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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Femminicidio. Parlarne per non doverne più parlare…

Femminicidio. Parlarne per non doverne più parlare…

 Femminicidio.

Parlarne per non doverne più parlare, spiegare per non dover più spiegare, raccontare per non dover più raccontare, denunciare per continuare a vivere

I diritti delle donne sono una responsabilità di tutto il genere umano; lottare contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne è un obbligo dell’umanità; il rafforzamento del potere di azione delle donne significa il progresso di tutta l’umanità. [Kofi Hannam]

Paliamone ogni giorno

Diciamo la verità, ci ritroviamo a parlare di femminicidio solo quando la cronaca decide di farcene parlare o la ricorrenza ci costringe a farlo, in modo da alleggerirci gli animi e farci sentire un po’ meno superficiali. Per questo, in un giorno qualunque dell’anno, nel quale statisticamente qualche donna muore o subisce violenze (per la precisione un giorno ogni due una donna viene uccisa dal compagno) questo articolo risulterà più scomodo. Ma non userò la cronaca come pretesto e specchietto per le allodole. Sappiamo già tutto, i media ci hanno raccontato, ricostruito, analizzato.

Non accontentiamoci

Non accontentiamoci di quello che ci viene detto, l’informazione è fondamentale, ma non è sufficiente per un cambiamento. È necessario informarci per parlare, confrontarci, dialogare. Lo so, non è un argomento adatto ad aperitivi e cene, molto meglio Sanremo, ma dobbiamo sforzarci anche di sentirci un po’ scomodi qualche volta. Parlare di femminicidio è difficile, non è mai esaustivo, e rischia il melodrammatico ma per questo,tranquilli, ci verranno in soccorso Serena Dandini e le sue Ferite a Morte che vi consiglio vivamente di linkare, ne vale la pena, credetemi!

Shakeriamo le date e mettiamo in ordine i pensieri

Del resto siamo abituati a parlare di Olocausto nel giorno della memoria, di AIDS quando ci dicono di indossare il fiocchetto rosso e dei nonni il giorno intitolato alla loro festa, per non parlare di Mamma Papà e San Valentino. Sì, abbiamo sempre bisogno che qualcuno ci ricordi di parlare di qualcosa, in un’era mediatica dove veniamo bombardati di notizie, attraverso le quali dobbiamo farci un’idea del mondo. Ma il femminicidio non è un argomento che può essere messo in fila, in attesa del momento socialmente o politicamente giusto. Quindi chi se ne frega. Parliamone oggi, in un giorno qualunque.

A questo punto, probabilmente, qualcuno avrà smesso di leggere, o forse non avrà neanche aperto il link, del resto è domenica, abbiamo tutti voglia di leggerezza. Per questo mi scuso, ma voglio essere fiduciosa, sperando nel fatto che apprezzerete che almeno non si parla di elezioni!

Impariamo a parlarne

Il femminicidio non è un argomento facile, ma dobbiamo educarci a parlarne per conoscerlo, combatterlo e imparare ed avere meno vergogna nel denunciare. Lo sappiamo, ancora le vittime hanno paura a denunciare e gli aggressori hanno difficoltà a riconoscersi come tali. Ma perché? Vista dall’esterno, senza coinvolgimento, sembra così facile! “Deve lasciarlo” semplifichiamo, aumentando spesso il sentimento di incomprensione che le vittime hanno. Non tutte le donne che subiscono violenza sono stupide, forse qualcuna, certo, è statisticamente probabile lo sia, ma non credo sia l’intelligenza la discriminante che fa sì che una donna denunci o no.

La verità è che in questo patologico legame tra vittima e carnefice  (che per circa il 56% dei casi sono legami sentimentali) si vanno a intrecciare vissuti e storie che su carta sembrano chiare ma, per chi le vive, non lo sono affatto. Probabilmente la difficoltà maggiore è proprio questo: sapersi riconoscere vittima o carnefice.

Due donne a confronto

Ad ognuno di noi sarà capitato di sfiorare storie di violenza, ma avere il coraggio di parlarne è un’altra cosa. Per questo, oggi, in un giorno qualunque, ho deciso di non scrivere di femminicidio ma semplicemente di parlarne, tra donne, con una donna Avvocato con la quale ho scelto di confrontarmi sentendomi libera di chiedere quello che non so, e forse la maggior parte di noi non conosce, di questo delicato e scomodo argomento. Perché rivolgersi a qualcuno, anche solo per farci spiegare quali siano le strade per venir fuori da una condizione di violenza subita è un passo difficile, come tutti i primi passi del resto. Io e Donatella Di Dio abbiamo deciso di parlarne insieme,  sperando che serva da stimolo per fare altrettanto e iniziare a combattere questo drammatico atto così, semplicemente confrontandosi e interrogandoci.

Capiamo di cosa stiamo parlando

La prima domanda che mi sono posta è come sia trattato nell’ordinamento giuridico italiano questo crimine? Che cosa è il femminicidio?

Non esiste nel nostro ordinamento la parola “Femminicidio” , ovvero non esiste tale parola in nessuna norma di legge. Nel nostro codice penale, così come nelle leggi penali speciali, esistono termini quali violenza, minaccia, percosse, lesioni, maltrattamenti che stanno ad indicare condotte che, qualora poste in essere, configurano comportamenti aventi rilevanza penale.

Mi colpisce onestamente che un termine così tanto usato non abbia una valenza legale. Perché allora così di frequente viene utilizzato il termine “femminicidio”? Perché abbiamo dovuto trovare una parola che altro non è che un omicidio?

Perché esiste un fenomeno assai diffuso per cui, tutti o taluni dei reati appena detti, vengono perpetrati nei confronti del genere femminile. E perché tutti questi stessi reati hanno, in genere da chi li pone in essere, uno stesso modus operandi: l’autore è un uomo la vittima una donna.

Solo una trovata giornalistica?

Quindi sono stati i giornali a inventare il termine per portare l’attenzione ad un fenomeno ben definito e diffuso

 La parola “femminicidio” non è una trovata giornalistica bensì venne coniato da una antropologa messicana, Marcela Lagarde, che negli anni Novanta, analizzando le violenze subite dalle donne messicane, coniò tale termine definendolo come “la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità tanto a livello sociale quanto dello Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.

Il bisogno di differenziare

C’è bisogno di differenziare e, forse, ne abbiamo avuto bisogno perché è proprio l’essere donna il motivo scatenate per il quale si subisce tale violenza. Un uomo che uccide commette un omicidio, ma sembra essere la motivazione del crimine a trasformare un omicidio in femminicidio. Mi chiedo se, però, questa differenziazione possa anche essere un’arma a doppio taglio, che permetta di descrivere un assassinio come qualcosa che di per sé porta una motivazione intrinseca che, culturalmente, è stata per anni giustificata. Come se si dicesse “omicidio, ma non proprio”. Per questo potrebbe essere anche considerata una “brutta” parola? Una parola che di base sposta su un altro piano il crimine commesso sulla scia di una cultura che per anni lo ha legittimato?

Sì sicuramente

E anche il cigno prima di diventare tale è brutto e di altra specie.
Il termine femminicidio pur partendo da questa origine, da un’analisi quasi scientifica di un fenomeno sociale, è oggi una parola che evoca un concetto assai denso di contenuti e che è capace di attirare attenzione.

 

È un termine che evoca una situazione patologica in cui gli atti di violenza o di discrimine sono perpetrati a danno del genere femminile.
Ma le parole, come è facile intuire, hanno una grande importanza nelle prese di coscienza dei fenomeni. Se oggi infatti non si parla più o non così di frequente di “delitto passionale” ma di femminicidio, ciò costituisce un grosso passo avanti, rispetto ad un recente passato in cui certi reati, quali addirittura l’omicidio di una donna, venivano ritenuti attenutati e dunque conducevano all’irrogazione di una pena più lieve, qualora tale delitto fosse stato commesso a fronte dell’onta subita dall’uomo per un tradimento o comunque un comportamento “disonorevole” tenuto dalla donna.

Stiamo veramente cambiando?

Mi chiedo se siamo veramente pronti a un cambiamento che in termini giuridici forse è avvenuto ma non sono sicura sia giunto a livello culturale. Il delitto passionale, giustificato dall’aver subito o semplicemente dubitato del tradimento, non è più per fortuna attenuato dalla legge, ma siamo pronti a mettere sullo stesso piano la violenza o lo sviluppo di questa in omicidio, subiti  da una donna per bene o una meno per bene?

Marinella e #metoo

Siamo sicuri che la Marinella di De André sia messa sullo stesso piano di una donna “per bene”? Pensiamo a tutto il movimento “me too” e alle polemiche sulla tipologia di donna che subisce violenza. Come se si dovesse differenziare il crimine in funzione della vittima. Ho l’impressione che il retaggio culturale dal quale proveniamo sia ancora lì.

E non solo.

La violenza sessuale, lo stupro comunemente detto, era un reato che veniva ad estinguersi, ovvero cadeva nel nulla, nel caso in cui l’autore avesse accettato di sposare la vittima. E tutto ciò in quanto, la violenza carnale, non era considerato un reato contro la persona (abusata) ma contro la morale.
È solo nel 1981 che vengono abrogati e dunque eliminati dal nostro ordinamento la discriminante della causa d’onore e l’estinzione del reato a seguito del c.d. “matrimonio riparatore”.

Sono passati 37 anni

37 anni possono sembrare molti ma per un cambiamento culturale forse non lo sono. Basti pensare che, in realtà, io sono nata in una società nella quale esisteva il “delitto d’onore” e non sono così vecchia! Mi chiedo, cara Donatella, quanto veramente ci siamo allontanati in termini giuridici da idee cuturai di questo tipo? Questo movimento è stato fatto verso una direzione di parità di diritti che dovremmo dare ormai dare per scontata e non dovremmo più avere il bisogno di puntualizzare ogni volta? Quali passi sono stati fatti?

I passi fatti

Ebbene se questi sono i (poco edificanti) punti di partenza i passi, o meglio, le accelerate in avanti nel nostro ordinamento sono indiscutibili: è dell’anno 2013 un’importante legge recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, la quale introduce importanti novità e che, appunto, viene comunemente definita come “Legge sul femminicidio”. In essa si prevedono sia delle particolari aggravanti che delle nuove misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica.

Il femminicidio diventa un’aggravante?

Quindi da essere quasi giustificato legalmente il femminicidio adesso diventa un’aggravante?

La relazione affettiva

In particolare per quanto concerne le aggravanti (ovvero le fattispecie in presenza delle quali il reato commesso viene punito più severamente) si prevede che costituisca aggravante l’esistenza di una relazione affettiva o, comunque, un semplice legame sentimentale tra aggressore e vittima. Tale aggravante, nella pratica, è applicabile a tutti i casi di maltrattamenti in famiglia e a tutti i reati di violenza fisica che siano commessi in danno o in presenza di minori o in danno di donne in gravidanza. O ancora: nel caso di violenza sessuale contro una donna che si trovi in stato di gravidanza o che sia stata commessa dal coniuge anche se separato o divorziato o da chi sia stato legato alla donna da una relazione affettiva.

Cosa succede dopo aver denunciato?

Ma che tutele almeno legali, visto che sociali ancora forse non ci sono del tutto, esistono per una donna che ha il coraggio di denunciare? Mi chiedo cosa spinga una donna a denunciare o a scegliere di non farlo. Spesso si crede che il non denunciare o il non denunciare immediatamente una violenza sia una forma passiva di accettazione, senza pensare alla difficoltà emotiva e psicologica nell’accettare di essere vittima di un uomo che, la maggior parte delle volte, è un componente familiare stretto come il marito o il compagno. La domanda che probabilmente una vittima si fa è semplicemente cosa succede dopo? Cosa accade praticamente quando una donna denuncia? Riuscire ad avere uno scenario può facilitare la scelta.

Misure di tutela

Per quanto riguarda le misure a tutela delle vittime è sempre con la legge del 2013 che si è previsto l’obbligo di arresto nei confronti di colui che venga sorpreso in fragranza di reati nell’ipotesi di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori (il c.d. stalker). Sempre nell’ipotesi di flagranza di reati quali minaccia e violenza aggravata o lesioni gravi, la polizia giudiziaria, dietro autorizzazione del Pubblico Ministero, può applicare la misura pre–cautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare o dai luoghi frequentati dalla vittima e a tale scopo potranno essere utilizzati i braccialetti elettronici.

La querela

Scendiamo più nello specifico, cosa vuole dire querelare, in pratica in che cosa consiste e che cosa comporta?

Condizione necessaria per la perseguibilità

La querela viene definita dal punto di vista processuale, come una condizione di procedibilità e ciò significa che essa consiste in una dichiarazione attraverso la quale la persona offesa dal reato chiede espressamente che si proceda in ordine ad un fatto che la legge prevede come reato, ma che non è perseguibile in mancanza di querela ovvero non è procedibile d’ufficio. In pratica essa consiste nell’esposizione di fatti di rilevanza penale che la parte offesa, la vittima, può fare sia in via orale recandosi presso Carabinieri Polizia o un Pubblico Ministero oppure in forma scritta, meglio se con l’ausilio di un legale.

I confini

Spesso, anche a causa delle contaminazioni culturali passate, un donna si chiede quale sia il confine. Quando una situazione di violenza è tale da giustificare la querela? Spesso, le donne hanno semplicemente paura di non essere capite o semplicemente non conoscono i limiti tra lite e violenza. Al dì la dei limiti mirali, quali sono i confini legali per i quali una querela può essere presa in considerazione? Onestamente, questa domanda credo possa essere utile sia per le donne ma anche per gli uomini che, spesso, non avendo la cognizione degli atti commessi, non ne capiscono neanche la gravità. Cerchiamo di capire insieme.

L’importanza dell’assistenza legale

Nella querela vengono narrati fatti e circostanze che la vittima ha subito come ad esempio violenze, percosse, atti persecutori, minacce. A tale proposito, è bene tenere presente che anche un solo schiaffo può configurare una percossa o addirittura una violenza se dallo schiaffo deriva un’ecchimosi. Così come è bene tenere presente che più querele presentate per percosse, violenza o minacce possono poi essere riunite per configurare il ben più grave reato di maltrattamenti.

Il reato di calunnia

Occorre tuttavia tenere presente che nel nostro ordinamento esiste anche il reato di calunnia che si configura quando attraverso una querela si incolpa una persona di un reato oppure si simulano le tracce di un reato a carico di una persona, pur sapendola innocente. Per non correre questo rischio, la querela deve essere fatta correttamente e soprattutto essere fondata, dato che presentare querela senza un motivo reale e dimostrabile è un comportamento che costituisce esso stesso reato e per di più perseguibile d’ufficio.
Questo è uno dei motivi per cui è fortemente consigliabile chiedere assistenza ad un ente apposito o ad un legale per ricevere aiuto e adeguate informazioni.

Quanto costa denunciare

Affrontare un processo, denunciare un compagno, sono atti che prevedono un iter legale e quindi dei costi. Questo può essere un aspetto che scoraggia la donna alla denuncia, non intervenendo preventivamente e quindi esponendosi a un rischio elevatissimo.

Patrocinio gratuito

La normativa prevede altresì che a prescindere dal loro reddito le vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili potranno essere ammesse al c.d. gratuito patrocinio e pertanto non saranno tenute al pagamento del legale che verrà in loro vece pagato dallo Stato.

I Figli

Senza pensare che all’interno di queste dinamiche familiare spesso ci sono figli. Che tipo di attenzione e tutela legale c’è nei loro confronti? Ancora una volta, la  donna si può chiedere cosa succederà dopo e può essere bloccata da questo non sapere. È bene chiederselo perché non denunciare ed esporsi al rischio di vita, quando ci sono figli di mezzo, prevede esporre i figli stessi a tale scelta. Si parla di femminicidio, seguito o da arresto o spesso suicidio dell’aggressore, fino a casi di suicidi allargati che coninvolgono in certi casi anche i figli stessi.

Tutela economica dei figli

Recentissimamente, ovvero nello scorso mese di dicembre 2017, una nuova legge ha introdotto nuove norme a tutela degli orfani di genitori uccisi dall’altro coniuge ed ha sancito l’indegnità a succedere per chi si renda autore dell’omicidio della moglie. In pratica il coniuge omicida verrà automaticamente escluso dall’eredità dei beni dell’altro coniuge.

Tanti passi fatti

Da avvocato e da donna cosa pensi dello stato dell’arte in termini legali sul femminicidio? Non possiamo negare che negli ultimi decenni ci siano stati importanti passi in avanti, che onestamente sembrano così ovvi da rabbrividire al solo pensiero che, solo quarantanni fa, la società e la legge la pensassero in senso quasi opposto.

Fino ad ora

Da quanto detto fin ora non si può fare altro che constatare come molti passi in avanti siano stati fatti e come il cambiamento nei termini utilizzati e di uso comune sveli un mutamento del comune sentire, tale che l’uccisione di una donna da parte del compagno o del marito non è più considerato un “fatto d’onore” ma è brutalmente, tragicamente e scelleratamente l’uccisione, l’omicidio di un essere umano. È l’atto più scellerato e ingiustificato che si possa compiere. Niente di più, ma soprattutto niente di meno.
Prendiamo dunque atto che la tendenza è invertita ma la strada è ancora lunga da percorrere, soprattutto stiamo camminando su di una tortuosa strada di campagna mentre invece occorrerebbe un’autostrada.

Quanto dobbiamo ancora fare

Dici che occorrerebbe un’autostrada ed hai ragione e credo anche che sia solo iniziando a conoscere, informarci al di là dei fatti di cronaca che ci perturbano ma viviamo anche come lontani, che possiamo veramente riflettere su quanto manca ancora. Parliamo allora anche di questo, di quanto ancora ci sia da migliorare, senza però cadere nel tranello di giustificare il non denunciare perché il sistema non funziona.

Non Basta!

Debbono sicuramenete essere incrementate e soprattutto concretamente attuate le misure di prevenzione, cioè quelle applicabili qualora vi sia un soggetto che pur non ancora condannato sia comunque da ritenere pericoloso (uomo che anche solo minaccia è pericoloso).

Non basta prevedere un braccialetto elettronico se poi di fatto i braccialetti elettronici non ci sono.
Non basta prevedere la possibilità di sospendere la patente se poi di fatto il Prefetto non irroga la misura.

Ma non dobbiamo disperare

Ma non dobbiamo disperare perché la strada intrapresa è a senso unico. Da dove siamo giunte non si torna indietro. Si può e si deve solo andare avanti, verso la fine del tunnel e con un cambiamento di prospettiva. Le donne  non devono essere  solo difese. Devono attaccare. Attaccare le istituzioni perché si impedisca la violenza, perché il coltello non giunga mai nelle mani del possibile assassino.

Mi piace pensare

Mi piace pensare che questo articolo sia una piccola goccia nell’oceano, ma che l’oceano senza gocce non sarebbe l’oceano. E ancora, mi piace pensare che così come oggi io e Donatella, due donne, due amiche, due persone che hanno sentito l’esigenza di confrontarsi, altre persone possano aver voglia di confrontarsi. Mi piace pensare che questo cambiamento e perfezionamento anche legislativo, possano avvenire solo se, parallelamente, avvenga un cambiamento sociale e culturale.

Cambiamento di uomini e donne

Un cambiamento che parta, certo, dalla denuncia, ma che coinvolga ognuno di noi in prima persona come donne ma soprattutto uomini. Mi piace pensare che il movimento più importante riguardi proprio loro, gli uomini, ma non solamente quelli che uccidono, violentano, perseguitano, ma soprattutto quelli che credono in un cambiamento che abbia bisogno di loro. Non sono sicura che questo articolo verrà letto, è molto più riassicurante aprire un link che ci racconta che la prossima estate sicuramente “andrà il pois”. Ma non importa, ognuno fa la sua piccola parte  e Donatella ed io oggi abbiamo fatto la nostra, una goccia in un oceano fatto di gocce.

Vi salutiamo con chi è riuscito a trasformare questo spregevole aspetto dell’essere umano in poesia, costringendoci ancora a riflettere.

Ringrazio

Grazie a Donatella Di Dio, Avvocato e amica con la quale condivido la passione per un mondo migliore.

Avv. Donatella Di Dio

Nata nella città dei fossi (niente a che vedere con la laguna). Cresciuta in un’amena cittadina (ombreggiata da alte ciminiere). Acquisiti gli strumenti per l’esercizio della professione contemplando la più difettosa tra le meraviglie del mondo. Maturata in uno Studio ove le bianche mura contornano uno squarcio di mare che fa bene agli occhi e ossigena la mente quando richieste di aiuto, problematiche irrisolte, nuove farraginose o anche incondivisibili nuove normative quasi rendono asfittica la professione.

La professione:

Iniziata con l’avventatezza di poter ricoprire un ruolo (beata ingenuità), scoperta come una condivisione delle difficoltà del prossimo, amata per la carica emotiva, il coinvolgimento estremo, la carica di emozione che solo l’intento di dare un aiuto a chi lo richiede può donare.

Passioni:

La mia famiglia, le mie tre figlie. Il condividere i loro passi nell’affacciarsi alla vita, il rivedere nei loro occhi le scoperte, le paure, le ingenuità ormai passate, ma mai dimenticate; apprezzando la purezza di gesti, pensieri, dubbi che se assaporati, se custoditi all’interno del proprio animo, danno il senso della vita: un viaggio verso l’ignoto.

Serena Ricciardulli

Serena Ricciardulli

Psicoterapeuta e scrittrice. Vive nella sua amatissima Castiglioncello. Nel 2017 esce il suo romanzo di esordio "Fuori Piove" (Bonfirraro Editore). Di lei hanno scritto La Repubblica, Il Tirreno, La Nazione, Nuova Antologia, definendo il suo romanzo un successo editoriale. Adesso inizia la sua esperienza come blogger di WiP Radio.

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