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Perché a Sanremo ha vinto la mediocritá

Perché a Sanremo ha vinto la mediocritá

Ad una settimana di distanza dalla conclusione della sessantottesima edizione del Festival della Canzone Italiana, la piú seguita, pare, degli ultimi anni, anche delle edizioni di successo di Carlo Conti, é interessante cercare di capire perché non abbia vinto la musica ma, bensí, la mediocritá.

La virtú é nella mediocritá, per citare Torquato Tasso, nella condizione media, quella che mette tutti d’accordo, l’aurea mediocritas di Oraziana memoria: la musica che non implica alcuno sforzo intellettivo ma che scivola addosso quando siamo in macchina nel traffico cittadino, mentre facciamo zapping da una stazione radiofonica all’altra o ci affidiamo pigramente a qualche playlist consigliata da Spotify.

La radiofonicitá é un criterio di selezione che é diventato quasi un genere musicale e che rispetta gli aspetti fondamentali della mediocritas: la durata mai superiore ai 3 minuti e mezzo, meglio se scende a 3 minuti, un hook, o gancio, facilmente riconoscibile e memorizzabile, un testo immediato e senza troppi giri di parole. Peccato, peró, che il confine fra semplice e immediato e banale e scontato sia davvero labile e che la conditio sine qua non per entrare nelle grazie delle major o dei grandi network radiofonici si avvicini sempre di piú ad un appiattimento di sonoritá e contenuti che non alla qualitá.

Il Festival di Baglioni non ha dato molto spazio a progetti confezionati a tavolino e spesso provenienti dai tanto blasonati talent show ma non ha lasciato spazio sul podio a canzoni degne di questa nomenclatura, bensí a quelle giá ampiamente premiate dal loro essere radiofoniche e mediocri, dunque automaticamente destinate alla vittoria: al primo posto un brano melodicamente debole ma con un messaggio apparentemente forte ma che puzza di studio a tavolino lontano un chilometro – peccato, perché Moro e Meta sono autori che seguo e che amo molto ma questa volta non hanno tirato fuori proprio una perla, ecco; al secondo posto una canzonetta corredata di coreografia sulla falsa riga di Occidentali’s Karma – ribattezzata da alcuni Occidentali’s Grandma – che del brano di Gabbani non ha né la forza né l’ironia che lo hanno contraddistinto lo scorso anno; al terzo posto un brano estremamente radiofonico – difatti resta subito in testa e le radio lo stanno proponendo continuamente – senza grosse pretese ma che funziona, forse il migliore dei tre, che peró temo non basterá a rimuovere l’etichetta di cantante da talent alla seppur talentuosa Annalisa.

Ci chiedevamo, peró, perché abbia vinto la mediocritá e non la musica: sia ben chiaro, il termine mediocre non ha necessariamente una connotazione negativa; semmai, restiamo in una zona neutra, grigia, né male né bene, niente entusiasmo ma nemmeno indifferenza, ecco. Ha vinto, dunque, la mediocritá – e gli Elio e Le Storie Tese sono arrivati ultimi e Ron non é salito sul podio e nemmeno la Vanoni – perché l’italiano medio é un ascoltatore pigro; perché i talent show ci hanno disabituati ad amare la poesia, a lasciarci incuriosire dalla poetica di un autore o un interprete – poetica sempre piú rara, a mio avviso; perché non abbiamo piú tempo per fermarci ad ascoltare, a cogliere i dettagli, a comprendere le sfumature; perché anche la musica é divenuto un bene di consumo – gratuito, grazie a Spotify e affini – usa e getta, liquido e volatile.

Ecco perché ha vinto la mediocritá e la buona musica é rimasta in un angolo.

Qualcuno potrebbe obbiettare che si tratta pur sempre del Festival di Sanremo e non del Premio Tenco.

Io spero solo che la musica non si impolverisca troppo.

Chiara Ragnini

Chiara Ragnini

Cantautrice, nerd e smanettona, appassionata di arte contemporanea ed entomologia. Dopo il classico, la laurea in Informatica. Un amalgama particolare, fra cuore e razionalità, per fare da sfondo alle emozioni fra parole e musica.

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