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Mommy – Il Cinema dei Margini

cinema margini

Il Cinema dei Margini

Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine, è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.
Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.
Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.

Mommy

Ci troviamo nel futuro prossimo di un Canada appena distopico.
Qui è approvata, per genitori con figli particolarmente disturbati, la legge che prevede l’affidamento di questi ultimi ad appositi ospedali psichiatrici.

Mommy è la storia di un amore estremo tra una madre (Anne Dorval) e un figlio (Antoine-Olivier Pilon). Estremo in quanto non in grado di trovare una misura da applicarvi, se non grida isteriche e atteggiamenti dissimulatori. In questo estremo gioco di sfuriate e tregue, disperazione e allegria, si insinua a passo felpato la presenza di Kyle (Suzanne Clément), la vicina di casa balbuziente e remissiva che pare assumere un ruolo sempre più notevole nelle vite di Diane e Steve.


CAST: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément, Alexandre Goyette, Patrick Huard

REGIA: Xavier Dolan

DURATA: 139 minuti

PRODUZIONE: Xavier Dolan

SCENEGGIATURA: Xavier Dolan

FOTOGRAFIA: André Turpin

MONTAGGIO: Xavier Dolan

COSTUMI: Xavier Dolan

MUSICHE: Noia

È il canadese enfant prodige Xavier Dolan (classe 1989), da qualcuno definito “il regista più libero che c’è”, l’autore di Mommy, l’ardimentoso film che merita di essere visto e soprattutto guardato con un’attenzione tutta specifica.
Presentato in concorso a Cannes 2014, Mommy oltre a confermare l’indiscusso talento del giovane regista (cinque film realizzati all’età di 25 anni di cui il primo adattato su una sceneggiatura scritta a 17 anni) ne sancisce la sua maturità stilistica.
È infatti l’approccio stilistico di Dolan assai marcatamente pop e dotato di un’intensa sovreccitazione narrativa a conferire a questo prodotto un’anomala potenza.
Un’energia incontenibile, ma mai stucchevole.
Immagini tracimanti vita, le sue.
Immagini che, talvolta, sembrano quasi volersi mangiare il mondo.

È la ricerca e la descrizione dell’abnorme la poetica di Dolan.
E a sconvolgerci non è tanto ciò che racconta, ma il modo in cui lo fa.
Ne è un esempio l’inconsueta scelta adottata in Mommy di restringere lo schermo a un quadrato, assumendo il formato 1:1.
Due barre nere ai lati dello schermo che producono un duplice e immediato effetto sullo spettatore: imprigionare la visione come ad enfatizzarne l’artificiosità; e letteralmente focalizzare gli attori come a volere quasi che li respirassimo.

Così assistiamo all’intreccio estremo di tre vite, Diane, Steve e Kyle, che si fondono e si separano sullo stesso quadrato in cerca di libertà.

A raccontarcele, tra smorfie e corse in skate, è lo sguardo di Dolan.
Un regista seduttivo e geniale che ama ibridare i suoi lavori con la grammatica dei videoclip riuscendo come pochi altri a far partecipare lo spettatore al suo film.
Tutti siamo Steve che va in skate.
Tutti siamo Diane che piange disperata.
Tutti siamo Kyle che balbetta.

Tutti vorremmo essere quelle immagini che talvolta sembrano volersi mangiare il mondo.

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