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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Dopo di me il diluvio

Dopo di me il diluvio

C’era una volta… sì, proprio un re, di quelli famosi, col parruccone incipriato, che di fronte all’insistenza di chi lo voleva ad occuparsi di certe questioni pronunciò la celebre frase “Dopo di me il diluvio”. Se i re sono rimasti in pochi e piuttosto attempati, il venticello di questa frase gira ancora, magari con sfumature diverse, più democratiche, magari pronunciate da presidenti del consiglio invece che da monarchi. Quante volte abbiamo letto in questi giorni sui giornali, pronunciata da un noto presidente del consiglio fiorentino (di cui non farò il nome per non attirarmi gli strali di persone più o meno convertite alla causa), “dopo di me, non avremo ulteriori opportunità”, cosa ripetuta ossessivamente dai media e anche fra il popolo ormai esausto da anni di primarie e di secondarie. Ora nessuno si ferma un attimo a pensare che forse, in democrazia, dopo di lui ce ne sarà un altro, che in un paese di 60 milioni di abitanti dire questo significhi offendere il senso della democrazia, oltre che il buon senso, dei suddetti 60 milioni. Che tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile, anzi che di indispensabili sono pieni i cimiteri.

La regal frase è spesso accompagnata dal termine “velocità”. Ora va detto che il termine “velocità”, associato alla pratica democratica, fa tanto Marinetti e futurismo, suona tanto moderno e in fondo anche un po’ di futurismo può far bene ad un popolo, fermo dal ventennio di uno stagionato miliardario milanese. Ma solitamente la giusta “velocità” in democrazia va coniugata ad “efficienza” e soprattutto a “partecipazione”. Se bastasse la “velocità”, avremmo fatto presidente del consiglio Speedy Gonzales.

diluvio

In nome della velocità futurista si respinge ogni obiezione passatista, anzi chi osa obiettare passa per parruccone, per “professorone”, per conservatore. Perché obiettare quando lo scopo ultimo è la velocità? A morte i lenti… In realtà basta una qualsiasi obiezione di buon senso, condivisibile o no, come quella fatta da un famoso presidente del Senato repubblicano, persona di tradizioni democratiche e di grande competenza giuridica, sull’opportunità di discutere meglio del progetto di abolizione del Senato proposta dalla maggioranza di governo, perché il suddetto sia stato zittito in malo modo (la seconda carica dello Stato!) da una miracolata della politica, nota collezionista di poltrone, tanto arrogante quanto ignorante. Ecco quindi che in nome della velocità la classe politica ha cambiato più volte posizione, in una girandola di idee, spesso contrastanti, che però intendono cambiare radicalmente la nostra identità, perché la Costituzione repubblicana è la carta di identità di ciascuno di noi.

Ad esempio, il nuovo Senato composto da sindaci e presidenti di regione, prevede la nomina da parte del presidente della repubblica di 21 senatori su 150. Ora mi chiedo: perché proprio 21 e non 22 o 20? Da quale mente è saltato fuori questo numero? Forse a quello che l’ha pensato l’aveva dato in sogno la povera nonna per giocarlo al lotto?

Allora per colpire la “casta” (vorace e questo lo dico senza ironia) si aboliscono le inutili provincie, ma attenzione! Non si abolisce il carrozzone burocratico che resta indenne e neanche le competenze, si abolisce solo la rappresentanza elettiva ossia i politici, così non potremo esprimerci più direttamente con il nostro voto sulla politica di un organismo come l’ex provincia.

Il decisionismo fine a se stesso, la politica fatta di “capi”, quella del partito personalistico o del partito come mezzo esclusivamente elettorale e non partecipativo, la mancanza di dibattito su questioni importanti come la legge elettorale, sono un segno. Chi accetterebbe di giocare a Risiko senza conoscerne le regole? Si limiterebbe a muovere carrarmatini colorati su un’improbabile carta del mondo. Eppure siamo rassegnati davanti alla mancata discussione popolare sulle regole di un gioco, quello elettorale, che decide il nostro destino.

Ma qualcuno per tranquillizzarci ci direbbe sicuramente “Enrico, stai sereno” (il nome Enrico è assolutamente casuale), ma nel ricordo di un recente passato un senso di leggera inquietudine ci assalirebbe.

Tiziano Arrigoni

Tiziano Arrigoni

Massetano - follonichese - piombinese - solvayno, insomma della Toscana costiera, con qualche incursione fiorentina, Tiziano Arrigoni è un personaggio dalle varie attività: scrittore di storia e di storie, pendolare di trenitalia, ideatore di musei, uomo di montagna sudtirolese ed esperto di Corsica, amante di politica - politica e non dei surrogati, maremmano d'origine e solvayno d'adozione, ecc. ecc... ma soprattutto uno che, come dice lui, fa uno dei mestieri più belli del mondo, l'insegnante (al Liceo Scientifico "E.Mattei" di Solvay) e, parlando e insegnando cose nuove, trova ispirazione e anche "incazzature", ma più la prima, dai suoi ragazzi di ieri e di oggi.

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