca nei negozietti in cerca di un souvenir (carissimi per altro!), i ponticelli che una volta incorniciavano il passaggio di dolci fanciulle con l’ombrellino e che adesso resistono a 20 persone alla volta.
E infine, il boato di un grattacielo  (pure bruttino) viaggiante che si ferma alla banchina : sproporzionato nelle misure e nell’odore che si porta con sé. Troppo grande, troppo capiente, troppo moderno. Un po’ come mettere un’auto vera dentro all’Italia in miniatura.

Ma questo non è l’unica violenza che abbiamo fatto a Venezia, pensiamo al progetto del Mose, una delle opere incomplete più grandi e dispendiose del mondo.
Pensiamo al paradossalmente scivolosissimo ponte di Calatrava, l’unico costantemente monitorato in mezzo a oltre 400 ponti tutti più vecchi di lui.

Insomma, invece di proteggere le nostre cose più belle, insostituibili, quelle che solo ad annusarle evocherebbero emozioni, storie, misteri… le iper esponiamo violentemente e interveniamo su di esse come elefanti in un negozio di cristalli.

 

E comunque,  anche se non amaste l’odore dell’umidità che avvolge Venezia, è sempre migliore dell’odore del denaro che emanano queste violente cafonate.
Forse Vespasiano non aveva così ragione, Banksy sì.

 

 

 

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