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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Venerdì sera all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

Venerdì sera all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

Venerdì sera all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

Venerdì scorso sono andato a Torino, precisamente all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini”, per un concerto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale. Posto in prima fila – 15 € (ridotto Under 35) –, con formula paghi 1 e prendi 2 (a mo’ di LP, il concerto si sdoppiava in una sorta di lato A e lato B): A. Dvořák, Concerto in si minore per violoncello e orchestra op. 104 e D. Šostakovič, Sinfonia n. 5 in re minore op. 47. Nonostante sia stato eseguito per primo, Dvořák era sicuramente il lato B (e che lato B!), per cui, per non tediarvi troppo, vi narrerò solo di quello. Insomma, è stato un ottimo venerdì sera. E stavolta smentisco subito un’eventuale taccia di snobismo radical chic, perché – che ci crediate o no – noi nati post-Precambriano eravamo in maggioranza. Una proposta culturale di livello al costo di due aperitivi crea il cortocircuito di una partecipazione anagraficamente meno simile a una gara interuniversitaria tra Unitre. Incredibile, no? E resta anche margine per un terzo aperitivo.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e l’Auditorium

Permettetemi una breve contestualizzazione. L’OSN Rai nasce nel 1994 e raccoglie le eccellenze strumentali delle ultime generazioni. Anche qui colpisce l’ampia presenza giovanile. Avvalendosi della collaborazione con gli emittenti radiofonici e televisivi proprietari Rai (vedi soprattutto Rai Radio 3 Rai 5), porta avanti la sua mission di diffondere il principale repertorio sinfonico e avanguardistico presso il grande pubblico. L’Orchestra tiene a Torino regolari stagioni concertistiche e cicli speciali (qui il programma 2019-2020) e fa spesso tournée che la vedono partecipare ai maggiori festival di musica classica e operistica, sia in Italia che all’estero. I due concerti a cui ho avuto il piacere di assistere contavano un organico di 91 elementi.

L’Auditorium Rai sorge nell’ex Regio Ippodromo Vittorio Emanuele II, circo stabile di proprietà della Corona costruito nel 1856. Nel dopoguerra l’edificio è acquistato dalla Rai, che vi ospita l’Orchestra Sinfonica e il Coro di Torino. Nonostante la storicità importante, la struttura ha saputo restare al passo coi tempi, data l’ottima acustica e gli impianti di registrazione all’avanguardia.

Lato B: Dvořák

Perché dunque il concerto del compositore boemo è la naturale traduzione sonora di uno sguardo accecato dai tormenti della concupiscenza? Beh, perché – sarò patologico – l’effetto è lo stesso! L’attacco dell’orchestra è ipnotico e da capogiro, senti l’ebbrezza di aver varcato uno stato di cose noto nella sua banalità e mediocrità, per affondare nell’attesa, nel sospeso, nella potenzialità assoluta, nell’ignoto. E in più riconosci il tuo senso di smarrimento – che così diventa prolifico e fecondo – negli occhi del violoncellista, che intanto, come degna guida di questo nuovo mondo, è entrato anche lui in uno stato di trance. Sì, perché, senza Mario Brunello, il “frontman” di questo concerto, il viaggio si sarebbe concluso in un girovagare rapsodico e inconcludente.

Mario Brunello è veramente una rockstar, e se ne percepisce il background ad ampio spettro. Il violoncellista non spicca infatti solo nel classico, ma ha avuto contaminazioni con la scena jazz, folk e rap (suonando con Uri Caine, Paolo Fresu, Vinicio Capossela e Frankie hi-nrg) e perfino col teatro (ha infatti lavorato con Marco Paolini – di cui tra l’altro vi ho parlato qui e qui –, Stefano Benni e Moni Ovadia). Non è quindi il solito strumentista classico, asettico, tutto testa, tecnica e niente cuore, al contrario pendiamo dai suoi interventi, cadenzati da ampi respiri carichi di drammaticità e passionalità.

Si instaura subito un rapporto dialogico molto particolare tra violoncello e orchestra: dapprima è quest’ultima che fa la voce grossa, poi è il momento del violoncello, che esige di essere ascoltato senza interruzioni, poi ancora le interlocuzioni delle parti si fanno più serrate fino a fondersi. Sicuramente, si sfata il falso mito per cui il violoncello sia perfetto in orchestra ma come strumento solista sia difficile da affiancare a questa per via del suo timbro medio-basso.

L’atmosfera è quindi moderna e ricca di pathos. Nel movimento d’apertura, l’Allegro, partecipa l’intera orchestra, che ci mostra il tema nella sua natura grandiosa ed epica, senza però mai sfociare nel retorico e nell’altisonante. Il violoncello lo riprende con ampie variazioni fino al nuovo insinuarsi dell’orchestra nella linea melodica. Il secondo tema ha un maggiore lirismo, anche nell’intervento violoncellistico, che risulta meno convulso.

Nell’Adagio ma non troppo, la melodia si fa dolce ed espressiva, e sono gli strumenti a fiato a farla da padrone. Il violoncello stavolta trova nei clarinetti la naturale controparte. L’andamento rilassato è spezzato dall’orchestra, che inaugura un altro tema, che Dvořák mutuò da una sua romanza da camera. Il tema era molto caro alla cognata Josephine, primo amore del compositore boemo, per cui, visto che la morte di lei occorse proprio durante la composizione del concerto (1894-1895), Dvořák decise di cambiare il finale già scritto e richiamare il tema nell’ultimo movimento, come una sorta di estremo addio. La chiusa, dopo un pianissimo del solista, è improvvisa e tempestosa, e celebra il miracolo che forse alberga proprio nella tragicità del vivere.

Simone Gasparoni

Simone Gasparoni

Classe 1995, studio Filosofia all'Università di Pisa. Allievo ortodosso di Socrate, ho sempre pensato che le parole siano roba troppo seria per abusarne (lo so, lo so, detta così sembra una scusa degna del miglior cerchiobottismo, per dirla in gergo giornalistico). Romantico per vocazione, misantropo per induzione. Attualmente, in via di riconciliazione con il genere umano attraverso la musica, l'arte, la cultura. Per ora, sembrano buone vie. Oltre che all'Unipi, potete trovarmi in giro in qualche locale o teatro a strimpellare la tastiera. O, con più probabilità, a casa mia. P.S. Ecco, l'ho già fatta troppo lunga...

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