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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

L’AMERICA A CUI VOGLIAMO BENE

L’AMERICA A CUI VOGLIAMO BENE

L’AMERICA A CUI VOGLIAMO BENE

Lo so, lo so. Non mi illudo. Dopo le elezioni di Midterm il Senato è sempre in mano repubblicana. Lo so, lo so. La testona cotonata di Trump è sempre comodamente alla Casa Bianca per la gioia dei suoi ammiratori di tutto il mondo. La maggioranza riconquistata alla Camera da parte dei democratici è in fondo un sassolino, anche se consistente, nella scarpa che intacca la marcia, più o meno trionfale, del presidente. D’altra parte le elezioni di Midterm non sempre sono andate bene ai presidenti in carica (Obama o Bush), spesso sono la valvola di sfogo di malcontenti o anche di noia per l’esistente: governare a quel punto diventa più difficile, ma non impossibile.

Cosa è quindi che ha reso piuttosto diversa questa tornata elettorale americana?

Tutto è iniziato con Bernie Sanders, un attempato radical democratico con venature socialiste, che durante le ultime primarie democratiche riuscì a scombinare la tranquilla routine del Partito Democratico attardato dietro la candidata forte Hillary Clinton (che, badate bene, ha poi preso il maggior numero di voti, ma per il sistema elettorale americano, fatto di pesi e contrappesi, non ha vinto).

Sanders non mi aveva meravigliato più di tanto, sapevo che gli States potevano riservare sorprese. Ricordo una lezione che ho avuto quando ero studente universitario, pieno di preconcetti (talvolta giustificati) verso gli americani e la politica americana: andai a sentire una conferenza di George McGovern, in viaggio in Italia. McGovern, vecchio progressista che affondava le radici addirittura nell’archeologia politica del New Deal rooseveltiano, era stato lo sfidante di Richard Nixon, l’odioso e odiato Nixon, nelle elezioni presidenziali del 1972. Certo ebbe un risultato disastroso anche per colpa degli effetti della guerra del Vietnam sul Partito Democratico, ma era pur sempre stato candidato alla presidenza degli States. Pensavo ad un vecchio arnese in disarmo ed invece sentii da lui uno dei discorsi più a sinistra che avessi sentito in quei giorni, una sinistra libertaria in senso lato. Rimasi a bocca aperta e mi convinsi che l’America era anche altro, molto altro. Ho ripensato a quella serata con McGovern quando ho visto scendere in campo Bernie Sanders.

Sanders era fisicamente tutto il contrario dell’essere “giovane”, anzi fra Rignano e Pontassieve qualcuno, sia per la presenza fisica che per le idee troppo “rosse”, lo avrebbe “rottamato” e visto bene a giocare a carte in un circolo Arci. Ma ecco la sorpresa. Il vecchio Bernie è riuscito a galvanizzare le generazioni più giovani, più scolarizzate, più decise e le masse più diseredate, che non credevano più a certe parole d’ordine tutte casa e liberismo di certa sinistra moderata, così moderata da distinguersi appena dalla destra moderata, in una melassa centrista dove tutti i gatti sono grigi.

Alla fine il fiume carsico che era affiorato con Sanders e si era inabissato temporaneamente dopo la vittoria di Trump, è risalito in superficie grazie alla spinta di 31 milioni di elettori iscritti in più, persone che hanno ritrovato la voglia e l’orgoglio di contare.

Perché questa volta quello che colpisce non sono i numeri del successo, ma la qualità, i volti, guardate i volti soprattutto delle nuove elette. Donne più o meno giovani , alcune giovanissime, come la Ocasio, giovane portoricana newyorkese che ha sbaragliato gli avversari, o le due donne musulmane, una delle quali rifugiata somala, le due native americane e così via. Una sinistra che sta nelle cose, viva, multicolore, che non ha paura, che rifiuta le strategie puramente difensive verso quelli che sembrano gli imbattibili sovranisti, che non ha bisogno di “leopolde” perché le “leopolde” sono le strade delle grandi periferie e delle downtown, quelle dimensioni che rendono grande il respiro dell’America, pur con tutte le sue contraddizioni.

E non date retta ai vari rossobruni, agli amici di uno pseudofilosofo da salottino televisivo fatto solo di parole forbite come Fusaro, a quelli che “il problema è un altro…”, sentite un brano del discorso di ringraziamento di Alexandria Ocasio-Cortez: “Questo è stato possibile perché l’everyday people, la “gente comune”, non importa quanto piccola o grande, è potente quando si unisce. Abbiamo lanciato questa campagna non perché fossi speciale o unica o migliore di ogni altro, ma per dare un chiara voce alle questioni morali del nostro tempo: non c’è nulla di nobile se non nel dare voce ai bisogni della classe operaia e lavoratrice: nessuna casa senza persone e nessuna persona senza casa. non possiamo tollerare il fatto che ci siano più prigioni che scuole”. Ecco, un discorso così con “nomi e cognomi “sociali non lascia spazi ad equivoci.

Dall’everyday people sono ripartiti e sono riusciti a vincere questi candidati che fino a pochi mesi fa molti avrebbero definiti improbabili per una politica che ha perso la fantasia e talvolta il tocco dell’intelligenza. Trump è saldamente in sella e lo rimarrà, il cammino è lungo e non scontato, ma oggi, soprattutto con l’ingresso in parlamento di queste nuove deputate, non possiamo dire di avere di fronte un risultato qualunque. È nelle facce di queste donne l’America a cui vogliamo bene.

Tiziano Arrigoni

Tiziano Arrigoni

Massetano - follonichese - piombinese - solvayno, insomma della Toscana costiera, con qualche incursione fiorentina, Tiziano Arrigoni è un personaggio dalle varie attività: scrittore di storia e di storie, pendolare di trenitalia, ideatore di musei, uomo di montagna sudtirolese ed esperto di Corsica, amante di politica - politica e non dei surrogati, maremmano d'origine e solvayno d'adozione, ecc. ecc... ma soprattutto uno che, come dice lui, fa uno dei mestieri più belli del mondo, l'insegnante (al Liceo Scientifico "E.Mattei" di Solvay) e, parlando e insegnando cose nuove, trova ispirazione e anche "incazzature", ma più la prima, dai suoi ragazzi di ieri e di oggi.

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