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Saremo a Sanremo: riflessioni di gruppo

Saremo a Sanremo: riflessioni di gruppo

Da un paio d’anni a questa parte Facebook ha preso l’abitudine di rinfacciare quotidianamente il passato ai suoi utenti. Questo significa che se tre anni fa ti hanno immortalato ubriaco, abbracciato al wc, con in testa le mutande del tuo coinquilino e hai avuto tre anni per dimenticare quel momento, di colpo arriva Facebook e il ricordo torna a galla: “Questo sei tu tre anni fa. Vuoi condividere il ricordo con gli amici? Ne sei certo? Lascia passare qualche ora, hai visto mai che ci ripensi.”
Stamattina, mentre prendevo il caffè, ho dato un’occhiata alla home page trovandomi di fronte a un lungo elenco di post pubblicati negli anni passati, che parlano di Sanremo. Nulla di strano, si tratta di un appuntamento che si rinnova annualmente come l’assicurazione dell’auto.
Sei seduto sul divano e hai con te una bottiglia di birra. I piedi sono sul tavolino, con un cuscino in posizione strategica perché sennò ti duole quel calletto sul calcagno. Per un secondo pensi alla puntata di American Horror Story che hai registrato lunedì e caspita se hai voglia di vederla, ma si tratta di un secondo breve, perché hai tarato la mente sulla ricezione di stimoli diversi. Il costumista che veste Lady Gaga si godrà inconsapevole il beneficio della tua adorazione la prossima volta.Potremmo chiamarlo #essece, sull’onda dell’assonanza con l’abusato #escile. Essece non si limita a rappresentare un hashtag, ma una scelta. La svolta che segnerà la tua serata.
Dunque Saremo a Sanremo. Si tratta di uno sport nazionale di cui io per prima mi ergo a rappresentante. Per #essece a Sanremo è sufficiente un pigiama, un divano, una connessione, una dichiarazione di pace col simpatometro e ultima ma non per importanza, la consapevolezza che tra un anno Facebook ti presenterà il conto di tutto ciò che pubblicherai.
Ieri sera si è aperta la sessantaseiesima edizione del Festival e per quanto le anticipazioni di testate e siti web ci abbiano preparati, non eravamo pronti e paradossalmente lo eravamo più che mai. Saremo a SanremoNon eravamo pronti all’impatto visivo con il fondotinta di Gabriel Garko, né all’idea che i primi dieci minuti di DopoFestival avrebbero avuto come tema di discussione il vestito di Deborah Iurato. Credevamo di essere preparati alla performance di Elton John e di non esserlo allo sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo e invece ci siamo ritrovati a muovere le labbra in un controcanto unico sulle note di Pdor figlio di Kmer come tanti pesci in un acquario, mentre una vocetta interiore sussurrava in loop “Ma che, davero?”
Ma ciò a cui eravamo veramente preparati senza esserlo, è stata la coesione. Il grido di Saremo a Sanremo ha attraversato le bacheche dei social e in un attimo le nostre case si sono trasformate in un virtuale Bar Sport con divani e poltrone al posto di sedie e tavolini. Stupendo. Personalmente mi sono divertita tantissimo e lo so, mi diverto con poco. Ogni categoria di spettatore ha avuto il suo rappresentante pronto a digitare commenti su ogni dettaglio della serata (dal sopracitato fondotinta di Gabriel al primo abito indossato da Madalina Ghenea, dal giallo sull’assenza di Beppe Vessicchio che ha generato proteste da parte del pubblico, espresse per mezzo dell’appello #uscitevessicchio, alla bravura di Virginia Raffaele, dalla costumista di Arisa che è rimasta bloccata nel traffico all’altezza di Alassio, ai due comici in prima fila che qualcuno ha avuto la malaugurata idea di far esibire subito dopo Elton John) ma che avevano in comune la curiosa particolarità di non parlare di musica, proprio come questo post. Saremo a SanremoTuttavia mi sono ritrovata a constatare che la storia si ripete, perché ammettiamolo – piaccia o meno – Sanremo di quella storia fa parte insieme a detrattori e sostenitori, a quelli che Sanremo non lo guardano ma ci tengono a precisarlo su Facebook, a quelli che sanno di musica e si esprimono con un gergo estremamente tecnico che il novanta per cento della gente non capirà, a quelli che non sopravvivono all’impatto con ciò che cantanti e vallette indossano sul palco e per i quali lo shock anestetizza ogni sensazione, positiva o negativa, che il pezzo cantato potrebbe suscitare, a quelli che ammettono di non aver mai sbadigliato tanto in vita loro e comunque si tormentano le braccia di pizzichi per arrivare alla fine, a quelli che invocano Elton a gran voce perché qualcuno aveva detto loro che ci sarebbe stata musica, a quelli che “il signore che faceva l’atleta mi è piaciuto più di tutto” e a quelli che solo a sentir pronunciare il nome di Rocco Tanica, tenuto all’ultimo perché all’ultimo viene il meglio, hanno abbandonato l’assetto da bradipo ubriaco e si sono messi sull’attenti.
Seguo Sanremo da un po’ di anni e ammetto di aver fatto parte di quasi tutte le categorie, quindi qualcosa che cambia a livello individuale c’è. Mi soffermo su ciò che resta invariato. Il Festival di Sanremo arriva una volta l’anno come il Natale e ha il potere di coinvolgere chiunque, anche chi non desidera essere coinvolto, perché si tratta di storia recente, un’idea di ‘popolare’ su cui finiremo sempre per confrontarci.
Comunque vada il confronto, comunque vada la gara, io sono di parte. Per me Sanremo inizia stasera e in funzione di ciò ho lavato e stirato la mia maglietta preferita, quella rossa con la faccia di Mangoni che chi segue Elio conoscerà. Sono una sentimentale e se una parte di me urla di gioia al pensiero di vedere gli Elio e le Storie Tese esibirsi su quel palco a vent’anni esatti dalla loro iniziazione sanremese, l’altra continua a non accettare che Mangoni vesta nuovamente il ruolo di grande escluso. Tutto accade per un motivo e in questo caso il motivo è che le cose non cambiano, perché Sanremo è Sanremo e so che, tra tutte le categorie di utenti, stasera ne troverò una in particolare con cui confrontarmi. Tra l’altro sarà la stessa di cui farò parte e in parole povere, passeremo la serata a darci ragione l’un l’altro.
Una sola cosa mi lascia perplessa: credevo che la categoria dei “pagano Elton John per fare lo spot sui figli dei gay” fosse un’invenzione dei venusiani in combutta col governo, al fine di stabilire i tempi di reazione di Giorgia Meloni a dieci giorni dal Family Day, invece ho scoperto che esiste davvero.
Non importa, Sanremo è Sanremo e anche stasera Saremo a Sanremo.

 

Francesca Gaudenzi

Francesca Gaudenzi

Ho sempre preferito la parola scritta a qualsiasi altra forma di comunicazione. Se le altre bimbe deliziavano gli zii con canzoncine e racconti dettagliati di vita quotidiana, io piantavo il muso e cercavo le parole. Studiavo le reazioni della gente, ne osservavo i gesti, le espressioni del volto, associavo il tutto a un contesto e cercavo di dargli una forma, così, cercando cercando, le parole sono arrivate. Da sei anni curo una rubrica sulla rivista Strumenti Musicali in cui mi occupo di donne e musica, ho un blog personale e da quest’anno inizio la mia avventura con i ragazzi di WiP Radio.

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