Il Cinema dei Margini
Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine, è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.
Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.
Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’ apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.
This Must Be The Place
Cheyenne (Sean Penn), rockstar cinquantenne dotata di infantile stupore, vive un agiato ritiro dalle scene alle porte di Dublino, assistito dal materno affetto della moglie (Frances McDormand) e dalla bizzarra e adolescente amica del cuore (Kerry Condon).
La pigrizia della sua apatica monotonia sarà interrotta dalla notizia della morte del padre. Un padre distante che vive in America dal quale trent’anni prima Cheyenne si è allontanato.
REGIA: Paolo Sorrentino
CAST: Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Judd Hirsch, Kerry Condon
DISTRIBUZIONE: Medusa film
DURATA: 118 min
PRODUZIONE: Medusa film, Indigo film, Lucky Red, ARP Sélection, Element Pictures
SCENEGGIATURA: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi
SCENOGRAFIA: Stefania Cella
MONTAGGIO: Cristiano Travaglioli
COSTUMI: Karen Patch
MUSICHE: David Byrne, Will Oldham
“Del cinema postmoderno Sorrentino sorvola sul citazionismo ma sposa l’inessenzialità. Il cinema non deve più aiutare lo spettatore a capire il reale ma piuttosto deve sorprendere chi guarda, disorientarlo, depistarlo, impressionare sulla pellicola quello che sembra superfluo e, appunto, inessenziale. Lasciando allo spettatore – se vuole – il compito che una volta Hawks e Ford si arrogavano: trovare un senso tra tutte le cose che ingombrano la nostra percezione e selezionare quello che aiuta a far progredire la storia”.
È probabilmente l’ingrediente dell’inessenzialità che il critico cinematografico Mereghetti ha sapientemente descritto a fare del regista Paolo Sorrentino una delle migliori espressioni del cinema italiano e This must be the place, primo suo debutto al livello internazionale, ne è certo un riuscito esempio.
L’intero film si regge sulla stramba figura di Cheyenne, rockstar cinquantenne orfana del proprio glorioso passato, disperso in una lentezza esistenziale in cui sopravvive appiccicandosi ostinatamente al volto la maschera di ciò che è stato.
In ogni istante della sua vita spenta Cheyenne sfoggia il Cheyenne dai capelli cotonati, dal cerone bianco e dalle labbra rosse.
È un antieroe comico e solitario Cheyenne.
Una caricatura animata che parla in falsetto e cammina solo aggrappato ad un carrello o ad un trolley con il passo esile e felpato di chi a fatica sa mantenersi ritto.
Sarà l’arrivo della notizia della morte del padre a pungere il letargo esistenziale di Cheyenne e a muoverlo dall’Irlanda fino a New York.
Qui, al capezzale del padre scomparso, la rockstar dismessa scoprirà l’ossessione che per anni il suo vecchio ha nutrito: trovare il soldato tedesco che lo umiliò durante la prigionia in un campo di concentramento.
Cheyenne deciderà inaspettatamente di gettarsi in un’ondivaga caccia al criminale nazista, dando così inizio ad un cammino di ricerca e passando per la più paradossale insensatezza, di riconciliazione.
“Un romanzo di formazione di un cinquantenne”, ha definito il film Sorrentino.
Un assurdo vagare per le strade di un’inedita America che porterà il protagonista a imbattersi in una serie di incontri inconcludenti di varia natura il cui acmè sarà toccato nell’ultimo faccia faccia di Cheyenne con l’aguzzino nazista.
Tutto (e tutti) sembra casuale, gratuito, pleonastico.
Tutto (e tutti) sembra il flash di un mondo che non può più essere spiegato.
Una massa informe e farraginosa appare l’esistenza. Eppure anche lì in mezzo c’è una possibilità di scelta.
Cheyenne è un uomo travagliato che tenta, infine, di riconciliarsi alla vita.
Vi riesce trovando un modo di vivere al di là di ogni trucco ostinato e paradossale, attribuendosi un piccolo e personale senso che è in fondo l’unico rimedio per riuscire a guardarsi allo specchio ogni mattina e vedersi davvero.
In apertura la maschera.
In chiusura l’uomo.