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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Pastori di Sardegna

Pastori di Sardegna

Pastori di Sardegna

“Il bancone giù in fondo è quello delle carni. Dietro c’è una squadra di macellai e macellaie che spartono le terga di bove, le affettano, le passano nel vassoio di cartone, le involgono nel cellofan e poi richiudono con un saldatore elettrico” così scriveva Luciano Bianciardi nella Vita agra descrivendo uno dei primi supermercati, nato a Milano alla fine degli anni Cinquanta. In quell’antico vassoio di cartone chiuso con il saldatore elettrico c’è in fondo il nostro progressivo distacco dal cibo come prodotto del territorio. La spoglia del bue (o meglio del bove) è ormai staccata ai nostri occhi dal processo produttivo che ha generato quel pezzo di carne, è lì, conservata nella sua tomba di cellofan, e da quel momento abbiamo sempre fatto più fatica a immaginare l’animale in un pascolo o in una stalla.

Invece, come si dice spesso, l’agricoltura e il territorio sono nel nostro piatto, sono il frutto della terra e di chi la lavora, noi mangiamo quello che la Grande Madre ci dà attraverso il lavoro dell’uomo. Questa è una verità che noi dimentichiamo ogni giorno, anzi puntiamo allo sconto, al prezzo più basso, perché le cose che mangiamo devono essere a prezzo stracciato. Mai penseremmo di fare lo stesso discorso per l’iPhone o un abito firmato, ma per i prodotti agricoli sì, sconti per tutti.

Ogni tanto invece andiamo a sbattere contro la dura realtà della terra e ci ricordiamo che esiste un mondo che noi tendiamo a dimenticare, a snobbare.

pastori di sardegna

La protesta

È il caso della protesta dei pastori sardi che, clamorosamente, hanno manifestato sia in Sardegna sia in vari luoghi del continente, fra cui Grosseto, capoluogo di una provincia dove i pastori sardi hanno recuperato luoghi abbandonati dando loro nuova vita, in una terra che ricorda la loro isola.

Hanno versato decine e decine di litri di latte di pecora per le strade e nei corsi d’acqua, per attirare l’attenzione su un mestiere silenzioso e appartato, quello del pastore: uno strappo profondo nella loro attività, buttare il latte per protestare contro chi paga loro 56 centesimi di euro al litro, mentre i costi di produzione sono 70 centesimi. Le cause di questa sconfitta sono moltissime e spesso complesse per noi profani (le filiere produttive, le cooperative che impongono i prezzi, gli allevamenti talvolta accresciuti a dismisura, la mancata diversificazione dei prodotti caseari), ma resta il fatto che quando noi andiamo a comprare il pecorino romano (il principale prodotto ricavato dal latte sardo) al supermercato lo vogliamo pagare 8 euro al chilo, quando occorrono (ma noi ignoranti non lo sappiamo) 7 litri di latte per farne questa quantità.

Il pastore è fra l’altro uno dei mestieri più duri che si conoscano: non c’è maltempo o beltempo, non ci sono giorni liberi; ci sono giornate, invece, che iniziano all’alba e finiscono al tramonto, da buio a buio, perché le pecore sono una catena vivente che lega alla terra.

Soprattutto il pastore garantisce l’equilibrio di zone collinari e montuose dell’entroterra che altrimenti sarebbero state abbandonate, garantisce la conservazione di un mondo naturale che altrimenti sarebbe stato totalmente abbandonato (la Toscana dell’entroterra ne è un esempio lampante).

Certo non siamo più alle cinque pecore per ettaro che consiglia lo scrittore Gavino Ledda (insieme alla rotazioni delle coltivazioni e del pascolo), ma alla pastorizia estensiva e alla sua dimensione quasi industriale, al pastore – mungitore e basta. Ma si sta nuovamente affermando in Sardegna un tipo di pastore che vuole guardare al prodotto tipico, all’attenzione verso il territorio, all’integrazione pastorizia – agricoltura (l’antico sistema, che andrebbe rivisto e corretto, che intorno alle comunità sarde prevedeva tre fasce, gli orti, gli spazi agricoli chiusi, i pascoli). Insomma non solo pecorino romano industriale, ma un prodotto che non sia pagato un prezzo da fame, ma che faccia capire a noi consumatori che nel vassoio di cellofan c’è anche un pezzetto di Sardegna.

Tiziano Arrigoni

Tiziano Arrigoni

Massetano - follonichese - piombinese - solvayno, insomma della Toscana costiera, con qualche incursione fiorentina, Tiziano Arrigoni è un personaggio dalle varie attività: scrittore di storia e di storie, pendolare di trenitalia, ideatore di musei, uomo di montagna sudtirolese ed esperto di Corsica, amante di politica - politica e non dei surrogati, maremmano d'origine e solvayno d'adozione, ecc. ecc... ma soprattutto uno che, come dice lui, fa uno dei mestieri più belli del mondo, l'insegnante (al Liceo Scientifico "E.Mattei" di Solvay) e, parlando e insegnando cose nuove, trova ispirazione e anche "incazzature", ma più la prima, dai suoi ragazzi di ieri e di oggi.

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