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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Pietre miliari: Nevermind | Bollicine

Pietre miliari: Nevermind | Bollicine

Pietre miliari: Nevermind

Nevermind

Ricordo quel bene quel momento. Era il mio compleanno dei 16 anni, pizza fuori con gli amici della scuola e i regali che ancora non erano di gruppo. Ognuno comprava un qualcosa secondo i suoi gusti e le sue necessità. Per cui ricevevi molte più cose… magari più piccole ma diverse.

Quella sera arrivò un amico e mi diede questo un pacchetto, lo apro, una cassetta di un gruppo che non conoscevo, con una copertina un po’ strana ma originale: un bambino immerso nell’acqua che nuota verso una banconota. Non sapevo di avere tra le mani uno degli album che avrebbe caratterizzato gli anni ’90: Nevermind dei Nirvana.

Si sentiva subito, dalle prime note di Smells like teen spirit, che c’era qualcosa di nuovo che il suono aveva dentro, una rabbia che facevi fatica a paragonare alle altre realtà musicali del momento.

Certo si veniva da un decennio precedente dove le rock band la avevano fatto da padrone, dove i mostri sacri come Madonna o Michael Jackson già si elevavano rispetto al resto. Arrivava il suono orgoglioso del boss di Born in the USA o anche il rock arrabbiato ma in salsa pop degli Europe o dei Bon Jovi. Certo, c’era un po’ di rabbia, ma era una di quelle rabbie che ti fa urlare, che ti fa gridare più per divertirti, per affermarti rispetto al gruppo che altro. Qui con i Nirvana si avverte invece forte una rabbia che è disagio, che è rifiuto di certe convenzioni, che è rottura verso i modelli che erano presenti fino a quel momento.

Così come Jim Morrison era stato l’icona per i ’70, posso sbilanciarmi e dire che Kurt Kobain è stato una delle icone per i ’90. Perché non solo ha portato uno stile e una rabbia nuova, ma anche un modo di vivere la vita e di comunicare, alternativo. Quel grunge che di lì a poco si affermò magari non è nato con loro, ma sicuramente ha avuto dai Nirvana la spinta per andare molto in alto.

Per noi che vestivamo un po’ “normali” con il jeans e una felpa, il grunge era avere un paio di Airwalk e portarle slacciate con le stringhe che spuntano appena e la para della scarpa alzata per far vedere il logo. Ma più in generale il grunge era uno stile, uno stile  più trasandato, meno attento ai loghi o alle mode, cucito più sull’individuo che sul gruppo. Più che un vero e proprio stile, era un rifiuto delle mode e delle etichette che ti volevano sempre “inquadrato”.

Nevermind fu davvero un gran bell’album, che lanciò i Nirvana e segnò a suo modo un’epoca. Molto contribuì anche la vita travagliata di Kurt Cobain, il leader del gruppo, che morendo molto giovane forse consegnò alla storia una figura ancora più leggendaria e mitica di quello che era. Perché aldilà dei successi, al di là del clamore, c’era anche e soprattutto un ragazzo… forse più fragile di quello che si pensava, che non riuscì a gestire mondi più grandi di lui… e certamente in questo non fu aiutato da una compagna matta da legare come poche.

Ci restano 3 soli album dei Nirvana. Nevermind fu quello centrale, Bleach il primo, quello di About a girl e In utero, il terzo. Ci resta un live unplugged su MTV semplicemente meraviglioso. E ci resta una genialità incompresa di un ragazzo che seppe anticipare i tempi e portare su di sé il disagio di molti. Gli stili passano, il grunge è rimasto cristallizato nei ’90, ma il mito di Kurt Cobain e la rabbia di quel Nevermind rimangono ancora.

Matteo Pardini

Matteo Pardini

Blogger di WIP Radio con le sue "Bollicine".

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